I vertici nazionali di Cgil Cisl e Uil hanno predisposto un documento unitario “Per il lavoro, per la crescita, per l’equità sociale e fiscale”. I punti su cui si articola sono:1) Mercato del lavoro; 2) Previdenza; 3) Liberalizzazioni, secondo le intenzioni dei tre segretari. Essi dovranno essere discussi nell’incontro col Governo già fissato per lunedì 23 gennaio p.v..
La filosofia, che ispira l’intero documento, è quella delle compatibilità capitaliste. Politica che ha segnato la linea del sindacato negli ultimi decenni.
Con il documento, infatti, ancora una volta se ce ne fosse bisogno, tutto il sindacato conferma che al centro del suo orizzonte politico non ci sono i lavoratori, le loro condizioni di vita e di lavoro, i loro diritti, ma le imprese e il mercato. Sono queste ultime a determinare tutto il resto. Le “proposte “ elaborate dal sindacato, sul lavoro, la crescita, l’equità sociale e fiscale, non hanno, infatti, come scopo stravolgere quanto in materia è stato già fatto da Governo e imprese. Il loro obiettivo è di edulcorare quanto è già stato deciso, e quanto si andrà a decidere, senza intaccare il complesso, la struttura e la filosofia dei provvedimenti adottati, ma renderli meno indigesti ai soggetti che, ancora una volta saranno chiamati a pagarne le conseguenze, agevolando, in questo modo l’operato iniquo del Governo.
Sarebbe impossibile valutare diversamente le affermazioni di principio che più volte vengono fatte nel documento. Sul Lavoro: "È necessario un piano organico per dare sostegno all'occupazione, in particolare con strumenti rivolti ai giovani, alle donne, agli over 50 e al reimpiego dei lavoratori in cassa integrazione e ai disoccupati, valorizzando, con le necessarie correzioni, gli istituti esistenti che promuovono ed incentivano il lavoro stabile, contemporaneamente, vanno ridotte e semplificate le altre tipologie di lavoro flessibile, armonizzando costi e tutele”.
Il sindacato non rivendica, quanto previsto dalla Costituzione e cioè il diritto al lavoro quale strumento indispensabile per l’uguaglianza e la dignità: ”Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e la uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Secondo il sindacato il diritto al lavoro stabile e a un salario dignitoso non sono un valore assoluto ma va “armonizzato (reso compatibile e funzionale) ai costi”. Ne consegue la proposta del sindacato secondo cui: ”Vanno confermati e valorizzati i Contratti di solidarietà quale strumento alternativo alla messa in mobilità o ai licenziamenti”. Facendo propria la tesi padronale secondo cui il diritto al lavoro e a un salario equo vanno resi compatibili con le esigenze delle aziende e del mercato.
Anche sulla previdenza il sindacato non chiede il superamento della logica che ispira la “riforma Monti” tesa solo a fare cassa anche sulle pensioni, soprattutto su quelle più basse, abolendo quelle di anzianità, passando al contributivo ed elevando l’età pensionabile a 67 anni, ma rivendica addirittura: ” La sostenibilità finanziaria del sistema pensionistico- la quale - resta legata alle dinamiche future di crescita e sviluppo del Paese e all'andamento dell'occupazione” e quindi al mercato. Da questo scaturiscono solo delle semplici e modeste proposte di scaglionamento e di gradualità delle cose già decise e tradotte in legge.
Privatizzazioni. Il sindacato non si schiera contro di esse, ma chiede che esse siano indirizzate: "Prioritariamente al rilancio dello sviluppo vanno finalizzate le liberalizzazioni per le quali il sindacato confederale richiede al governo un confronto di merito affinché vengano definite caratteristiche di omogeneità nei diversi ambiti, una maggiore concorrenzialità e le condizioni per realizzare investimenti e occupazione". I sindacati chiedono quindi che il governo "apra subito un tavolo di confronto con le parti sociali".Maggiore concorrenzialità, quindi, per il sindacato in ossequio al liberismo trionfante, poco importa che il decreto sulle liberalizzazioni esce il 20 gennaio mentre l’incontro Governo sindacati si farà il 23 gennaio p.v.. Segno evidente dell’importanza che il Governo attribuisce all’incontro stesso.
Nel cappello politico del documento, il sindacato, prende atto dell’attuale crisi economica le cui conseguenze, è affermato “colpiscono in particolare le famiglie, i giovani, i lavoratori e i pensionati” s’impone pertanto “un cambiamento nella politica economica del Governo il quale dopo la manovra di fine 2011 per consolidare i conti pubblici e rientrare dal deficit bilancio è chiamato ora a mettere in atto politiche che favoriscano la crescita, il lavoro, l’equità sociale e fiscale, a sostenere una svolta coerente della politica economica europea verso obiettivi di sviluppo e occupazione”.
Il sindacato, segnala l’esistenza della crisi, rileva che questa ha conseguenze negative solo per i soliti noti, evita, però, accuratamente di attribuirne responsabilità sociali e politiche, si guarda bene, inoltre, dal tentare una seppur timida analisi, sugli interessi economici e sulle responsabilità politiche e sociali che hanno prodotto la crisi.
Per il sindacato la crisi è come un evento naturale catastrofico che, quando arriva, arriva. Da un tale evento non ci si può salvare. Esso, in qualche modo, sarebbe democratico perché colpisce tutti alla stessa maniera, senza fare distinzioni sociali, lavorative o economiche. In caso di un tale evento tutti si devono rimboccare le maniche ognuno secondo le proprie possibilità, come in una famiglia.
Sappiamo che così non è. La crisi è stata prodotta dal mercato capitalista e finanziario e dalle leggi spietate, che consentono a pochi di continuare ad arricchirsi attraverso le più spregiudicate operazioni economiche e finanziarie, mentre si affamano masse crescenti di cittadini e di diseredati che sono colpite non solo nei redditi ma anche nei diritti sociali e civili.
La crisi allarga le differenze sociali e ne genera altre.
Le classi sociali hanno interessi diversi e contrapposti pertanto, in caso di crisi si accentua il conflitto sociale su chi ne abbia la responsabilità e su chi debba pagarne le conseguenze. Le crisi, esaltano gli egoismi e i soggetti economicamente più forti ne scaricano i costi su altri soggetti e classi sociali.
Secondo il sindacato, invece, non ci sono responsabilità di classe nella crisi. Se esiste un problema di equità, perché la manovra del governo colpisce solo i redditi fissi, lavoratori dipendenti e pensionati, non è da addebitarsi ad una precisa volontà classista.
Per questo nel documento Cgil Cisl e Uil è chiesto semplicemente al Governo di “mettere in atto politiche che favoriscano la crescita, il lavoro, l’equità sociale e fiscale”.
Se, però, esiste la necessità di favorire l’equità sociale e fiscale, allora il sindacato riconosce implicitamente l’esistenza di un problema di equità, non di dimensioni tali, però, da determinare conflitto sociale.
Se, da una parte, infatti, nel suo documento, il sindacato indica quali soggetti colpiti dalla crisi, le famiglie, i giovani, i lavoratori e i pensionati, dall’altra, si guarda bene di individuare quali sono gli altri soggetti che, viceversa, hanno la condizione di privilegio di non subire la crisi né di pagarne le conseguenze.
Se ci sono soggetti che pagano, per i quali si pone un problema di equità, e soggetti che non pagano, perché si è creata e chi ha determinato questa situazione?
E’ inoltre è un fatto nuovo che a pagare e ad essere discriminati sono sempre gli stessi soggetti? Oppure è una consuetudine?
E’ una novità che ad avere privilegio sono sempre gli stessi altri soggetti? Oppure è una consuetudine?
E’ il risultato di decenni di lotta politica ed economica, nella quale si è rinnovata l’aggressività dei ceti dominanti che hanno imposto, come generali e di tutti, i loro interessi e le loro convenienze, agevolati da un sindacato e da una ”sinistra” divenuti subalterni e paladini delle loro logiche liberiste e di mercato.
E’ sulla base di questi presupposti che il sindacato vuole dare ad intendere di voler modificare i contenuti della manovra del Governo Monti: Attraverso una “democratica trattativa o concertazione” correggendo quei punti che determinano l’iniquità sociale e fiscale, sapendo benissimo in partenza che ciò che è stato deciso non subirà alcuna modifica significativa, imbrigliando in questo modo le eventuali proteste alternative dei lavoratori.
Proprio per questo la costruzione del documento non è avvenuta attraverso il coinvolgimento degli interessati e non si è costruita alcuna mobilitazione sociale contro l’iniquità, come sarebbe stato necessario per sostenere le “rivendicazioni”, sconosciute peraltro agli interessati.
Quella messa in piedi rappresenta solo un’operazione di facciata di un sindacato che sa di non avere il consenso dei lavoratori, perché con le sue politiche di compatibilità e concertazione ha abbandonato da tempo gli interessi dei lavoratori per dedicarsi a quelli del Paese che poi sono quelli del mercato, contribuendo così all’attuale situazione d’iniquità.
Il sindacato, con il suo modo di agire si impossessa arbitrariamente del diritto a trattare senza alcun mandato preventivo dei lavoratori, appropriandosi di una delega in bianco per la trattativa del 23 p.v. e, quindi del diritto di stabilirne dal vertice gli eventuali punti di caduta.
Del resto il sindacato va a trattare con un “Governo tecnico”, anch’esso privo di legittimazione democratica, perché nominato, non eletto.
Tutto questo determina il paradosso di una trattativa fra parti non rappresentative di nessuno, in realtà entrambe paladine del mercato, delle compatibilità capitaliste e delle classi privilegiate.
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