mercoledì 10 agosto 2011

La “crisi economica” è il pretesto per incrementare la discriminazione sociale e il privilegio.

La prima crisi del petrolio si verificò quaranta anni fa, agli inizi degli anni ’70, dopo le lotte e le vittorie del movimento operaio e studentesco. Lotte che produssero un notevole passo in avanti per i lavoratori, sia sul piano economico, sia sul piano sociale sia dei diritti.
Da allora, in maniera palese o attraverso logge massoniche segrete è ripreso, con ogni mezzo, il lavorio per togliere ai discriminati quelle conquiste che erano riusciti a strappare al padronato, ai ricchi e ai privilegiati.
Questo è stato possibile a seguito della cancellazione e dalla scomparsa dallo scenario politico italiano di qualsiasi partito o sindacato che avesse, utilizzando lo strumento dell'analisi dei rapporti di classe, l’obiettivo di battersi contro l’ingiustizia e la discriminazione in rapporto all’appartenenza sociale. Non esiste più, infatti, una forza politica o sindacale credibile, tantomeno in Parlamento, che non basi la sua azione politica sul liberismo e sul mercato e che non abbia ricorso o quantomeno permesso, in queste “crisi interminabili” lo sterminio sociale dei discriminati, favorendo, nei fatti, il privilegio dei ricchi e dei potenti e le differenza sociali che sono tornate a crescere con la ripresa e l'aumento dell’ingiustizia sociale e della discriminazione.
Fare l’ennesimo elenco delle conquiste rubate sarebbe ripetitivo e avvilente. E’ un fatto però che non s’intravvede la fine di questa fase di aggressione sociale dei privilegiati e di sconfitta e di arretramento sociale per i lavoratori e per chi condivide, con loro, la medesima condizione sociale.
Il padronato e le forze politiche che portavoce dei loro interessi, continuano ancora a discutere su cosa altro togliere ai lavoratori (non soltanto sul piano economico e le pensioni, su cui stanno “lavorando” ormai da più di venti anni, ma anche su quello dei diritti per “salvare l’economia” naturalmente. Stanno, proprio in questi giorni studiando come cancellare definitivamente lo Statuto dei Diritti dei lavoratori), mentre nulla prevedono verso le ricchezze e i patrimoni.
Costoro hanno spogliato i lavoratori ed i discriminati di ogni conquista e di ogni diritto. Dove vogliono arrivare? Non basta, per “salvare” questa economia, togliere diritti fondamentali di libertà e dignità ai cittadini lavoratori, decurtare stipendi e pensioni e cancellare qualsiasi accettabile prospettiva futura alle giovani generazioni? Credono forse, che per rilanciare l’economia, occorra tornare alla servitù della gleba? Ma in quel caso quale economia si salverebbe? Quella di chi ha incrementato il loro privilegio ed ha continuato ad arricchirsi non certamente quella dei discriminati che non vedono la fine delle rinunce e del peggioramento delle loro condizioni.
Occorre prendere conoscenza e coscienza che non siamo tutti sulla stessa barca. Che la crisi non colpisce tutti. Che in questa Repubblica, contrariamente ai giuramenti ed alle dichiarazioni solenni, non siamo tutti uguali perché non siamo detentori tutti degli stessi doveri e degli stessi diritti, non condividiamo lo stesso destino.
Avere coscienza di ciò è la condizione per far cessare l’attuale andazzo politico ed economico e tentare di cominciare ad invertire la situazione avendo la consapevolezza della difficoltà, dei tempi e delle lotte necessari.