giovedì 28 febbraio 2013

Il voto di protesta che i comunisti non hanno saputo intercettare

E’ innegabile che chi ha votato la lista Cinque stelle di Grillo, abbia voluto esprimere un radicale dissenso dalla politica attuale. Questa domanda che saliva dal popolo non è stata capita dirigenti della cosiddetta “sinistra radicale”, perché troppo occupati a costruire alleanze anche nell’illusione di garantirsi un posto al sole. Essi hanno assunto verso il fenomeno Grillo, atteggiamenti di superiorità e di snobismo parlando sempre solo di fascismo e di matite ciucciate senza tentare di analizzare seriamente il programma di quel movimento i cui punti, per la stragrande maggioranza, potevano essere condivisi: 1) Legge anticorruzione; 2) Reddito di cittadinanza; 3) Abolizione della legge Biagi; 4) Riduzione dell’orario di lavoro fino a 30 ore settimanali con la conseguente redistribuzione del lavoro garantito a tutti; 5) Pensione a 60 anni e taglio delle pensioni sopra 4-5 mila euro; 6) Ritiro immediato delle missioni “di pace” nel mondo; 7) Introduzione di un tetto per gli stipendi del management delle aziende quotate in Borsa e di quelle con partecipazione rilevante o maggioritaria dello Stato e abolizione delle stock option; 8) Abolizione dei contributi pubblici ai partiti e ai giornali; 9) Verifica degli arricchimenti illeciti da parte della classe politica negli ultimi venti anni; 10) Massimo due mandati elettivi; 6) Legge sul conflitto d’interessi; 11) Ripristino dei fondi tagliati alla Sanità e alla scuola pubblica con tagli alle grandi opere inutili come la Tav; 12) Accesso gratuito alla rete per cittadinanza; 13) Abolizione Imu sulla prima casa. Questo solo per citarne alcuni. Certo erano presenti alcuni punti meno condivisibili per i comunisti, fra questi la richiesta di sostenere le società no profit per creare occupazione. Del resto sullo stesso argomento Rivoluzione civile avanzava una proposta peggiorativa considerando da incentivare anche imprese profit: ” Vanno premiate fiscalmente le imprese che investono in ricerca, innovazione e creano occupazione a tempo indeterminato”. E’ proprio la richiesta di finanziamenti alle aziende, anche a quelle cosiddette “meritorie” che determina la contraddizione discriminante per i comunisti: Considerare cioè positiva e finanziabile con i soldi pubblici, delle tasse, l’attività di quelle imprese private a patto che rispondono a determinati requisiti. Non basta il profitto? Sparisce o meglio si cancellano così le differenze e le discriminazioni sociali e con esse la lotta di classe perché si riconosce implicitamente che l’imprenditore non è più padrone e soggetto di sfruttamento e di profitto sulla pelle di chi lavora ma è un benefattore sociale e “datore di lavoro” da premiare e incentivare, dimenticando appunto il profitto che trae a tutti i costi compreso quello di discriminare i lavoratori che aderiscono alla Fiom. L’imprenditore lucra sul lavoro dipendente e per questo diminuisce i salari, precarizza, licenzia, de localizza, riduce le libertà dei lavoratori (art. 18) e quelle sindacali, è così che aumenta i propri utili in maniera spropositata infischiandosi della richiesta di lavoro dei disoccupati e della disperazione dei suoi dipendenti licenziati o de localizzati per risparmiare sulla manodopera. Niente di tutto questo, l’imprenditore viene trasformato da padrone sfruttatore a “datore di lavoro” che deve essere finanziato con i soldi delle tasse sui redditi fissi che sono gli unici a pagare, e non deve essere tassato per la sua opera “sociale e benemerita”. Si cancella così il conflitto e si da ad intendere, questa volta insieme a Grillo, che il privilegio riguardi i soli parlamentari super pagati davanti ai quali non esistono differenze sociali perché il loro privilegio penalizzerebbe allo stesso modo lavoratori e padroni. Un’assurdità. Il movimento cinque stelle ha posto al centro della sua battaglia dei punti condivisibili. L’ha fatto però al di fuori di una visione dei rapporti sociali e di classe. La discriminazione sociale non è messa in atto dal solo ceto politico ma soprattutto da quello economico e padronale che per arricchirsi affama i lavoratori e le loro famiglie e condanna alla disoccupazione e alla disperazione i giovani, mentre taglia le pensioni. Visti gli esiti elettorali la segreteria nazionale di Rifondazione Comunista nel rassegnare le proprie dimissioni afferma: ”Al di là di ogni altra considerazione, l’insuccesso della lista (Rivoluzione Civile) ha quindi una precisa ragione politica nell’incapacità di interpretare e intercettare il forte disagio sociale e il largo dissenso verso le politiche di austerità.” Il forte disagio sociale che Rc non è stato capace di intercettare, nella vicenda politica attuale, non è causato dal largo dissenso verso le politiche di austerità, che di per se possono anche essere un valore, ma dal fatto che tutte le misure economiche di “rigore” adottate colpiscono a senso unico i discriminati, lavoratori, giovani e pensionati, facendo tracollare i loro redditi e le loro condizioni di vita e cancellano anche i loro diritti come quello alla sanità e all’istruzione. Al di la di altri ragionamenti, come si può pensare di alzare l’età pensionabile fino a 70 anni con una disoccupazione giovanile al 37%? A quali logiche risponde tutto ciò? A quali interessi? Non certo quello di chi lavora e, nel rischiare il proprio posto di lavoro deve continuare a farlo fino a 67-70 anni, o di chi è disoccupato che, in questo modo, non ha alcuna possibilità di trovare lavoro. La realtà è che mentre i discriminati sono ridotti sul lastrico dalla cosiddetta crisi, altri non sono stati toccati per niente, anzi hanno approfittato della crisi per imporre la loro egemonia sul piano economico incrementando a dismisura i propri patrimoni e questo è l’aspetto più odioso sostituendo al benessere dei cittadini quello dello spread. Un’analisi di questo tipo non può essere pretesa da Grillo. Doveva essere pretesa da chi, come Rifondazione continua a definirsi Comunista. Non si tratta quindi solo di una questione di simbolo o di bandiera che i dirigenti si ostinano, per timore o per una convinzione sbagliata e perdente, a non mostrare nelle campagne elettorali. Rivoluzione Civile ha perso perché, proseguendo una vecchia prassi, non ha dato, e non poteva farlo per la diversità delle sue componenti, una lettura ed interpretazione di classe, della classe degli sfruttati, delle vicende del Paese e delle cose da fare. Mancanza di visione che isola i discriminati, lasciandoli privi di tutela e disorientati. Non vengono cioè più messe in discussione le basi di questa società capitalista, che difende i suoi valori e il liberismo più selvaggio ed impone i suoi modelli culturali unici e approfitta dell’assenza sostanziale di altri progetti forti da parte di chi si ostina ad accreditare come di sinistra, seppur moderata quella del Partito Democratico che invece ha votato tutte le misure antipopolari del Governo Monti e che, insieme a Sinistra ecologia e libertà si proponeva se eletta di proseguire su quella strada. Negli ultimi anni ed alle elezioni l’avversario di classe ed il padronato senza alcun significativo contrasto hanno potuto far emergere egemonia culturale del capitalismo e delle classi dominanti, perché è mancata una forza politica apertamente alternativa su basi di classe ed anticapitalista. E’ questo il motivo per cui gli italiani hanno scelto Grillo. Per manifestare la propria avversione alle politiche economiche imposte si sono affidati a chi hanno ritenuto al di fuori dei giochi politici, riconoscendo Grillo e il suo movimento, non in altri o in Rivoluzione Civile, come gli unici veramente alternativi al sistema capaci credibilmente opporsi e lottare contro le ingiustizie attuali. Occorre riconoscere onestamente questo, rimboccandosi, ancora una volta le maniche per ricostruire una forte iniziativa politica imperniata su una linea di classe alternativa non alla politica di austerità, ma alla politica del padronato che vuole, coadiuvato anche da falsi amici dei lavoratori, far credere ai discriminati che per salvarsi debbono morire.

martedì 5 febbraio 2013

FIAT, LANDINI: PRONTI A AZIONI LEGALI

"La scelta di Fiat di pagare 19 lavoratori purché non lavorino conferma come sia in atto un’esplicita politica di discriminazione nei confronti dei lavoratori che scelgono di iscriversi alla Fiom". Così il segretario Fiom Landini che parla di "schiaffo alla dignità dell'Italia". Quello della Fiat, dice, è "un atto di arroganza inaccettabile di fronte al quale la Fiom pensa a azioni giuridiche e sindacali". Quello con la Fiat "non è più un problema sindacale, perché si violano le leggi e la Costituzione: governo e forze politiche intervengano, il silenzio non è più accettabile".E su Fabbrica Italia: "Non errore ma truffa". Questo comunicato è presente sul Televideo Rai di oggi. Si riferisce alla volontà della Fiat di proseguire nella sua scelta padronale di estromettere da Pomigliano tutti coloro (lavoratori e sindacati) che ostacolano i suoi interessi e autorità. E’ in atto una discriminazione nei confronti degli iscritti fiom, che sono stati reintegrati dal Giudice del lavoro, ma che, poi, non solo non sono stati ripresi al lavoro ma sono stati umiliati nella propria dignità dall’obbligo imposto dalla Fiat di dover ricevere il proprio salario senza lavorare. Attraverso il suo comportamento, la Fiat, storico capofila del padronato italiano, vuole far capire chiaramente a tutti i lavoratori, chi veramente comanda in fabbrica e nel Paese. La protervia e la prepotenza della Fiat ricordano quella del padronato precedente alla prima rivoluzione industriale. Quando cioè la legge non permetteva il diritto di associazione sindacale perché ai lavoratori non era consentito organizzarsi per difendere i propri interessi, pena il licenziamento e la galera. Oggi il padronato tollera la presenza di sindacati in azienda ma solo di quelli asserviti e sottoposti alle sue volontà e interessi. Le leggi, sempre più sfavorevoli ai lavoratori, le sentenze e la stessa Costituzione sono per il padronato carta straccia e le istituzioni cui spetta il compito di intervenire, non lo fanno e tacciono. Per convenienza e complicità. Finora non si è vista infatti alcuna “autorità” costituita intervenire a difesa dei discriminati nonostante masse crescenti di lavoratori e di giovani siano costretti alla disoccupazione, alla precarietà o a salari indecenti e indecorosi, per far applicare i dettami (teorici) previsti dalla Costituzione. L’art. 3 ad esempio recita: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e la uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese”, ancora l’art.4 “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”, o l’art 36: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa” per citarne alcuni senza poi parlare delle disposizioni Costituzionali in materia di “libertà” e diritto “libero” di associazione sindacale. Mantenere i lavoratori, reintegrati dal Giudice, a casa rappresenta il manifesto politico e il messaggio sonoro del padronato in Italia che spiega a chiare note chi veramente comanda nel Paese, chi fa e applica le leggi. Siamo arrivati a questo punto grazie a sindacati che hanno tradito il proprio ruolo e a una “sinistra” che ha mantenuto in qualche caso un riferimento nominativo alla vera sinistra storica, ma che ha poi accettato, in forma più o meno esplicita il mercato, il liberismo e l’interclassismo, ed ha dimenticato o cancellato dal suo orizzonte politico, la lotta di classe e il superamento della proprietà privata dei mezzi di produzione, unico strumento per la costruzione di una società nuova di liberi e uguali.