sabato 29 gennaio 2011

La lotta dei metalmeccanici, la scintilla per una nuova stagione

La giornata di lotta promossa dalla Fiom e dalle rappresentanze di base è riuscita. Tantissimi operai, lavoratori, studenti, disoccupati e pensionati sono scesi in piazza per lanciare l'opposizione generale contro l’attacco ai diritti e alle libertà degli oppressi e dei discriminati.
Una marea di persone, in tutt’Italia, ha manifestato per riaffermare la necessità di una nuova opposizione sociale. Al centro la lotta alle porcherie sociali che l’attuale governo e il padronato stanno perpetrando ai danni dei lavoratori e dei giovani, coadiuvati da una pseudo “opposizione” di “sinistra” preoccupata solo di dimostrare l’incapacità o la presunta immoralità del presidente del Consiglio relativamente alle vicende legali in cui lo stesso è coinvolto, rinunciando così a denunciare la politica economica antipopolare che si sta portando avanti da troppo tempo. Secondo questa “opposizione” non esistono altre responsabilità del governo. Non va denunciato, per costoro, il sostegno di classe dato alla Fiat nell’attacco alle condizioni dei lavoratori e ai loro diritti di libertà e uguaglianza; non va denunciata la drammatica caduta del tenore di vita dei lavoratori e la contemporanea crescita dell’accumulazione e della ricchezza nelle mani di pochi. E’ meglio occuparsi di Berlusconi e di Ruby, altrimenti dovrebbero spiegare che anche loro condividono la medesima linea politica del governo e del padronato, cosa che li sputtanerebbe definitivamente.
Quella dei metalmeccanici è la lotta di coloro che si battono per una globalizzazione che sia fondata sui diritti dei lavoratori e non sul loro azzeramento. Chi ha manifestato il 28 gennaio ha messo in gioco la propria dignità e ha marcato l’inizio di una nuova stagione contro tutti quelli che si sono schierati con il mercato e con le sue leggi. Il grande ed enfatizzato mercato della globalizzazione, dove c'è sempre uno schiavo più schiavo di te e il padrone, la multinazionale, le banche, scelgono il più obbediente.
L'opposizione ha abbandonato i dipendenti Fiat ed è passata a sostenere le ragioni e gli interessi dell’avversario di classe. Fassino e Chiamparino sono stati i migliori sponsor di Marchionne: se fossero (?) stati operai avrebbero votato si. Le mani di Veltroni o di D'Alema non hanno calli, il loro stipendio di un mese è superiore alla paga di un anno di un turnista. Anche chi ha votato sì ha perso: deve essere consapevole che lo Stato, la maggioranza e l'“opposizione” si schiereranno con la prossima Fiat, la prossima Telecom, la prossima Finmeccanica, mai con lui. Per salvare il posto di lavoro si adeguerà ancora e ancora, fino a perdere ogni diritto: il profitto non è mai sazio.
La Confindustria potrà ora permettersi di tutto. Sarà sufficiente attuare il ricatto occupazionale e i padri e le madri di famiglia cederanno. A casa ci sono i figli, l'affitto, la spesa, le bollette. Il governo, “l’opposizione” parlamentare del Partito democratico, la Confindustria, la Cisl e la Uil vogliono costringere i lavoratori a comportarsi come vogatori incatenati ai remi della nave, mentre loro battono il ritmo del Pil. Più Pil, più crescita, più benessere. Per loro, di certo non per noi.
La lotta dei metalmeccanici della Fiom, dei cobas, della sinistra antagonista, con la quale anche Di Pietro e il suo partito sembrano sodalizzare, spazza tutta l’immondizia di costoro che vogliono darci a intendere che l’attuale è l’unica realtà possibile. La lotta dei metalmeccanici chiarisce che occuparsi di Berlusconi e di Ruby non è l’unico modo di fare politica perché tutto il resto va bene. Tutto questo è il primo passo nella ricostruzione della rappresentanza politica e sindacale dei lavoratori e degli sfruttati, alternativa al mercato, al padronato e ai loro maggiordomi. Questa lotta deve continuare e lo sciopero generale dovrà essere il prossimo, necessario, appuntamento.

giovedì 20 gennaio 2011

Partito democratico e Berlusconi: due morali, stessa politica

Sono ormai diciassette anni che si registra uno scontro feroce fra gli esponenti del Pd (prima Pds e Ds e altro ancora) e Berlusconi. I primi da sempre impegnati a denunciare senza successo le nefandezze del secondo, sia per quanto riguarda la sfera dei comportamenti privati, completamente diversi da quelli da lui stesso sbandierati (basati su famiglia e religione), che sulla spensieratezza, duttilità e leggerezza con la quale lo stesso fa diventare legittimi comportamenti di management aziendali illegittimi, che di colpo a suo piacimento e necessità, tramite leggi su misura, cessano di essere tali (e quindi non sono più perseguibili).
Questa politica dei “democratici” (non più di sinistra), li porta a indicare la persona di Berlusconi come l’essenza stessa del male assoluto. Egli sarebbe l’inizio e la fine di tutte le nefandezze, che cesserebbero di manifestarsi al momento della dipartita del demone. Da tutti questi anni stiamo discutendo di questo. Da tutti questi anni le povere e misere manovre del Partito democratico di sinistra prima, dei Democratici di sinistra poi e del Pd oggi falliscono e l’imperatore continua indisturbato nella sua opera. Tutto ciò avviene non solo per le capacità diaboliche del famigerato premier, ma soprattutto perché il Pd e i suoi dirigenti non sono visti dai cittadini e dai lavoratori come alternativa credibile e auspicabile all’attuale quadro politico e al suo massimo rappresentante.
Se, infatti, tentiamo di analizzare le differenze politiche di fondo fra i due schieramenti, scremate sia dalla bassa, arrogante e rivoltante prepotenza dei comportamenti “privati”, che dalle spregiudicate operazioni per prevalere sui concorrenti economici e politici, del potente signore, ci possiamo accorgere che differenze politiche sostanziali fra i due schieramenti politici contendenti non esistono. Sia il centrodestra che il centro”sinistra” sono per il sistema elettorale maggioritario; entrambi gli schieramenti hanno operato, quando hanno governato, per abbattere lo stato sociale (a partire dalle pensioni di anzianità o da lavoro); entrambi hanno legiferato per precarizzare il lavoro dei giovani (leggi Treu del centro”sinistra” e legge Biagi del centrodestra); entrambi gli “schieramenti” hanno sostenuto gli interventi “umanitari” ma militari e armati in Kosovo, in Iraq, in Libano e in Afganistan; entrambi hanno contribuito ad aumentare a dismisura il debito pubblico e il carico fiscale per i redditi fissi; entrambi hanno determinato, con le loro scelte governative l’enorme spostamento di ricchezza dai tanti lavoratori e pensionati ai pochi ricchi privilegiati; entrambi hanno permesso (favorito?) alle aziende di delocalizzare, precarizzare, mettere in cassa integrazione o mobilità e licenziare milioni di lavoratori e giovani; entrambi sono per il libero mercato, il liberismo e la competitività; entrambi hanno sostenuto il sì al referendum di Mirafiori e con esso la sconfitta dei lavoratori, dei loro diritti, dei loro interessi e della loro libertà.
Condividendo la stessa impostazione liberista, lo scontro fra i due “poli” non può esserci sulle questioni politiche ed economiche che entrambi condividono e perseguono, con qualche parziale sfumatura di differenza. Il “confronto” avviene allora sull’onestà e sulle doti “morali” delle quali entrambi rivendicano l’esclusiva a danno del concorrente. L’imperatore, i suoi servi e cortigiani sono tutti impegnati, anche con toni e argomenti da guerra civile a difendere il loro potere. I loro concorrenti cercano, allo stesso modo, di affossarlo per mettersi al posto dei primi per fare le stesse politiche, forse con una più presentabile forma, ma nella stessa sostanza economica e politica. Perché mai il Pd, oggi, e i suoi dirigenti dovrebbero lasciarsi scappare l’occasione buona che si è presentata e che il loro stesso concorrente ha offerto loro, per affossarlo, sul solo piano dei comportamenti personali visto l’inesistenza di differenze sul piano politico ed economico con l’avversario?
L’attuale situazione richiama alla mente le vicende legate all’arresto di Al Capone in America. La polizia nell’incapacità di punire il bandito per i suoi crimini, non trovò nulla di meglio per toglierlo dalla scena che condannarlo per evasione fiscale. L’opposizione parlamentare incapace e impossibilitata a confrontarsi (perché portatrice della stessa politica) sul piano delle scelte economiche e sociali continua a combattere l’avversario esclusivamente per le vicende legate alla sua vita privata (legittime o meno che siano).
La responsabilità politica e storica “dell’opposizione parlamentare” è quella di aver abbandonato e tradito la rappresentanza e la difesa dei ceti popolari e dei lavoratori e di aver legato i diritti e le libertà degli sfruttati e dei discriminati al carro delle logiche padronali e dei privilegiati. Fino a quando non si prenderà coscienza di ciò, continueremo ad assistere a questi assurdi balletti sulla pelle dei lavoratori e di chi lotta realmente per una società più giusta e più libera.

sabato 15 gennaio 2011

46 per cento: ottima base per ripartire

Le urne sono chiuse, l’esito del referendum è noto. Hanno vinto i si “all’accordo” di Mirafiori. La percentuale dei consensi si è attestata al 54 per cento, mentre hanno votato no il 46 per cento dei lavoratori.
L’esito del referendum rappresenta la vittoria della prepotenza e dell’arroganza padronale della Fiat, di Marchionne, del Governo, di Berlusconi, con il suo potere, i suoi giornali e le sue televisioni; ma anche dell’ambiguità e del tradimento politico dei vari Veltroni, Chiamparino, Fassino, Renzi, del Partito democratico e di Bersani, il quale non trova altro di meglio da dire che: ”Il risultato va rispettato e va rispettato anche il disagio dei lavoratori” (?). In pratica tutto il resto del Parlamento, con l’esclusione del partito di Di Pietro, ha brindato al risultato ottenuto, mentre ancora una volta si è palesata la subalternità e il tradimento sindacale di Cisl, Uil, Ugl, Fismic, con la Cgil che si è guardata bene dal proclamare lo sciopero generale.
Tutti questi soggetti politici e sindacali nella sostanza si sono schierati in massa a sostegno del si all’accordo separato, dispiegando tutte le risorse di cui dispongono, contro le sole forze della Fiom, dei Cobas e dell’Usb, cui però vanno aggiunti tutti quei lavoratori che non si sono piegati al ricatto, che hanno saputo resistere ai richiami al “senso di responsabilità” delle sirene padronali e dei suoi servi e, soprattutto, che hanno saputo tenere dritta la schiena anche nella difficile situazione determinata dalla necessità di lavoro e salario. Questi sindacati e questi lavoratori hanno detto no al ricatto del padrone, delle sigle asservite e dei loro lacchè, per il quale avrebbero dovuto accettare e subire la logica di classe: meno diritti e libertà in cambio di lavoro.
Lo scenario verificatosi con il referendum di Mirafiori rappresenta la replica di situazioni che purtroppo vanno ripetendosi da troppo tempo. E’ dal 1977, con la svolta concertativa operata dalla Cgil di Luciano Lama all’Eur, che i lavoratori sono privi della loro forza e soprattutto della loro soggettività sindacale e politica in Italia. I risultati di tutto questo si sono visti subito dopo con la lotta e l’occupazione della Fiat del 1980, lotta che fu sostenuta da una sola parte della Cgil e del Partito comunista, Enrico Berlinguer in testa. La stessa scena si è poi ripetuta con il referendum sui quattro punti di contingenza (27.200 lire mensili) derubati ai lavoratori dal Governo Craxi con il decreto di S. Valentino e regalati al padronato. Il successivo referendum abrogativo, promosso da Berlinguer (anche in questo caso senza il sostegno completo del partito e dei suoi organismi di massa, che appoggiarono invece il decreto), e l’ala più combattiva della Cgil, fu sabotato e boicottato dal resto del sindacato (Lama con i miglioristi e componente socialista), che impedì la scesa in campo dell’organizzazione, determinando anche in quel caso la sconfitta operaia. Dopo queste due sconfitte si consolidò la linea concertativa e subalterna della Cgil; contemporaneamente spari dallo scenario politico il Pci e nacque il Pds di Occhetto.
E’ quindi da troppo tempo che i lavoratori sono privati nelle fabbriche e negli uffici, di un loro sindacato di classe che sia portatore di un progetto alternativo al sistema del capitale, basato sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. E’ troppo tempo che i lavoratori sono privati di una rappresentanza politica che si ponga alla loro testa nella lotta per la libertà e l’emancipazione dallo sfruttamento capitalista e del mercato.
Il 46 per cento ottenuto dal no dei lavoratori di Mirafiori, senza una forza sindacale confederale schierata al loro fianco, senza alcuna rappresentanza politica in Parlamento, in controtendenza rispetto alla (oggi) predominante ideologia legata al liberismo e alla competitività globale, per l’entità del risultato finale può però trasformare la vittoria del sì in una vittoria di Pirro. Quel 46 per cento dimostra che i lavoratori sanno distinguere fra obiettivi giusti e slogan demagogici di rassegnazione e subalternità alle logiche padronali, fra coloro che sostengono le loro ragioni e chi si schiera con l’avversario di classe. Con quel 46 per cento essi chiedono che venga data una rappresentanza adeguata ai loro bisogni e alle loro battaglie, sia sul piano sindacale, partendo dalla Fiom, dai Cobas e dall’Usb, che su quello politico, favorendo le forze politiche della sinistra alternativa e di classe.

martedì 11 gennaio 2011

Il Partito democratico dei padroni

Secondo i dirigenti del Pd gli anni della concertazione non sono stati sufficientemente penalizzanti per i lavoratori. Gli anni in cui cioè, grazie alla politica concertativa e unitaria ma soprattutto perdente e subalterna dei sindacati “responsabili e nazionali” Cgil Cisl e Uil, con la prospettiva di combattere la crisi e favorire l’occupazione (in particolare quella giovanile), si è permessa la cancellazione della scala mobile, il rinnovo di contratti con aumenti salariali irrisori e il conseguente spostamento di ricchezza dalle tasche dei tanti lavoratori in quelle dei pochi padroni profittatori, la cancellazione dei diritti consolidati (collocamento e assunzioni numeriche), l’intero pagamento delle malattie, la precarizzazione del lavoro, il lavoro in affitto, la cancellazione del sistema previdenziale pubblico, ecc., ecc., ecc. Il tutto davanti a un padrone arrogante e tracotante che, forte della debolezza ma soprattutto della subalternità sindacale, resa possibile da una politica rinunciataria e asservita, tenta di assestare il colpo definitivo ai lavoratori espellendo dalle fabbriche i rappresentanti più combattivi, come la Fiom e le rappresentanze di base.
Di fronte a tutto ciò, oggi il Pd non trova niente di meglio da fare che richiamare la Fiom al rispetto dell’esito del referendum, massima forma di democrazia e di partecipazione dei lavoratori, a prescindere da tutto il resto. Non importa e non è degno di nota, agli strateghi e pensatori del Pd, il ricatto insito nel referendum stesso.
Non è in gioco una semplice scelta fra due o più opzioni comunque possibili. La possibilità di scelta è fra la certezza del non lavoro e della miseria o quella di un lavoro con ritmi elevati e la rinuncia a diritti costituzionalmente garantiti. Nonostante ciò per costoro il pericolo per la democrazia non viene da chi impone (o cerca di farlo) questa situazione, ma dalla Fiom che resiste e che deve rispettare l’esito referendario prevedibilmente positivo per il padrone. Il trucco di questi esperti naviganti è quello solito del colpo al cerchio e di quello alla botte: il referendum deve passare (Marchionne e la sua linea devono vincere) perché il Pd è favorevole a un programma d’investimenti della Fiat. Va però rivista la norma sulle rappresentanze sindacali aziendali per garantire alla Fiom l’accesso a Mirafiori (sotto la legge del padrone però). Cosi sono contenti tutti. La ciliegina sulla torta arriva poi dall’immenso stratega e pensatore (ed ex comunista o comunista pentito), Massimo D’Alema (che se va a S. Moritz lo fa con scarpe da 29 euro). Egli non ha alcuna remora ad affermare: ”Manca un soggetto fondamentale in tutto questo, cioè il governo. Perché nel momento in cui si chiedono ai lavoratori dei sacrifici, non è chiara la controparte politica. Uno può dire a un lavoratore 'ti chiedo un sacrificio perché offro una garanzia a tuo figlio'. Ma dov'e' oggi un governo in grado di fare questo discorso e di unire il Paese (miliardari e morti di fame)? Non c'e'". E inoltre: "La vera debolezza della questione della Fiat è che tutto è affidato a un rapporto difficile tra le parti sociali, che diventa ancora piu' complicato perché manca il protagonista politico di un patto per lo sviluppo, cioè il governo del Paese'". In sostanza, sostiene D’Alema, va bene l’accordo Mirafiori. Ai lavoratori si possono chiedere ancora sacrifici (come hanno fatto i governi di centro destra e di centro”sinistra”), però il governo un po’ di promesse può almeno farle. Possibile che Berlusconi non lo capisca. Del resto questa politica sono venti anni che funziona e alle promesse mancate sono seguite solo altre bastonature per i lavoratori. Perché questo non può funzionare ancora? Nessuna responsabilità quindi per Marchionne e i pescecani industriali cui non sono assegnate colpe e che sono i validi e moderni rappresentanti del nuovo che avanza e del liberismo trionfante. Forse ha in mente, lo stratega, un qualche dibattito parlamentare o televisivo da ingaggiare democraticamente col Governo e la Confindustria, anche per dare sfoggio della propria cultura e capacità (acquisita in decenni di professionismo da politicante).
Intanto i lavoratori continuano a concertare, a perdere diritti, libertà e salario. E a morire di fame.

martedì 4 gennaio 2011

Il ricatto o il lavoro

Marchionne: “Salta Mirafiori se non passa il referendum”. In queste parole si racchiude l’essenza del messaggio del massimo rappresentante del padronato italiano. Tornare su quanto sta avvenendo in Fiat non è ripetitivo, ma opportuno e indispensabile. Quanto accadrà in quell’azienda segnerà infatti per i prossimi anni la nostra vita.
La Fiat, nell’ultimo secolo, ha determinato i rapporti sociali ed economici nel nostro Paese. Dalle prime automobili prodotte, al sostegno del fascismo e della politica degli armamenti, dal sostegno di Stato alle lotte del 1968, alla marcia dei quarantamila, alla cancellazione delle conquiste dei lavoratori, oggi si appresta ad assestare un colpo mortale ai principi fondamentali riportati nella Costituzione nata dalla Resistenza. La Fiat si è posta senza indugi alla testa di quelle forze economiche (e padronali) che hanno l’obiettivo di sconfiggere e cancellare definitivamente ogni velleità sociale che non sia basata sul mercato e sulla competitività. Del resto le affermazioni fatte dal suo ad ieri lasciano poco spazio all’immaginazione: ”È veramente offensivo il fatto che bisogna vedere i punti specifici del piano di Fabbrica Italia” come pretende la Fiom. E a chi gli chiedeva chiarimenti sul suo progetto, ha risposto: ”Non ho chiesto allo Stato, ai sindacati di finanziare niente. E' la Fiat che sta andando in giro per il mondo a raccogliere i finanziamenti necessari per portare avanti il piano. Andate in giro, voi e i sindacati, a raccogliere i soldi. Chiedere alla Fiat di svelare i dettagli del piano - ha poi aggiunto Marchionne - lo trovo ridicolo. Vogliono vedere il resto degli investimenti? Ma che scherziamo? Sono appena tornato dal Brasile, dove ho inaugurato con l'ex presidente Lula una fabbrica a Pernambuco. Non si sarebbe mai permesso qualcuno in Brasile di farsi dare i dettagli dell'investimento: non lo fa nessun altro paese del mondo. Smettiamola di comportarci da provinciali - ha poi affermato - quando serviranno gli altri 18 miliardi del piano li metteremo. Abbiamo il dovere di stare al passo coi tempi e di valorizzare tutte le nostre attività".
In un Paese dove per ottenere una semplice licenza edilizia, per un qualsiasi cittadino è necessario produrre una montagna di documenti e sottostare a un’enormità di vincoli urbanistici, ambientalistici, di risparmio energetico, ecc. per le conseguenze che una semplice abitazione può avere nell’eventuale limitazione del diritto di terzi, un privato cittadino, forte della sua condizione economica e dei padroni della Fiat, pretende di agire senza vincolo di alcun genere, nemmeno previsionale e si arroga il potere di cancellare il diritto di chi lavora e le stesse “regole democratiche”. Con la sua arroganza Marchionne contraddice i più elementari e consolidati principi di uguaglianza dei cittadini, previsti nell’articolo 3 della Costituzione: ”Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Lo stesso articolo 15 dello Statuto dei lavoratori afferma: ”È nullo qualsiasi patto o atto diretto a:
a) subordinare l'occupazione di un lavoratore alla condizione che aderisca o non aderisca ad una associazione sindacale ovvero cessi di farne parte;
b) licenziare un lavoratore, discriminarlo nella assegnazione di qualifiche o mansioni, nei trasferimenti, nei provvedimenti disciplinari, o recargli altrimenti pregiudizio a causa della sua affiliazione o attività sindacale ovvero della sua partecipazione ad uno sciopero”.
Marchionne, la Fiat e il padronato stanno tentando di stravolgere quei principi fondativi che, pur se in ampia parte solo teorizzati e mai completamente applicati, rappresentano le basi del sistema sociale vigente dalla fine della seconda guerra mondiale. Le affermazioni di Marchionne e il gioco di squadra che la Fiat sta portando avanti con l’aiuto di Confindustria, del Governo e delle forze di “opposizione” aprono la strada a un “nuovo patto sociale” nel quale il lavoro, come strumento indispensabile di emancipazione e di libertà, non sarà più uno dei diritti primari di ogni cittadino ma sarà indissolubilmente legato e condizionato all’interesse padronale e al profitto, che non tollerano condizionamento e tantomeno ammettono alcun dissenso nella pretesa di determinare vincoli e limitazioni ai diritti di altri cittadini. Per questo si circondano di “rappresentanti sindacali” di propria fiducia (una volta si chiamavano sindacati gialli) e tentano di assestare il colpo mortale a quelle forze politiche e sindacali che provano a ostacolare il loro progetto.
Per questo la posta è altissima. Non sono più giustificabili mediazioni, tatticismi, balletti o altro. La portata dello scontro è tale che semplici distinguo o puntualizzazioni rappresenterebbero un obiettivo sostegno alle tesi dell’avversario di classe. E’ quanto stanno facendo, anche in questi giorni i vari dirigenti del Partito Democratico, D’Alema, Fassino, Damiano, ecc. Costoro, con il pretesto di favorire l’occupazione come d’altra parte fanno Cisl e Uil, preparano la sconfitta delle forze del lavoro e nascondendosi dietro il fumo di disquisizioni astratte sulla democrazia, sostengono il disegno padronale della Fiat, evitando di dirlo apertamente per la paura di perdere consensi.
Davanti alla brutalità e alla violenza del comportamento della Fiat e dei suoi maggiordomi è necessario quindi prendere coscienza della portata dello scontro in atto. Questo scontro determinerà quali saranno i rapporti economici e di forza fra le classi sociali nei prossimi decenni e quali, conseguentemente, saranno la libertà e le condizioni civili, sociali ed economiche dei lavoratori e dei discriminati.