lunedì 3 giugno 2013

Confindustria si sceglie i sindacati che più gli convengono: Cgil Cisl Uil

Il 31 maggio 2013 è stato sottoscritto un cosiddetto “accordo interconfederale” fra le confederazioni “dei lavoratori” e quelle dei “datori di lavoro”. Un accordo di questo tipo poteva essere giustificato negli anni ’60 o ’70, quando il sindacato, in particolare la Cgil, era controparte del padronato. Quando la Cgil tutelava e rappresentava appieno i diritti dei lavoratori e da questi era riconosciuta e non c’era bisogno, come ora di organizzazioni sindacali diverse o di base come ora. Quando non era necessario stabilire dei criteri di rappresentanza, perché l’adesione al sindacato avveniva non tramite delega, ma con un contatto diretto e continuo. Quando l’iscritto pesava nelle decisioni da prendere. Quando era la partecipazione alle lotte e agli scioperi contro le logiche di sfruttamento padronali a stabilire il livello di rappresentatività dei singoli sindacati e a dimostrare il reale seguito e rappresentatività di ogni sindacato. Il padrone non poteva scegliersi, come ora, la controparte con accordi interconfederali. Certo le discriminazioni e le persecuzioni sindacali erano molte, ciononostante il padrone era costretto a contrattare con chi altrimenti decideva ed aveva la forza di bloccargli la produzione colpendolo sul suo punto debole: I soldi. Non certo questo avveniva con chi aveva più deleghe di pagamento della quota sindacale come avviene ora e come si rafforza con l’ultimo “accordo interconfederale”. L’avvento della riscossione delle quote sindacali per delega ha coinciso con l’inizio della burocratizzazione del sindacato, del suo distacco dai lavoratori, con la fine delle lotte e dell’antagonismo sindacale, con l’arretramento economico e sociale dei lavoratori e la loro sconfitta. Il sistema delle deleghe ha tolto ai lavoratori la possibilità di incidere nella vita del sindacato, negli accordi con la controparte padronale, nella costruzione delle linee sindacali e nell’individuazione degli stessi vertici sindacali ai vari livelli. I risultati si toccano oggi con mano. Le certezze economiche garantite dal regolare afflusso di fondi unito ai distacchi sindacali, determinarono lo svilupparsi di un ceto sindacale che non rispondeva più ai lavoratori, ma ai vertici sindacali e tramite di essi era ed è riconosciuto dagli “interlocutori” imprenditoriali. Il meccanismo della delega è degenerato al punto che, in alcuni settori sindacali come i braccianti e i pensionati, l’iscrizione avviene da sempre senza il consenso esplicito dell’interessato, ma con la presentazione di semplici prestazioni d’assistenza (domande di disoccupazione, di pensione, ecc.) mentre per tutti gli altri settori, dagli edili, le deleghe sottoscritte valgono e vita, a meno di un’esplicita revoca e non subiscono alcuna verifica, nemmeno in caso di contrattazioni sindacali di qualsiasi tipo. Questo ha determinato, nel tempo, il distacco del sindacato dai lavoratori, il lento crescere di logiche burocratiche di componente politica o di gruppo, ed ha reso indipendenti i funzionari dai lavoratori, legandoli ai livelli sindacali immediatamente superiori, cui rendere conto, perché da questo dipende lo stipendio o la conferma o meno del distacco sindacale. A loro volta i massimi vertici sindacali sono riconosciuti e determinati, non dai lavoratori, ma dalla controparte che li riconosce o meno e che costruisce con essi, anche con il sistema degli organismi paritetici, una politica sindacale “moderata” più confacente ai loro interessi e convenienze. Chi possiede questi pacchetti di tessere controlla organismi e determina le strategie sindacali, le trattative, gli “accordi” e l’esito di consultazioni, quelle rare volte che vengono attuate. In base a queste “strategie” di “relazioni sindacali” c’è bisogno di finanziare il sindacato attraverso un meccanismo staccato dal consenso, e dalla partecipazione dei lavoratori: Le deleghe. A questo si aggiungono altre fonti di finanziamento del sindacato che rendono, economicamente, quasi superfluo il pagamento della tessera d’iscrizione dei lavoratori al sindacato. I patronati sindacali inoltre sono finanziati dallo Stato, in base alle pratiche lavorate. Lo stesso dicasi per i Caaf, centri di assistenza fiscale. E’ chiaro che, grazie a queste entrate certe e garantite, si può fare a meno del consenso. E’ chiaro che con questi sistemi di costruzione dei “dirigenti” o del “consenso” sindacali è stata decretata la fine delle lotte e con essa della difesa degli interessi dei lavoratori, con grande gioia della Confindustria. “L’accordo interconfederale” si guarda bene dal mettere in discussione le deleghe, e non poteva essere diversamente, prevedendone ad esempio la verifica attraverso l’obbligatorietà del loro rinnovo. Oppure legando il livello di rappresentatività di ciascuna organizzazione solo ai voti ottenuti in occasione dei rinnovi delle RSU. Al contrario proprio sulle deleghe esistenti si costruisce la base della “nuova forma di rappresentatività sindacale”. Proprio grazie a ciò si garantisce alla Confindustria “l’interlocutore” che più gli aggrada premiandolo. Nel testo dell’accordo si prevede, infatti, che esso possa riguardare esclusivamente “ le organizzazioni sindacali (federazioni di categoria) aderenti alle Confederazioni firmatarie della presente intesa, o che comunque a essa aderiscano” escludendo dalla possibilità di essere riconosciuta come soggetto trattante, qualsiasi organizzazione sindacale di base o al di fuori dei sindacati riconosciuti e sgraditi al padronato. La stessa costruzione della “trattativa” è avvenuta senza alcun mandato e coinvolgimento dei lavoratori. “L’accordo” sindacale è stato raggiunto clandestinamente e non sarà sottoposto all’approvazione e giudizio di essi. La realtà è che questo è l’ennesimo “accordo sindacale” che passa sulla testa e sulla pelle dei lavoratori, dei pensionati e dei disoccupati perché accentua l’istituzionalizzazione e il corporativismo di un sindacato che ha dimenticato e tradito gli interessi di chi lavora e dei discriminati e che tenta di impedire loro la costruzione di sindacato che stiano veramente dalla loro parte e non da quella del mercato e dei capitalisti.