venerdì 24 maggio 2013

SQUINZI (Presidente Confindustria): NON SIAMO LA CASTA MA LA CASA DEL CAPITALISMO REALE

La rivendicazione fatta dal presidente Confindustria è eclatante ma non inedita. Il padronato presenta con brutalità la realtà: Se il Paese vuole uscire dalla crisi, occorre dare mano libera agli industriali, campioni dell’innovazione e del sistema produttivo. Non solo occorre diminuire ancora il costo del lavoro, ma in più va contrastata “la mancanza del lavoro è la madre di ogni male sociale”, ha tuonato ancora Squinzi. Essa va affrontata in maniera strutturale e con equilibrio, intervenendo anche sulla produttività e le regole. Le imprese “sono pronte a supportare l'azione del governo con investimenti e occupazione” Occorre, ha aggiunto, “riformare” poi il fisco italiano “punitivo” per le imprese. Un fisco che è "quanto di peggio si possa immaginare” e che "scoraggia gli investimenti e la crescita". “Chiediamo un fisco a supporto di chi crea ricchezza e la distribuisce, trasparente e rispettoso dei diritti dei cittadini e delle imprese. Questo lo aspettiamo e il paese lo merita” ha aggiunto Squinzi. Infine le banche. Negli ultimi 18 mesi lo stock di prestiti erogati alle imprese è calato di 50 miliardi: un taglio senza precedenti nel dopoguerra. Quasi un terzo delle imprese ha liquidità insufficiente rispetto alle esigenze operative. Dobbiamo contrastare la terza ondata di credit crunch. Il premier Enrico Letta, intervenuto subito dopo, ha replicato: “Siamo dalla stessa parte (del capitalismo reale), la politica forse troppo tardi ha capito la lezione, ma ora deve applicare quello che ha capito”. Il presidente della Confindustria, in un solo fiato con i rappresentanti del Governo e una schiera di ministri ossequianti, ha potuto presentare in sostanza all’intero Paese e per l’ennesima volta, la sua lista dei desideri, condita con un demagogico, finto e insultante nazionalismo, proprio mentre rivendica i meriti di classe (?) dei capitalisti italiani. Il tentativo è di dare ad intendere ai discriminati, che gli imprenditori sono colpiti dalla crisi e dal fisco proprio come tutti gli altri cittadini. Se c’è la crisi, se il nord è sull’orlo del baratro, a rimetterci sarebbero tutti, padroni e sfruttati, perché tutti sarebbero sulla stessa barca e condividerebbero lo stesso destino. La falsità e la demagogia di tutto ciò sono enormi: Squinzi nel rivendicare l’appartenenza alla casa del capitalismo reale, dimentica volutamente di dire che sono proprio il mercato e il capitalismo reale a determinare la crisi e che approfittando di essa il padronato ha operato un’enorme redistribuzione della ricchezza a danno di lavoratori e pensionati e a vantaggio di pochi capitalisti. Squinzi si lamenta per la mancanza di lavoro. Non sono proprio le politiche del padronato protese alla ricerca massimo profitto ad ogni costo, anche attraverso le speculazioni finanziarie, distruggendo l’ambiente e la salute dei cittadini o riducendo in schiavitù chi lavora, a determinare la mancanza di lavoro? Perché la Fiat invece di costruire macchine in Serbia, Polonia, Usa, ecc, sottopagando la manodopera non le fabbrica in Italia? Perché le imprese tessili italiane, che rivendicano il marchio e il made in Italy, invece di confezionare i capi in Bangladesh con manodopera a trenta euro al mese per 18 ore giornaliere di lavoro e in condizioni disumane non producono i loro capi in Italia nel rispetto delle regole, dei contratti di lavoro e dei diritti dei lavoratori? La "fuga" o il tradimento degli “imprenditori” nostrani è sotto gli occhi di tutti. Le aziende italiane “emigrate” all'estero, da un’elaborazione realizzata dall'Ufficio studi della CGIA di Mestre, svela che il numero delle imprese italiane che al 31-12-2011 (ultimo dato disponibile) hanno trasferito all'estero una parte dell'attività produttiva, è superiore alle 27.100 unità. Non dipende anche da questo l’incremento della disoccupazione? Non dipendono proprio dalle spietate regole del mercato, del capitalismo e del profitto, grazie alle quali il padronato si arricchisce, le sofferenze e le privazioni che masse crescenti di discriminati sono costretti a subire in misura sempre maggiore? La rivendicazione di Squinzi circa l’appartenenza alla ”casa del capitalismo reale” risulta arrogante e provocatoria perché nasconde l’ingiustizia e la discriminazione sociali che sono cresciute nel paese. Il padronato italiano, che la Confindustria rappresenta, ha potuto ottenere enormi profitti grazie ai sindacati asserviti e governi di ogni colore che hanno imposto sacrifici e tagli a senso unico ai lavoratori e ai pensionati italiani, azzerando i contratti di lavoro, legando il salario alle convenienze del mercato e mettendo di nuovo in mano al padrone le redini del lavoro con la cancellazione del collocamento, dell’art. 18 e istituendo il lavoro precario a vita. Essi hanno tutti collabora toto nel cancellare diritti e nel calpestare gli stessi principi costituzionali di uguaglianza e libertà tanto più decantati quanto sempre più teorici e mai veramente applicati in Italia. La Confindustria porta avanti la politica del padronato di sempre: Calo del costo del lavoro (meno salari), produttività (più lavoro) e meno fisco per le imprese. In soldoni meno salario e più lavoro e sfruttamento per i lavoratori, più profitto per i padroni e meno tasse per le imprese, quindi più tasse per i redditi fissi. Non si tratta per niente di una folgorante innovazione ma è la solita trita politica padronale della ricerca del massimo profitto. Il padronato italiano vuole presentarsi come paladino del lavoro e dei lavoratori, innovatore e lungimirante a differenza dei partiti e del sistema politico italiano corrotto e privilegiato. Se però il sistema politico italiano è corrotto chi lo corrompe? Chi sono i corruttori che intestano case agli ignari politici, chi è che corrompe, finanzia (vedi anche il recente scandalo dei soldi dati ai rappresentanti del Parlamento dai manager del gioco d’azzardo). Chi è che apre conti nei paradisi fiscali? Chi è che usufruisce dei condoni o degli scudi fiscali? Chi è che evade? Chi è che si arricchisce mentre condanna i redditi fissi al “rigore” a senso unico e alla fame? L’ultimo caso, in ordine di tempo, è quello illuminante dell’Ilva di Taranto e dei suoi proprietari la famiglia Riva. Nei loro confronti sono stati operati due sequestri di beni mobili e immobili e disponibilità economiche, per un valore di 8,1 miliardi di euro dal tribunale di Taranto con l’ipotesi accusatoria, di associazione a delinquere finalizzata alla commissione di reati ambientali plurimi e Frode fiscale, riciclaggio, intestazione fittizia e truffa ai danni dello Stato con un altro ordine di sequestro di beni per 1 miliardo e 200 milioni euro: immobili, titoli e disponibilità finanziarie “bloccati nel paradiso fiscale di Jersey” (tanto per cambiare). Somme che dovrebbero corrispondere al danno prodotto. Secondo quanto accertato nel corso delle indagini i Riva, mediante l’interposizione fittizia di alcuni trust in Italia e Svizzera, e di altre società, avrebbero nascosto la reale titolarità delle disponibilità finanziarie create con i soldi dell’Ilva, facendo risultare all’estero beni che, invece, sono nella loro disponibilità in Italia. L’obiettivo, secondo l’accusa, era di rendere applicabili i vantaggi derivanti dallo scudo fiscale: secondo le prime informazioni almeno otto operazioni. Al di la della fondatezza o meno delle ipotesi accusatorie è insultante e immorale che in una Repubblica di cittadini che, sulla carta dovrebbero essere uguali, esistano e convivano soggetti detentori ricchezze di enormi dimensioni (pochi) insieme ad altri privi di reddito o con redditi insufficienti (la maggioranza). Come si può giustificare il possesso di ricchezze così grandi di fronte alla disoccupazione, alla fame e alla miseria? E’ questo il capitalismo reale? Altro che “siamo” sull’orlo del baratro, come dice Squinzi: Siete.