lunedì 16 aprile 2012

Bersani: ”Se qualcuno pensa di stare al riparo dall'antipolitica si sbaglia. Se non la contrastiamo, spazza via tutti."

E’ quanto va affermando il segretario del Partito Democratico lamentando la crescente disaffezione verso il suo partito che, pur essendo stato “all’opposizione”, fino all’avvento dei “tecnici”, è accomunato nel giudizio negativo che riguarda i partiti politici presenti in Parlamento giudicati come ladri e tutti uguali. Bersani paventa la possibile combinazione di una miscela esplosiva antipolitica e antiparlamentare e per questo antidemocratica che potrebbe creare le condizioni per un intervento eversivo e autoritario.
Su queste argomentazioni, politiciste, indirizzate, non ai cittadini, ma ai soci di governo dell’ABC (Alfano e Casini, oltre Bersani) per gli atteggiamenti furbeschi assunti nel sostegno al Governo “tecnico” Monti, si è sviluppato un dibattito che ha riguardato anche personaggi di “spessore” come Reichlin e Macaluso, anch’essi, perlomeno formalmente in passato comunisti.
No i partiti non sono tutti uguali, com’è possibile che il Pd, sostengono, possa essere accomunato e associato con quei personaggi e partiti che sono stati l’asse politico che ha governato il Paese che ha fatto vergognoso fallimento, ed ha ridicolizzato con i suoi comportamenti l’Italia in ambito internazionale?
È il partito della destra, sostengono, che ha comprato i deputati necessari alla maggioranza, ha corrotto i giudici, ha dichiarato che pagare le tasse è un furto, ha detto che col tricolore “ci si puliva il culo”. Ha imposto alla maggioranza parlamentare di votare solennemente, nell’aula storica di Montecitorio, che la signorina Ruby era effettivamente la nipote di Mubarak. Hanno insomma portato l’Italia sull’orlo del baratro.
Il Pd è altra cosa. Il Pd, oggi è l’unica forza consistente alternativa alla destra, che può rendere possibile un ricambio democratico. Non capire tutto questo significa fare antipolitica. L’antipolitica diffusa si combatte e si vince con la politica: se prevale la prima vuol dire che la seconda è debole.

Queste argomentazioni potrebbero essere definite miopi e primitive. Esse partono dall’assunto che l’onestà e la correttezza siano elementi caratterizzanti politicamente un partito, sufficienti per far acquisire al Pd quel consenso che invece non ha. Non perché l’onestà e la correttezza politica non siano valori. Perché non si può fondare un partito politico su queste basi. La storia lo dimostra, nessuna forza politica può rivendicarne l’esclusiva.
Quello che ha determinato la differenza sono state le utopie e i progetti politici, anche rappresentati con più o meno coerenza, onestà e correttezza.
L’azione politica del Pd e dei suoi esponenti, negli anni e nelle diverse denominazioni partitiche si è sempre di più caratterizzata, contrariamente da quello che ci sarebbe aspettato da un partito che, nonostante tutto, continua a definirsi di sinistra, nel sostegno dei principi del liberismo e del mercato, dei quali rivendica addirittura la rappresentanza.
La condotta del Pd e dei governi di cui questo partito ha fatto parte, ha risentito pesantemente di questa impostazione, che è però rivendicata anche dallo schieramento contrapposto di centrodestra con il quale il Pd è in competizione non sulla base di un progetto politico alternativo, ma per la presunta maggiore capacità, competenza, onestà e correttezza nel liberalizzare e nel privatizzare.
La competizione con il centrodestra, che a sua volta rivendica la stessa rappresentanza e politica, è su questo.
Quello che il Pd e i suoi dirigenti fingono di non capire è che i cittadini non intravvedono nel Pd un’alternativa al partito e a Berlusconi e al centrodestra, perché entrambi legati al mercato.
Come non considerare legate al liberismo le azioni dei governi che si sono succeduti negli ultimi venti anni? Prendiamo ad esempio il sistema previdenziale e le pensioni. La controriforma o destrutturazione, tesa a legare alle logiche di bilancio e non ai bisogni dei cittadini lo stato sociale, è stata inaugurata da un altro governo di “tecnici” presieduto da Dini, proveniente dal centrodestra, cui poi è tornato, e sostenuto anche dai Democratici di sinistra. Nei governi susseguitisi, l’operazione è andata avanti, sostenuta alternativamente dai due “schieramenti” a seconda della loro collocazione, o al governo o all’opposizione, per arrivare in ultimo al voto palesemente comune di cui è stato gratificato il nuovo “tecnico” Monti.
La precarizzazione del lavoro, non è forse sostanzialmente cominciata con la legge n.196 del 1997, dell’allora Ministro del Lavoro di centrosinistra, Treu e proseguita poi con la legge del centrodestra denominata Biagi n.30 del 2003?
Le politiche di azzeramento dei diritti sindacali e di contenimento dei salari, oltre che delle pensioni, per renderli compatibili con il mercato, non sono state perseguite indifferentemente da entrambi gli schieramenti? Non è a causa di queste politiche che si è determinato un crescente impoverimento dei redditi fissi a favore degli altri redditi? Senza creare, per aggiunta, in barba alle chiacchiere e della demagogia, alcun nuovo posto di lavoro ma incrementando solamente i profitti?
Se in Italia i lavoratori dipendenti hanno i redditi più bassi di quelli dei lavoratori degli altri paesi Ue è un fatto casuale? Se il reddito si concentra sempre di più nelle mani di pochi, a chi è da attribuirne la responsabilità? Se dal 2020 le pensioni italiane saranno le più basse d’Europa di chi è la responsabilità? Se il carico fiscale in Italia grava soprattutto sui redditi fissi ed è il più alto nel continente di chi è la responsabilità? Se sul piano fiscale il dipendente guadagna più dell’imprenditore, da cui dipende, di chi è il merito?
I vari interventi militari, naturalmente a difesa della pace e della democrazia, che si sono susseguiti negli anni, Jugoslavia, Iraq, Afganistan e Libia, non sono forse stati portati indifferentemente avanti dai governi dei due schieramenti? Non è stato proprio il Pd a determinare, con la sua posizione apertamente interventista, l’intervento italiano in Libia?
L’informazione, il sapere, la salute, l’energia e l’acqua, i trasporti, ecc. non rispondono sempre più a logiche di mercato e di profitto a danno della qualità e del sociale? Chi ha determinato ciò? Forse il Pd vuole cambiare questo stato di cose?
L’attuale situazione economico-politica è il prodotto di una sorta di staffetta politico-governativa fra centrodestra e centrosinistra alternatisi nel governare e ora arrivati dopo venti anni di contrapposizioni di facciata e di teatrini, a sostenere apertamente con il voto lo stesso governo e le stesse politiche che stanno determinando una macelleria sociale senza precedenti.
I cittadini hanno capito che il loro parere non conta e non è richiesto nemmeno. Nessun partito ha mai richiesto un mandato elettorale per tagliare le pensioni o produrre leggi di precarizzazione del lavoro o strozzare i redditi fissi con un carico fiscale insopportabile. Neanche dei molteplici pronunciamenti referendari dei cittadini i politici, di entrambi gli schieramenti, hanno tenuto o stanno tenendo conto: sul nucleare (due referendum), sul finanziamento dei partiti, sui ministeri dell’agricoltura e della sanità, ecc. Se questa è la democrazia …..
Perché mai i cittadini, i lavoratori, i pensionati, i precari e i disoccupati dovrebbero dare il proprio consenso a un partito che si dice di sinistra e poi è totalmente schierato su posizioni politiche legate al liberismo, al mercato, alle privatizzazioni e alle compatibilità capitaliste o tipicamente di destra come avvenuto anche con le “riforme” elettorali ispirate al sistema maggioritario?
I dirigenti del Pd ritengono che il loro punto di vista rappresenti la Politica, sia oggettivo ed indiscutibile, mentre quello di chi non concorda con loro sia dettato, a seconda dei casi e della convenienza, o da atteggiamenti pregiudiziali e ideologici o dall’antipolitica.
E’, invece, il confronto tra progetti alternativi credibili che può sconfiggere possibili tentazioni populiste (Berlusconi) o apertamente autoritarie.
L’opinione pubblica non vede nel Pd e nei suoi dirigenti una alternativa al centrodestra, perché con la loro condotta essi portano tutta la responsabilità storica e politica per aver contribuito a cancellare quello che di buono c’era, e non era poco, nella sinistra della cosiddetta prima Repubblica, altro che antipolitica.

giovedì 12 aprile 2012

Cgil Cisl e Uil fingono di opporsi alla “riforma delle pensioni”

Il 13 aprile si terrà a Roma la manifestazione nazionale di Cgil Cisl e Uil per “ottenere soluzioni immediate per chi è rimasto: senza lavoro, senza reddito e senza pensione e per cancellare l’ingiustizia delle ricongiunzioni onerose”.
La crisi economica ha determinato la chiusura di tantissime aziende e la perdita di centinaia di migliaia di posti di lavoro. Laddove è stato possibile sono stati sottoscritti accordi sindacali, anche con la partecipazione di rappresentanti pubblici che hanno agevolato l’esodo dei lavoratori anziani. Tantissimi lavoratori sono stati indotti a rinunciare al proprio lavoro e ad accettare il licenziamento perché prossimi alla pensione in base ai requisiti previsti dalle norme preesistenti la “riforma delle pensioni” del governo Monti.
Con la “riforma” Monti sono state abolite le pensioni di anzianità ed è stato elevato il limite di età e di contribuzione per l’accesso alle nuove pensioni questo ha prodotto che i lavoratori posti in esodo si sono trovati senza lavoro, senza stipendio e senza pensione a causa dell’incremento dell’età riguardante la speranza di vita.
A questo va ad aggiungersi l’incremento scattato dal luglio del 2010 che impone ai lavoratori, in particolare quelli esodati, per andare in pensione, pesantissimi oneri di ricongiunzione molto gravosi, in molti casi, di centinaia di migliaia di euro, con la conseguenza che molti lavoratori, non potendo pagare, si trovano nella condizione di non aver diritto a pensione.
Manifestare contro un governo che stravolge le regole pensionistiche e priva del necessario per vivere chi, dopo aver lavorato una vita, è arrivato al traguardo della pensione non solo è giusto ma sacrosanto.
La violenza esercitata su chi è incappato nelle “nuove” regole delle pensioni credendo nei suoi diritti e nello stato di diritto che dovrebbe esistere un Paese civile è enorme. Per loro non c’è salvezza alcuna, altro che decreto “salva Italia”.
Fa bene dunque il sindacato a manifestare contro questa palese ingiustizia e prevaricazione.
Stupisce e indigna però che non sia oggetto della protesta la riforma delle pensioni nel suo insieme ma essa sia circoscritta ai soli obiettivi, pur giusti, relativi gli esodati e le ricongiunzioni onerose.
Il 12 dicembre dello scorso anno Cgil, Cisl e Uil hanno indetto lo sciopero generale contro l’operato del Governo Monti, in particolare le richieste Cgil erano: La conferma dell’indicizzazione sulle pensioni medio basse; la conferma come requisito per l’accesso alle pensioni di anzianità di quaranta anni di contribuzione; la tutela dei lavoratori in mobilità o licenziati; di rendere più graduale l’innalzamento dell’età pensionabile per le lavoratrici; di rendere progressiva l’imposta sulla casa, altrimenti graverebbe soprattutto sui redditi medio bassi; di attuare la riforma degli ammortizzatori sociali.
In aggiunta la Cgil, nel definire iniqua la manovra perché colpiva soprattutto i redditi più bassi, contraeva i consumi, accentuava la recessione, creava nuova disoccupazione, chiedeva che a pagare fossero i più ricchi e chi non ha mai pagato. Per questo richiedeva: 1) Una imposta sulle grandi ricchezze; 2) La tassazione vera dei capitali scudati; 3) La tassazione dei capitali portati in Svizzera; 4) La vendita e il canone sulle frequenze televisive; 5) La riduzione delle spese per l’acquisto di 131 bombardieri F 35; 6) L’avvio di una seria e costante battaglia contro l’evasione fiscale, tra le più alte e scandalose al mondo.
Di tutte le richieste, pur molto moderate, avanzate dalla Cgil, quante sono state accolte? Pressoché nessuna. La stessa richiesta di riforma degli ammortizzatori sociali si è tramutata in un ennesimo attacco ai diritti dei lavoratori che sono i soli a pagare, sull’articolo diciotto.
Troppo poco.
La manifestazione del 13 aprile avrebbe dovuto essere il conseguente proseguimento di quanto iniziato con lo sciopero generale di dicembre. Invece sembra il suo definitivo affossamento poiché “dimentica” le rivendicazioni che lo stesso sindacato si era dato e cancella dagli obiettivi dell’iniziativa ogni rivendicazione di equità.
C’è da augurarsi che la manifestazione di domani coinvolga una grande massa di lavoratori che non è contro l’iniqua politica del Governo Monti e la sua politica pensionistica, ma solo sui problemi degli esodati e delle ricongiunzioni.
Questi obiettivi parziali fanno passare in secondo piano gli stessi pronunciamenti del sindacato pronunciati nelle piazze in occasione dello sciopero generale del 12 dicembre e riducono la protesta a soli obiettivi particolari con il fine di illudere i lavoratori sui reali contenuti della lotta, da una parte, e dare un messaggio politico ben preciso, al Governo ed al padronato, dall’altra, sulla reale intenzione del sindacato: Quello di rinunciare a combattere su tutto il resto. Del resto i pacchetti di sciopero a babbo morto lo dimostrano a pieno.