mercoledì 30 giugno 2010

Cgil, Cisl e Uil: viva la sanità integrativa (o privata)

E’ stato raggiunto nei giorni scorsi un accordo sindacale sottoscritto dalla Luxottica e da Cgil, Cisl e Uil, che per l’occasione hanno ritrovato l’unità.
Questa intesa azienda-sindacati ha prodotto, come ha scritto il Corriere della sera, la nascita della “prima Cassa sanitaria” aggiuntiva per i 7.300 dipendenti della Luxottica. La nuova Cassa coprirà le spese sostenute per le prestazioni odontoiatriche, le visite specialistiche, gli esami di alta diagnostica e i grandi interventi. Per ciascuna di queste tipologie i massimali di spesa sono stati concordati al tavolo delle trattative. In termini di incremento del valore reale delle retribuzioni si stima che una famiglia media possa risparmiare un minimo di 300 euro di spese l'anno e fino a 5mila euro in caso di grandi interventi ospedalieri. Per la maternità è previsto un ulteriore contributo di circa 350 euro (e vale la pena ricordare come la manodopera femminile sia circa il 60 per cento dei dipendenti Luxottica). L'accordo inizialmente durerà un anno ed è stato negoziato con Cgil, Cisl e Uil comma per comma. Il dipendente Luxottica ovviamente resterà in carico al Servizio sanitario nazionale ma per tutte le prestazioni aggiuntive (ma anche solo per accelerare i tempi di un esame specialistico) potrà accedere ai servizi della Cassa senza sborsare un euro.
Sicuramente questo è un accordo controcorrente che viene sottoscritto in un momento in cui i diritti dei lavoratori sono messi in discussione o annullati, anche in materia di sanità o più in generale di welfare. Invertire questa tendenza in sede di contrattazione articolata o decentrata può essere a prima vista considerato un successo che può segnare la strada per altri lavoratori di altre aziende, al fine di ottenere gli stessi risultati. Se non fosse per il fatto che purtroppo oggi nei posti di lavoro, vedi Pomigliano, si discute degli stessi argomenti ma su sponde ben diverse. La stragrande parte delle aziende poi oltre a costringere i lavoratori su una posizione di difesa del salario e dei diritti acquisiti, li pone troppo spesso a confrontarsi con la cassa integrazione, la mobilità e la disoccupazione.
Come valutare questo tipo di accordo allora? E’ l’inizio della riscossa dei lavoratori?
Tutt’altro. Le “conquiste”contenute nell’accordo lungi dall’intaccare lo stato generale della sanità (non potrebbe essere altrimenti) con ticket, lunghissime attese per prestazioni specialistiche, chiusura di ospedali, ecc. ecc. determina una situazione che si potrebbe definire di minor disagio relativo per i dipendenti Luxottica: questi ultimi infatti, pur restando come tutti i cittadini italiani all’interno del servizio sanitario nazionale, godrebbero di un trattamento “integrativo” rispetto a quello degli altri lavoratori italiani. Questo accordo “apre la strada” per tutti i dipendenti che potranno, avendo questo precedente, raggiungere intese sulla stessa materia e quindi sarebbe da considerarsi positivo e da imitare. Se non fosse per una considerazione tutt’altro che secondaria: è giusto e moralmente legittimo creare o meglio ricreare una nuova cassa malattia? E’ giusto frammentare, in relazione ai singoli posti di lavoro dove questo è possibile, il rapporto fra lavoratore, cittadino e sanità? In conclusione è giusto differenziare i trattamenti in una materia come la sanità che, in uno stato civile, dovrebbe essere la stessa per tutti i indipendentemente dalla condizione economica, lavorativa, occupazionale o di residenza? Oppure è preferibile ricreare tante casse sanitarie riproponendo lo stato di cose esistente prima della riforma del 1978 nella quale, oltretutto, i lavoratori e le loro famiglie avevano diritto alla assistenza sanitaria solo se occupati o fino a sei mesi dopo il licenziamento? Non si resusciterebbe la situazione incivile e ingiusta di sanità diverse legate non al diritto di ogni individuo, ma al reddito e alla condizione economica?
La risposta a questi quesiti l’ha data il sindacalista della Cgil che ha sottoscritto l’accordo: ”le questioni ideologiche si possono discutere fino alle 11.30, ma a mezzogiorno si deve mettere qualcosa in tavola e noi lo abbiamo fatto”. La volgarità e la brutalità di questa risposta ha il merito della sincerità su una posizione ideologica “liberale” cui anche la Cgil è approdata. E’ tempo cioè, per costoro e per la Cgil, di abbandonare anche in materia di sanità l’utopia “ideologica e sessantottina” dell’uguaglianza. Chi può si serva meglio! Evviva la “libertà” liberista che consente ai “migliori” il meglio e riserva ai “peggiori” il peggio.
Questa “vittoria” sindacale lungi dal rappresentare un successo per i lavoratori rappresenta l’approdo, dopo la deriva del sindacato e della Cgil verso le teorie liberali-padronali, verso la privatizzazione oltre che della scuola, dei servizi, dell’informazione, delle risorse energetiche anche della sanità. Tutto ciò non può che passare attraverso il disorientamento e la frammentazione dei lavoratori e delle loro rivendicazioni.

martedì 29 giugno 2010

Proletari e padroni di tutto il mondo, unitevi!

I lavoratori possono stare tranquilli: hanno dalla loro parte la Marcegaglia che si batte per i loro diritti e interessi che, secondo lei, sono gli stessi dei padroni. E' quanto emerge dalle due dichiarazioni sottostanti rilasciate nel tempo da questa novella paladina degli evidenti interessi comuni (?) di padroni e lavoratori.
Novembre 2008: "Secondo noi quello che serve in questo momento è un aiuto ai redditi più bassi e un supporto alle imprese perché continuino (?) a investire!"
29 giugno 2010: "Stiamo chiedendo al ministro Tremonti un tavolo sul problema del fisco (carico fiscale dati Istat 43,2 per cento; dati Cgia Mestre 52 per cento). Siamo consapevoli che il tema del rigore e dei debiti è un tema al centro dell'attenzione e quindi spazi nel brevissimo saranno difficili, però è importante parlarne, perché non possiamo andare avanti così con una pressione fiscale così alta per le imprese e per i lavoratori".
Chi l'avrebbe mai detto? Padroni e lavoratori uniti nello stesso destino!

lunedì 28 giugno 2010

Rigore ad personam

Il Capo del Governo, nonché imprenditore e capitalista fra i più ricchi al mondo, ha partecipato alla riunione dei cosiddetti G20 che si è tenuta a Toronto. In quella sede è stata affrontata l’eventualità di concordare una forma impositiva per le banche: tra le ipotesi possibili l’attenzione si è concentrata su un’eventuale tassazione delle transazioni finanziarie o sull’eventuale introduzione di una tassa globale. Com’era prevedibile su entrambe le proposte non è stato raggiunto alcun accordo, quindi le banche e i “poveri” finanzieri possono dormire sonni tranquilli. Del resto il padronato nostrano, pur in perenne “sofferenza” per l’alto costo del denaro imposto dalle banche, per voce della Presidente della Confindustria si era già schierata contro l’eventuale introduzione di una tassa, perché questa si sarebbe scaricata su imprese e “risparmiatori”.
Nel nostro Paese l’unica categoria o classe sociale che non può "scaricare" proprio nulla, ma sulla quale però si "scarica" sempre tutto, sono i redditi fissi (lavoratori dipendenti e pensionati). Su costoro si scaglia il fisco, con un’imposizione diretta che non lascia scampo. Tutto questo attraverso il sostituto d’imposta il quale versa, quando lo fa, allo Stato l’Irpef dovuta (dal lavoratore o dal pensionato) senza farla nemmeno transitare nella busta paga. In quest’ultima sono visibili soltanto i numeri (ahinoi) delle somme trattenute. Per non parlare dell’imposizione indiretta che grava pesantemente sui redditi fissi, cui è pressoché negata la possibilità di rivalersi (aumentando i propri stipendi ad esempio) o di scaricare alcunché come fanno tutte le altre figure economiche.
Tornando da Toronto il Capo del Governo ha usato frasi che purtroppo conosciamo bene: ”La crisi è alle spalle, ma non significa che i sacrifici siano finiti”. Poi rivolto alle Regioni ha affermato: ”Tagliare è sempre difficile e doloroso, ma non si può andare avanti così a sprecare i soldi dei cittadini”. Infatti i servizi per i cittadini secondo i liberali - liberisti e padroni - rappresentano un costo improduttivo che determina il carico fiscale da tagliare. Tagli alle pensioni, alla sanità, alla scuola, alla ricerca, ecc. ecc. ecc. Su tutto ciò le Regioni, pur tra qualche protesta di rito, si stanno già attivando o con la chiusura di ospedali, per esempio, o con l’ennesimo aumento dell’Irpef che naturalmente pagheranno solo i redditi da busta paga.
Anche gli stipendi dei lavoratori sono troppo alti e non permettono alle “povere” aziende italiane di competere a livello globale. Per non parlare del costo, non solo economico, dei diritti dei lavoratori (come quello alla salute e allo sciopero) che possono determinare addirittura l’espatrio clandestino definitivo della Fiat in Polonia o in America su un qualche barcone perennemente in procinto di affondare.
Rigore, rigore e ancora rigore dunque: ci dobbiamo dimenticare gli sprechi di questi ultimi anni. Ci siamo abituati a un tenore e a uno stile di vita troppo alto per le nostre possibilità!
Chissà se Berlusconi dopo Toronto è andato ad affrontare la sua parte di rigore sulla nuova imbarcazione superlusso da 37 metri del figlio del costo di 18 milioni di euro. La “Custom Line 124”, così si chiama la “barchetta”, sostituirà la “Suegno”, l’altro yacht acquistato solo tre anni fa da Piersilvio. Il “Suegno” però non era un sogno per il rampollo della famiglia Berlusconi, perché poverino stava troppo stretto in 30 metri. Oppure Il nostro rigorista andrà a meditare in “buen retiro” nella sua villa Gernetto a Lesmo, una delle tante, di appena 350mila metri quadri.
Del resto Lui deve dare il buon esempio! Cribbio!

sabato 26 giugno 2010

Moltheni

Moltheni è Umberto Giardini. Giovedì scorso il suo ultimo concerto a Roma, al Circolo degli Artisti. Poi il ritiro dalle scene. Dopo oltre dieci anni di attività lo stop nel luglio di quest'anno, con la fine del tour. Dieci anni di canzoni, di parole e melodie mai banali, lontane dalla musica standardizzata delle radio nazionali o dal supermarket dei reality. Uno stop per protestare contro tutto questo. E di fronte a un Paese rozzo nei confronti della cultura e nel suo insieme, alla fatica di dover essere artista e contabile allo stesso tempo, all'omologazione imperante, alla "fine della discografia italiana". Lo stop di Moltheni ma, speriamo, non della musica di Umberto Giardini.



"Ah, dimmelo ancora
che non è vero
che tutto adesso è così poco sincero
L'Italia che affonda,
l'Italia che galleggia sopra un'onda
in un mare di volgarità
L'Italia che da ciò che non occorre
L'Italia inquinata,
l'Italia che apparentemente reagisce
che poi finisce in un TG al tasto 4 del mio telecomando
L'Italia che urlando pare ce la faccia
puttana di un governo come carta straccia
che mi indispone e mi convince che non va bene
L'Italia degli sguardi
l'Italia dei partiti ingordi, che mangia tutto e non digerisce
l'Italia che impedisce a chi vuol fare
L'Italia in cancrena,
come befana incurvata in avanti con al schiena
divisa in due, proprio come noi due
L'Italia nei tuoi occhi
di ciò che provochi quando mi tocchi
quando non c'è da fare niente,
nell'immondizia del mio cuore, che come vedi,
non è apparente
nell'immondizia del mio cuore, che come vedi,
non è apparente
nell'immondizia del mio cuore, che come vedi,
non è apparente
nell'immondizia del mio cuore
Io sono l'Italia che muore,
l'Italia che muore"

(Moltheni, "Per carità di Stato")

venerdì 25 giugno 2010

L’Unità e il comunista su misura

E’ comparso, un paio di giorni or sono sull’Unità on line, un articolo dedicato a un operaio della Fiat di Pomigliano nel quale quest’ultimo si definisce “orgogliosamente e testardamente comunista”. L’operaio dichiara di essere iscritto alla Fim Cisl e di non essere più militante del Partito della Rifondazione comunista da due anni. Con riferimento al referendum di Pomigliano afferma: ”Se chiude la fabbrica consegniamo 17mila persone alla camorra” non solo, in questo caso si “farebbe crollare del 20 per cento il Pil (prodotto interno lordo) della Campania”. Conclude poi: ”Autoconfinarsi nella ridotta massimalista significa, per una parte del sindacato, favorire il disegno di questo Governo e di questa maggioranza, teso a eliminare dalla scena politica e sindacale ogni forma di dissenso organizzato" (favorendo il consenso organizzato?) "Così veramente nessuno disturberà più il manovratore" (allora meglio firmare l’accordo come hanno fatto Cisl, Uil e Ugl?) "Siamo già fuori dal Parlamento (?), vogliamo farci cacciare anche dalla fabbrica? Io con Marchionne voglio continuare ad averci a che fare, voglio continuare a contrappormi a lui su tutto" (meno che sull’accordo sottoscritto che a causa della mancata firma della Fiom ha reso necessario il referendum) "sugli orari, gli scioperi, le malattie, i turni, le condizioni di lavoro”. E’ per questi motivi che il nostro testardo comunista all’Unità dichiara di aver “votato sì a testa alta” al referendum".
Era da molto tempo che sull’Unità, giornale che porta ancora la dicitura “fondato da Antonio Gramsci”, non veniva dato così grande risalto a una persona che si autodefinisce comunista (perlomeno venti anni). Dopo tutto questo tempo il quotidiano è riuscito a trovare un comunista che ha la stessa posizione del Pd sulla vicenda Pomigliano e in generale sulle “strategie sindacali”. Sorge il sospetto che questo comunista sia su misura per il Pd (e forse proprio per questo ha trovato spazio su quel giornale). Non si contesta la legittimità delle posizioni di ciascuno, quanto la correttezza dell’uso che se ne fa. L’Unità, infatti, dopo aver smesso anche formalmente di essere un giornale comunista, vuole accreditare l’opinione verso i suoi lettori di essere ancora punto di riferimento anche per chi si ostina a dichiararsi comunista. Un’operazione spregiudicata e patetica per catturare consensi che dà la misura della disperazione politica di un giornale che non ha il coraggio delle sue idee politiche, come il Pd del resto.
Nel merito delle posizioni, il nostro orgoglioso e testardo operaio comunista è preoccupato per il Pil della Campania, del pericolo della crescita dei consensi per la camorra, si dichiara iscritto alla Cisl e si dice pronto a continuare a contrapporsi a Marchionne su orari, ecc. ecc. Partendo proprio da queste ultime considerazioni, non mi pare che la Cisl abbia una storia di contrapposizioni né con il padronato, né col Governo negli ultimi anni. In particolare: ha sottoscritto, insieme alla consorella Uil e senza la Cgil (che poi, però, si è accodata) ogni sorta di accordo patriottico (senza alcuna verifica referendaria tra i lavoratori, cui si è opposta) sulla politica dei redditi e della concertazione (con l'eliminazione della scala mobile), sulle pensioni, sulla precarizzazione e flessibilità del lavoro, sulla manovra economica del Governo che ha di fatto condiviso. Inoltre a Pomigliano ha concesso di tutto di più su orari, scioperi, malattia, turni e condizioni di lavoro.
Il Pil lasciamolo alla Confindustria e al padronato, loro se ne intendono di più, noi parliamo di occupazione e di salari. I dati macroeconomici ci dimostrano, infatti, che se il Pil cala a pagare sono i lavoratori, se cresce a guadagnarsi sono i padroni. La camorra e la mafia fioriscono soprattutto nelle aree in cui non è garantito il diritto al lavoro dallo Stato cui si sostituisce la malavita organizzata nel “fornire” lavoro ai disoccupati, perché un’intera classe politica e padronale per decenni ha elargito a pioggia i finanziamenti della defunta Cassa del Mezzogiorno. Finanziamenti che erano destinati allo sviluppo di quelle aree per creare occupazione e non per finanziare imprenditori pescecani e speculatori che hanno realizzato cattedrali nel deserto e sono poi tornati al nord col malloppo.
Caro compagno (si può dire ancora compagno per un comunista che rilascia le sue dichiarazioni sull’Unità?) rifletti! Il tentativo del padronato è di scambiare un misero e schiavizzato posto di lavoro con diritti fondamentali di civiltà, salari taglieggiati e condizioni di lavoro barbare: non ritieni che un comunista a tutto ciò si dovrebbe opporre? In questo caso non ti potrebbe sorgere il legittimo sospetto di essere stato usato da Marchionne e dall’Unità come uno specchietto per le allodole?

giovedì 24 giugno 2010

Fratelli d’Italia

Il Centro studi della Confindustria (Csc) ha pubblicato uno studio sulla situazione macroeconomica del nostro Paese. Il giudizio che emerge dai dati (sempre secondo il Csc) è riassunto nelle seguenti valutazioni: l’Italia è fuori dalla recessione; il Pil (prodotto interno lordo) si attesterà a fine 2010 su un più 1,1 per cento e nel 2011 arriverà a più 1,6 per cento. Queste cifre positive sussistono nonostante l’impatto restrittivo (meno 0,4 per cento) dovuto agli effetti della manovra economica “correttiva” del Governo. A sostenere la crescita, prosegue il Csc, c’è il deprezzamento dell’euro che “migliora la competitività dei prezzi delle merci italiane”. In ultimo lo studio annota che in due anni (fino a tutto il 2009) si sono persi 528mila posti di lavoro.
La prima considerazione che si può fare su tutto ciò è la seguente: se il Pil cresce vuole dire che c’è una ripresa economica e le aziende producono, vendono e incassano; contemporaneamente, però, si verifica un calo nell’occupazione pari a più di 500mila lavoratori, calo che non sembra arrestarsi. Ciò sta a significare che i benefici di questa contingenza economica favorevole sono tradotti e lo saranno anche per il futuro solo in aumento dei guadagni e dei profitti imprenditoriali. Lavoratori, disoccupati e precari infatti non hanno avuto, proprio in base ai dati del Centro studi della Confindustria, alcun beneficio o miglioramento né in termini di occupazione (gli occupati sono calati) né in termini di aumenti salariali (vedi Pomigliano e il pubblico impiego grazie alle recenti decisioni assunte dal Governo con il blocco dei salari). Le aziende con meno occupati oltretutto hanno prodotto, venduto e incassato di più. Questo significa che si è verificato un aumento della “produttività” (o dello sfruttamento) per gli occupati che hanno lavorato anche per gli espulsi dai cicli produttivi.
La verità dei fatti ci dice che esistono due “sistemi Italia” i cui destini sono totalmente differenti: uno, quello imprenditoriale, i cui affari vanno avanti sempre, in crisi e non, che guadagna comunque e che cerca di imporre i propri interessi come vantaggio per tutti e come bene supremo della Nazione; l’altro “sistema Italia”, cui va sempre male, sia con dati economici positivi che negativi. Su quest’ultimo vengono scaricati tutti i costi della crisi: nella società sul piano dei diritti sociali ed economici e nel posto di lavoro col calo dei diritti normativi e salariali.
E questa Italia è tuttora in piena recessione.

mercoledì 23 giugno 2010

Pomigliano, il padrone è nudo

L’esito del referendum era scontato. Era naturale che tra la scelta della certezza della disoccupazione e quella di iniziare una dura e difficile battaglia in difesa dei diritti consolidati, dagli esiti incerti, ben pochi avrebbero avuto dubbi (sì al 62 per cento). Non c’è stato però il plebiscito, anzi una larga fetta di lavoratori (no per il 36 per cento) non ha ceduto al ricatto, nonostante la maggior parte delle sigle sindacali “ragionevoli” e tutti i partiti del Parlamento, se si esclude l’Italia dei valori, si fossero schierati per il sì. Fuori il Parlamento hanno appoggiato la posizione del no i partiti della Federazione di sinistra e la formazione di Vendola.
Che non si trattasse di un semplice scontro contrattuale lo si era capito subito, dallo schieramento a favore dell’accordo capeggiato dalla Fiat e dalla Confindustria e dagli stravolgimenti contenuti nell’ipotesi di accordo. Il padronato e i suoi sodali però, pur avendo vinto, non hanno stravinto. Il silenzio della Fiat dopo la chiusura delle urne lascia chiaramente intendere come l'azienda non sia per niente soddisfatta della percentuale di consensi ottenuta. L’affermazione poi della volontà dichiarata dalla Fiat che "l'azienda lavorerà con le parti sindacali che si sono assunte la responsabilità dell'accordo al fine di individuare e attuare insieme le condizioni di governabilità necessarie per la realizzazione di progetti futuri" sta a dimostrare che i giochi sono tutt’altro che conclusi.
Quest’ultima dichiarazione dimostra il concetto di democrazia che ha l’azienda e che si vorrebbe introdurre nel Paese: "tratto solo con chi è d’accordo con me!" (con chi accetta supinamente, cioè, la mia volontà e interesse, magari per rilanciare ancora più in alto). Ultimo esempio di un padronato arrogante, con un chiaro sapore di ritorsione verso chi si è espresso contro la sottomissione a un contratto polacco (quindi con minori garanzie e diritti e contrario alle leggi italiane) pur di poter lavorare.
Il ministro del lavoro nella sua “imparzialità” ha, dal canto suo, paragonato la vittoria del sì a quella ottenuta dal padronato nel referendum sui quattro punti di scala mobile del decreto di San Valentino. In quella occasione il governo Craxi, coadiuvato dai “rappresentanti dei lavoratori” Cisl e Uil, con l’astensione della Cgil di Lama, tolse per decreto, dagli stipendi di tutti i lavoratori italiani, 27mila e 200 lire per regalarli al padronato, con la scusa che questo avrebbe rilanciato l’occupazione. La storia e il ricatto si ripetono: l’occupazione in cambio dei diritti. Il segretario Cisl invece, nel dichiarare che hanno vinto le forze “propositive” su quelle dello “sfascio”, terrorizzato che il suo “contributo” al sì non determini comunque l’investimento promesso, invita la Fiat a non fare scherzi.
Il 36 per cento rappresenta un'opposizione molto superiore (tre volte alla normale rappresentanza) se lo rapportiamo agli iscritti Fiom e Cobas. Da questo 36 per cento occorre ripartire a Pomigliano e nel Paese per una nuova stagione di lotte sindacali contro chi, padronato, partiti e sindacati concertativi, considera il lavoro un regalo e non un diritto. E per chi pensa che la ricerca del profitto anteposta ai diritti delle persone sia un furto e alla base delle discriminazioni di classe e dell’ingiustizia sociale.

martedì 22 giugno 2010

Il referendum di Pomigliano

Si tiene oggi il referendum sull'accordo sindacale di Pomigliano sottoscritto, oltre che dalla Fiat, da tutte le sigle sindacali esclusa la Fiom e i sindacati di base.
Con il referendum la Fiat e il padronato intendono "saggiare" il livello di consapevolezza e di disponibilità dei lavoratori. Se sono cioè, in una epoca di "competizione globale", disposti a subire il ricatto rinunciando a diritti costituzionali, contrattuali e di civiltà. Il tutto adeguando il proprio status a quello dei lavoratori dei Paesi del Terzo mondo, che grazie alle logiche del mercato diventano competitori in una sorta di gara in negativo, pur di lavorare.
Proprio questo è in gioco! Il venir meno nel Paese e in Parlamento di una forte componente politica di classe dei lavoratori ha spianato la strada e ha rinvigorito il padronato, che si sente forte al punto di tentare di dare la spallata finale. L'obiettivo è piegare il settore operaio tradizionalmente più combattivo, quello dei metalmeccanici, aprendo così la strada per la restaurazione di un sistema sociale che rimetta al centro il profitto e il mercato.
Quanto succede a Pomigliano fa il paio con ciò che sta accadendo in Parlamento, con il tentativo di modifica dell'articolo 41 della Costituzione. Occorre prendere coscienza della portata dello scontro in atto il cui esito determinerà, in un modo o nell'altro, il nostro futuro. Sulle spalle della Fiom e dei Cobas grava una grande responsabilità. Queste due organizzazioni sindacali rappresentano oggettivamente l'unico baluardo rimasto a difesa dei diritti e della Costituzione nata dalla Resistenza. L'altro sindacato, quello disponibile alla rinuncia e alla cancellazione di decenni di lotte e conquiste sindacali per un piatto di lenticchie, brinderà alla vittoria con la Fiat per il "sì" al referendum. Diranno che avevano ragione loro. Che il voto di consenso all'accordo sottoscritto è un voto contro le posizioni estremiste di chi vi si opponeva. Diranno che ha prevalso la "ragione" e hanno vinto loro! Ma è una vittoria di Pirro.
I lavoratori, non solo quelli di Pomigliano, in tutta questa vicenda hanno avuto modo di capire chi sta dalla loro parte e chi è con il padrone. Il "sì" al referendum non esprime infatti il consenso dei lavoratori ai contenuti dell'accordo, ma al lavoro cui non si può e non si deve rinunciare. Gli scioperi a Termini Imerese e alle carrozzerie di Mirafiori contro l'atteggiamento arrogante e prepotente assunto dalla Fiat e in solidarietà con i lavoratori di Pomigliano, possono essere un primo segnale di risveglio che può preludere a una nuova stagione di riscossa dei lavoratori italiani.

lunedì 21 giugno 2010

Il Teatro dei "nostri" Orrori

Ieri sera il concerto a Villa Ada a Roma. Le parole di Pierpaolo Capovilla sono un macigno contro la nostra società e cosa questa è diventata. E l'entusiasmo che si percepisce in ogni loro esibizione dimostra come la gente creda in un cambiamento e nella forza che può avere la musica. Che non sia solo una facile melodia da consumare in fretta.

"Questa canzone avrebbe l'ambizione di narrare un fallimento, il fallimento della mia generazione. Io sono nato nel 1968 e vent'anni fa non mi sarei mai aspettato di ritrovarmi a vivere in un Paese così brutto, egoista e bugiardo come è diventato oggi".
(Pierpaolo Capovilla, introduzione a "E' colpa mia", Villa Ada (Rm) 20/06/10)



"E' colpa mia
se siamo diventati indifferenti
più poveri più tristi e meno intelligenti
è colpa mia
che non mi curo delle tue speranze
forse perché delle idee non so più che farne
è colpa mia
non ci avevo mai pensato
è colpa mia
non presto mai troppa attenzione
è colpa mia
perché non prendo posizione
è colpa mia
mi crolla il mondo addosso
se ci penso non me ne frega niente
è colpa mia
ho aperto gli occhi all'improvviso
e ho visto te e nessuna spiegazione
soltanto quando è troppo tardi
ti ricordi ch'è tutto vero
è colpa mia
ho aperto gli occhi all'improvviso
e ho visto te e nessuna spiegazione
figlio mio ci pensi, un giorno, tutto questo sarà tuo
neppure se ti vedo piangere riesco ad essere felice
neppure se ti parlo veramente
quando ti dico che per me non conti niente
neppure tu
è una vita spesa male
ma tanto ormai è finita e lo sai
perché è finita
era un autunno mentre l'inverno si avvicina
è colpa mia
se siamo diventati indifferenti
più poveri più tristi e meno intelligenti
perché non mi curo delle tue speranze
è colpa mia
se siamo diventati indifferenti
per piccoli egoismi e altrettante bugie
e nessuna spiegazione
è colpa mia
che non mi curo delle tue speranze
per piccoli egoismi e altrettante bugie
e nessuna spiegazione
figlio mio ci pensi, un giorno
tutto questo sarà tuo"

(Il Teatro degli Orrori, "E' colpa mia")

domenica 20 giugno 2010

"L'opposizione" di Bersani

Si è svolta il 19 giugno a Roma la “kermesse” (cosi è stata definita da “La Repubblica”) o manifestazione di “protesta” del Partito democratico contro la politica economica del Governo. Il segretario del Pd Bersani ha lanciato una accusa “pesantissima” al Governo Berlusconi, quella di avere varato una manovra che è composta di “2.380 commi senza uno straccio d’idea, senza direzione di marcia in cinque minuti. Con questa manovra – ha detto Bersani - viene data una pistola agli enti locali perché sparino al popolo. Perché sparino al popolo non alle quaglie. Saremo punto e da capo tra qualche mese e avremo dato una botta ai redditi medio bassi. La manovra è depressiva. Riduce i consumi, lo dice anche la Banca d'Italia. In questa manovra pagano gli insegnanti, i bidelli, i poliziotti ma quelli con il reddito di Berlusconi non pagano nulla“.
A sentire Bersani la “taratura” della manovra sarebbe dovuta alla “improvvisazione e impreparazione del Governo, che scriverebbe 2.380 commi alla cieca senza alcuna linea economica prestabilita o ragionata”. L’accusa principale al Governo sarebbe, stando a questa considerazione, perciò quella di aver agito con faciloneria e superficialità senza alcun input preciso. Poi però aggiunge che la manovra colpisce solo i redditi medio bassi ma non quelli di Berlusconi (cioè dei ricchi). E’ un caso? E’ la prima volta? Oppure è, di fatto, il tratto comune che unisce centrodestra e centro”sinistra”, nelle politiche economiche che entrambi gli schieramenti hanno portato avanti negli ultimi venti anni? Certamente Berlusconi ha rappresentato la borghesia più grezza e rampante. Il centro”sinistra” non è stato da meno, nella stessa direzione, con la politica dei redditi (a senso unico), le “riforme” previdenziali (che hanno seppellito lo stato sociale), le privatizzazioni e il rilancio del liberismo, le “riforme elettorali maggioritarie”, la precarizzazione dei rapporti di lavoro, le compatibilità economiche e le politiche di “concertazione” sindacale, ecc. ecc. ecc.
E’ proprio qui il punto dolente di Bersani e del Pd: quante altre “prove” di “purificazione” devono dare per dimostrare al padronato di essersi emendati dal loro peccato originale quello di provenire da un partito che si chiamava comunista? "Ma quante volte dobbiamo dirci liberali prima di toccare un petroliere? Ma quanti turni devono fare gli operai perché si possa toccare un petroliere?" ha detto Bersani. Quale altra dimostrazione devono dare, oltre a quelle già date, coloro che ora dirigono il Pd ma provengono dal Pci per essere accettati dal padronato? Non è stata sufficiente la cancellazione della scala mobile? L’annullamento del sistema pensionistico? Il sostituto d’imposta? Le compatibilità economiche e la flessibilità? Il precariato? L’annullamento del diritto di sciopero e della indennità di malattia a Pomigliano (poi forse in tutta Italia). L’accettazione piena e incondizionata alle logiche del mercato e il contributo per la cancellazione politica dell’opposizione di sinistra nel Parlamento e nel sindacato a partire dalla Cgil?
Bersani ha manifestato un timore che rasenta il terrore. Quello cioè che sia confusa come anti-sistema e anti-mercato una sua critica, mentre viceversa questo non è (che il padronato consenta anche al Pd un po’ di “sano” populismo!) Cosa mai deve fare perché il padronato e la borghesia italiana lo capiscano? Bersani (lo stesso che andrebbe ad Arcore a piedi o si alleerebbe pure con Fini per vincere la deriva populista di Berlusconi) mantiene l’ambiguità circa gli interessi e i ceti che rappresenta il Pd, ma oltre la timida denuncia non avanza alcuna proposta per rendere meno iniqua la manovra che colpisce solo i redditi medio-bassi. Egli lancia, in ultimo, una velata accusa alla restante “opposizione” cui rinfaccia che "c'è chi, per far vedere quanto è contro Berlusconi, se la prende con noi. Noi non diremo mai una parola più che positiva verso le altre forze di opposizione e chi non fa così si prende le sue responsabilità". Il segretario del Pd non si è reso conto che i cittadini e i lavoratori hanno capito che se Berlusconi rappresenta per loro il male, il Pd non rappresenta certo il bene, anzi è il partito e il ceto politico che, con la continua “revisione” e negazione del proprio peccato originale, diventa un nemico riconoscibile. Forse il più insidioso.

sabato 19 giugno 2010

Marcegaglia e il "rigore" con la roba degli altri

Alcune prese di posizione e dichiarazioni fatte dalla Confindustria e dalla sua presidente Marcegaglia sugli “interventi economici” del Governo:
- Un provvedimento, quello adottato dall'esecutivo, che secondo gli industriali «traccia il ridimensionamento della spesa pubblica» che però «va reso strutturale». La leader confindustriale ha spiegato che «la via al risanamento deve essere il taglio delle spese» e questo perché «non si cresce con la spesa e il debito pubblico». (Tagli alle pensioni e agli stipendi dei dipendenti pubblici).
- «E’ arrivato il momento nel quale i politici italiani, dal Parlamento e giù giù sino all’ultima comunità montana, taglino i propri stipendi e le dotazioni per le loro segreterie e collaboratori, disboschino esenzioni e agevolazioni - ha esortato Marcegaglia - La sforbiciata data con la Finanziaria agli enti e ai costi della politica è sacrosanta ma è solo un buon inizio». (Tagli ai servizi forniti dagli enti locali).
- «Le rinunce devono essere fatte da tutti». (?)
- Un provvedimento, quello adottato dall'esecutivo, che secondo gli industriali «traccia il ridimensionamento della spesa pubblica» che però «va reso strutturale». La leader confindustriale ha spiegato che «la via al risanamento deve essere il taglio delle spese» e questo perché «non si cresce con la spesa e il debito pubblico». (I tagli non devono essere temporanei ma permanenti).
- Duro attacco al convegno dei giovani imprenditori: «Serve una classe dirigente che sappia prendere posizione».
- "Senza il rigore siamo un Paese spacciato. Ma senza crescita siamo un Paese morto".
- "La situazione" dell'Italia sotto il profilo economico-finanziario "è grave e seria" e la "manovra che ci è stata presentata a maggio non lascia spazio a dubbi" ma "sappiamo anche che i sacrifici non finiscono con la manovra" ha affermato il presidente. "Anche in economia la depressione è uno stato psicologico. Per questo siamo preoccupati, come imprenditori e come italiani, come giovani italiani". Ciò che è certo, sottolinea, è che "l'arte di arrangiarsi non basta più". (Ci saranno sempre per i redditi fissi nuovi tagli e nuove tasse).
- "Mai come in questo momento - ha aggiunto Guidi - ci vuole assoluto rigore nei conti pubblici, ma mai come in questo momento andrebbe messa in campo tutta la forza di quelle riforme che il Paese aspetta da anni, e che possono riaccendere la crescita: le liberalizzazioni, una riforma fiscale che anche a parità di saldi almeno razionalizzi gli adempimenti, un importante snellimento e semplificazione della pubblica amministrazione, proseguendo e rafforzando gli sforzi del ministro Brunetta".
- "Crediamo che un efficace complemento del federalismo fiscale potrebbe essere una provocazione culturale quale la revisione dei limiti che l'articolo 75 della Costituzione pone all'uso del referendum abrogativo e in particolare quello relativo alle leggi tributarie e di bilancio".
- Alle parole del suo predecessore alla presidenza della Confindustria, ha subito risposto l'attuale guida degli industriali italiani, Emma Marcegaglia: «Il nostro ring non è quello della politica, ma della sfida competitiva. Se avessi accolto la proposta che mi ha fatto il presidente Berlusconi di entrare al governo come ministro dello Sviluppo economico - ha proseguito Marcegaglia - avrei abdicato alla mia responsabilità. Ognuno deve fare il suo mestiere, troppi mestieri non vanno bene. Il mio è quello di fare il presidente di Confindustria. Pungoliamo fortemente la politica, facciamo proposte alla politica, ma questo non vuol dire che dobbiamo entrare sul ring della politica. Se altri fanno questa scelta, è una scelta politica».(Gli imprenditori non fanno politica: recitano poesie).
- «Dare le pagelle a Confindustria lo lascerei fare agli imprenditori, non lo farei fare ad un ministro. Noi rispettiamo i politici e loro devono rispettare gli imprenditori.
- La proposta europea di "tassa" sulle banche non piace a industriali e banchieri. La presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, si è detta «non molto d'accordo» sull'eventuale tassa perché potrebbe trasformarsi in maggiori costi per le imprese e i risparmiatori. «Noi non siamo molto d'accordo - ha detto Marcegaglia a margine di un incontro di Confindustria a Cremona - perché è come dire: ci sarà un'altra crisi, prepariamo già i soldi per poterla pagare». Una tassa sulle banche, secondo la leader di Confindustria «è molto facile che si trasformi in maggiori costi, commissioni per le imprese e i risparmiatori. Noi preferiamo la logica di nuove regole. Questa sembrerebbe una soluzione migliore» perché «più tasse sulle banche passano sempre alle imprese e ai risparmiatori».
Queste “dichiarazioni” economiche della Confindustria e dei suoi rappresentanti indicano molto bene che per loro “la morale e il rigore” che occorre utilizzare per “uscire dalla crisi” (ma loro ci sono mai entrati?) serve per operazioni che tocchino i redditi di tutti i cittadini escluso quelli dei risparmiatori e delle imprese. Cioè i loro!

venerdì 18 giugno 2010

Veltroni, l'innovatore “equidistante”

Tutti eravamo preoccupati del silenzio del sognatore Veltroni sulla questione di Pomigliano. Il silenzio di questo “innovatore” dirigente del centro”sinistra” lasciava adito a ogni ipotesi. Starà al fianco dei lavoratori e della Fiom? Sosterrà la loro lotta? Perché tace colui che, insieme ad altri “innovatori” ha determinato la scomparsa del Partito comunista italiano per creare, per i lavoratori un più roseo e radioso avvenire?
Ci ha accontentato. In un’intervista rilasciata al giornale della Confindustria ha annunciato il verbo. La Fiat e Pomigliano, parla Veltroni: "Un accordo duro ma inevitabile. Non ci sono ricatti, sull'assenteismo bisogna dire la verità, come i 1.600 permessi per le elezioni 2008". E ancora: "Questo accordo mi sembra inevitabile: è molto duro, però non avviene sotto un ricatto, bensì a causa di una condizione obiettiva che è figlia della nostra globalizzazione diseguale. Come sempre, bisogna mettere sul piatto della bilancia le due alternative: o si rinuncia come Paese a 700 milioni di investimenti e a 15mila posti di lavoro nel Mezzogiorno, oppure ci si confronta con una sfida, sicuramente difficile dal punto di vista delle relazioni sindacali e si cerca di trovare il punto più alto di equilibrio tra le esigenze dell’azienda e i diritti dei lavoratori, il primo dei quali è il diritto di sciopero. A questo proposito voglio ricordare che la Fiat qualche anno fa sembrava sull'orlo del collasso, ora è un’azienda che ha comprato Chrysler, è un’azienda in sviluppo che ha investito in Italia molti milioni di euro, è uno dei pochi pezzi d'Italia che invece di essere acquistata, acquista e vuole passare, in cinque anni, da 700mila a un milione e 600mila auto prodotte nel nostro Paese. Dunque, non cimentarsi con questa sfida sarebbe molto rischioso: così come io rifiuto l'idea di Sacconi e di altri di trasformare questo accordo in un modello, pavento anche il rischio che diventi un modello il contrario, cioè l'idea di rifiutarsi pregiudizialmente di affrontare una nuova idea delle relazioni sindacali".
Dopo queste dichiarazioni ci sentiamo sollevati! L’accordo è duro (per chi?) ma inevitabile e non ci sono ricatti, dice Veltroni. Non è vero che o i lavoratori accettano in pieno il diktat della Fiat oppure saranno disoccupati. Non è vero che si vuole stravolgere il contratto e la Costituzione. E’ vero, invece, che in alcune occasioni, come per le elezioni ci sono 1600 permessi. Non deve essere perseguito, secondo lui, il fenomeno deteriore causato da un malcostume che azienda e partiti, compreso il suo hanno agevolato e favorito, deve essere cancellato il diritto di assentarsi anche per la malattia. Come si fa, dice il sognatore, a rinunciare agli investimenti della Fiat campione del capitalismo italiano che, con tanto buon cuore, decide di “investire” in Italia invece che in Polonia: non è vero che “l’accordo” di Pomigliano diventerà un modello da esportare in tutti i posti di lavoro. Non è vero che il padronato italiano e la Confindustria intendono completare l’opera di demolizione delle conquiste dei lavoratori estendendo Pomigliano a tutto il Paese. C’è, viceversa il rischio opposto. Cioè che prevalga tra i lavoratori, a seguito dell’atteggiamento deteriore assunto dai dipendenti e dalla Fiom, l’idea di rifiutarsi pregiudizialmente di affrontare un “nuovo” modello di relazioni sindacali!
Evviva Veltroni: ha parlato e siamo tutti più sollevati. Come al solito il grande condottiero del centro”sinistra” ed ex ( molto ex) comunista si è speso per sostenere le tesi dell’avversario indebolendo ancora una volta la lotta di chi, pur tra sacrifici e rinunce, non intende vendere la propria dignità. Cosa ci si poteva aspettare da un “innovatore” di tale portata? Il suo sogno è un mondo senza conflitti nel quale i lavoratori accettino serenamente e fraternamente che siano calpestati diritti e conquiste di civiltà e insieme alla Confindustria diano il loro “contributo” al Paese, nella condivisione di un unico destino patriottico. Lavoratori, precari, disoccupati contribuite con i vostri miseri redditi: a dare “consigli etici e morali” ci penseranno, in un unico afflato miliardari e padroni e i loro “servitori” della politica, del sindacato e della stampa. E pure Veltroni: il sognatore coi sogni degli altri.

José Saramago

Due parole di un grande scrittore. Amico della Palestina. Uomo libero (Einaudi, gruppo Mondadori, non gli pubblicava più i libri perché aveva criticato il Berlusca). Morto oggi.



"A democracia em que vivemos é uma democracia sequestrada, condicionada, amputada..."

giovedì 17 giugno 2010

La legge più uguale per alcuni

L'ex capo della Polizia Gianni De Gennaro è stato condannato in appello a un anno e 4 mesi di reclusione per istigazione alla falsa testimonianza nei confronti dell'ex questore di Genova Francesco Colucci nel processo per l'irruzione (e macelleria annessa) alla Diaz del G8 nel 2001.



Questi i commenti di alcuni "onorevoli" esponenti politici.
Gianfranco Rotondi (ministro per l'Attuazione del Programma di Governo): "De Gennaro merita tutta la solidarietà delle istituzioni per ciò che ha rappresentato e rappresenta per il Paese. È uno dei nostri migliori uomini con un altissimo senso dello Stato e la cui professionalità è riconosciuta anche all'estero".
Jole Santelli (Pdl): "Prima Bolzaneto, poi la Diaz e ora De Gennaro: l'appello ha ribaltato tutte le sentenze di primo grado. È chiaro che c'è un contrasto pesantissimo fra Tribunale e Corte d'Appello di Genova e che quest'ultima ha deciso di essere l'angelo vendicatore degli ayatollah della procura. Sentenze di questo tipo delegittimano completamente la magistratura".
Pierferdi Casini (Udc): "Sono molto rammaricato per la sentenza. Sono certo che la Cassazione ristabilirà la verità dei fatti come già acclarata dalla sentenza di primo grado. Per me De Gennaro è, e rimane, un grande servitore dello Stato di cui essere orgogliosi".
A parte la gravità di affermazioni fatte da soggetti che hanno incarichi politici e non sono neanche perseguibili per legge, perché coperti da immunità. A parte che solo in Italia si verifica lo strano fenomeno per cui il rispetto delle Istituzioni (fra queste la magistratura) è assente in primis in chi (purtroppo) ci rappresenta. A parte che delegittimare costantemente la magistratura mette in pericolo tutti quei giudici e magistrati che quotidianamente rischiano contro la malavita organizzata (e i suoi appoggi "mooolto" in alto). A parte che non si può voler vedere marcire in galera immigrati, ladri di galline, poveri cristi che rubano la pagnotta e poi volere l'impunità per politici, finanzieri, alte sfere, giullari di corte e affittuari inconsapevoli.
A parte tutto ciò, le eventuali responsabilità di De Gennaro verranno appurate definitivamente in Cassazione. Nell'attesa, la sensazione che in questo Paese la legge per una volta possa essere uguale per tutti. Non solo per alcuni.

mercoledì 16 giugno 2010

L'illegalità di Pomigliano

I punti dell'accordo su cui la Fiom resiste:
1) diritto di sciopero: sanzioni disciplinari fino al licenziamento per il lavoratore che sciopera mettendo in discussione l’accordo con l’azienda;
2) iniziativa sindacale: sanzioni per sindacati e Rsu che proclamano iniziative di lotta contro l’accordo (sospensione dei contributi e dei permessi sindacali);
3) malattia: in caso di picchi di assenteismo, l’azienda non verserà i contributi per malattia, a prescindere dai controlli;
4) permessi per recuperare i giorni utilizzati per la partecipazione a scadenze elettorali: durante le elezioni, l’azienda non permetterà il recupero dei giorni trascorsi ai seggi dai rappresentanti di lista;
5) pausa mensa: per l’azienda si può lavorare anche otto ore di fila senza la mezz’ora di pausa per il pranzo, considerata come straordinario.
L’accordo su questi punti “salva” 5mila posti di lavoro, più altri 10mila nell’indotto. Nel caso fosse sottoscritto, infatti, la Fiat porterebbe a Pomigliano la linea Panda che ora è in produzione in Polonia.
Ma come è possibile che l'azienda produca indisturbata autovetture all’estero e continui a essere largamente aiutata dal denaro pubblico, con la cassa integrazione, le rottamazioni e chi più ne ha più ne metta? La Fiat, con la sua condotta assume un ruolo di punta e di rottura di un padronato arrogante che vuole prepotentemente liquidare il sindacato e quello che rimane delle conquiste ottenute con le lotte sviluppatesi dall’immediato dopoguerra fino agli anni Ottanta. Con il ricatto del lavoro si stravolge il contratto nazionale dei metalmeccanici. Con il ricatto del lavoro il padronato e la Fiat si sostituiscono al Parlamento e alle sue leggi, come lo Statuto dei Diritti dei Lavoratori e la stessa Carta Costituzionale. Vengono attaccati le fondamentali libertà sindacali (diritto di sciopero e alla salute), assumendo esplicitamente e in prima persona il ruolo di classe dirigente che non riconosce altra regola che la propria: il profitto. Padronato e Fiat, in questa operazione, sono agevolati da un sindacato subalterno e complice di un disegno padronale neocorporativo e autoritario. E’ inconcepibile che il “sindacato dei lavoratori”, dopo aver accettato il taglio della scala mobile, del sistema previdenziale pubblico, la precarizzazione, le compatibilità economiche, le politiche di rigore a senso unico, possa arrivare in nome dell’interesse dei lavoratori a subire il ricatto dello scambio del diritto al lavoro, previsto dalla Costituzione, con la rinuncia a diritti sacrosanti di libertà, dignità e salute. Cercheranno, nonostante l’accordo sia illegale e incostituzionale, di far ingoiare, sotto la minaccia della disoccupazione, un referendum che produrrà qualunque sia il suo esito cambiamenti epocali nel Paese. Lo si capisce anche dalle affermazioni di ministri della Repubblica e del padronato. Sacconi: "L’accordo di Pomigliano è un punto di svolta storico nelle relazioni industriali italiane" e farà scuola. Per Tremonti invece "Pomigliano è la rivincita dei riformisti su tutti gli altri". La Marcegaglia tuona: "Secondo noi è incredibile che davanti a un'azienda che va contro la storia prendendo le produzioni dalla Polonia e riportandole in Italia, e che investe 700 milioni di euro, ci sia un no".
“L’opposizione” parlamentare balbetta o condivide. L'unica cosa che dovrebbe fare è dire no alla Fiat e alle nuove politiche padronali.



(Dedicato alla classe operaia e a tutti i lavoratori ricattati)

lunedì 14 giugno 2010

Modello Pomigliano

Prosegue incontrastata la campagna neoliberista promossa dalla Confindustria e fatta propria dal Governo. Il ministro Tremonti, utilizzando la tribuna della festa nazionale Cisl, ha dato il suo “contributo” alla costruzione di un manifesto politico neoliberale e corporativo: “È finita l’epoca del conflitto tra capitale e lavoro e tra questo conflitto e l’economia sociale di mercato, non ho dubbi: la via giusta è quella dell’economia sociale di mercato, che è la via di Pomigliano” ha detto il ministro. Libertà d’impresa ha affermato, ma anche conseguenti modifiche costituzionali, attacco al labirinto di leggi e regole che gravano sulle imprese elevando a modello da applicare in tutto il Paese i contenuti “dell’accordo Pomigliano”.
Nella trattativa di Pomigliano la Fiat, attraverso l’opera del suo rampante Amministratore delegato, cerca di imporre (sotto la minaccia-ricatto della chiusura di quello stabilimento, il licenziamento di 5mila operai e il trasferimento dell’attività all’estero) le sue regole padronali. Contro tutto ciò, finora, resiste solo la Fiom Cgil, mentre tutte le altre sigle sindacali hanno già dato il loro consenso all’ipotesi di accordo. E’ da notare che nonostante da settimane quanto avviene a Pomigliano sia al centro della cronaca, nessuno sa quali siano i nodi in trattativa e su quali di questi non vi sia accordo con la Fiom. I punti di scontro più rilevanti sono proprio quelli sui quali la Fiat intende lavorare per “garantire la sua competitività”: nuova organizzazione del lavoro su diciotto turni settimanali per sei giorni più ottanta ore di straordinario annuali, spostamento della pausa mensa a fine turno, riduzione da quaranta a trenta minuti delle pause nelle linee meccanizzate e recupero delle fermate tecniche anche per cause involontarie.
Emerge con chiarezza che quello che la Fiat cerca di imporre è un arretramento delle condizioni dei lavoratori che devono rapportare le loro necessità fisiologiche, come il mangiare a turni ininterrotti di otto ore o la diminuzione delle pause nei lavori ripetitivi e a catena, con ritmi ossessivi e con più che probabile incremento d’infortuni. A tutto ciò si aggiunge la pretesa dell’esenzione per l’azienda dal pagamento delle quote per malattia a suo carico nei casi di assenza coincidente con partite di calcio, festività o elezioni o per assenza per malattia dovuta, invece, alla partecipazione come rappresentante di lista alle elezioni. Ci si domanda come l’azienda farà ad accertare questa eventualità, dato che finora le imprese possono utilizzare solo il servizio ispettivo previdenziale che può accertare solo la presenza in casa del malato e il suo reale stato di malattia. Forse la Fiat prevede di dotarsi di un servizio investigativo aziendale cosa vietata dalla legge 300 (Statuto dei Diritti dei Lavoratori)?
Ancora nell’ipotesi prospettata si prevede il diritto per l’azienda di sanzionare il sindacato e i singoli lavoratori che dovessero scioperare contro uno straordinario contrattato (da chi?). Come può fare ciò un’azienda privata senza il ricorso al giudice? Forse il Governo ha manifestato alla Fiat l’intenzione di emanare nuove leggi esplicitamente a favore delle imprese e contro i lavoratori? Quale norma di giustizia può prevedere che a sindacare la legittimità di un accordo sindacale sia l’impresa privata che è parte in causa? Il loro modello di economia sociale di mercato prevede forse l’istituzione di un sindacato corporativo simile a quello esistente durante il fascismo?
Ora è chiaro che l’accordo economico sociale di mercato che vogliono imporre ai lavoratori di Pomigliano e che Confindustria e Governo vogliono elevare a modello da esportare in tutto il Paese prevede che la libertà sia solo per le imprese e i padroni che possono ignorare diritti consolidati, non certo per i lavoratori cui si riserva oppressione e sfruttamento e salari taglieggiati: un vero ricatto al quale devono sottostare se vogliono ancora lavorare. Evviva la libertà padronale! Evviva l’impresa svincolata dal ruolo sociale previsto dall’articolo quarantuno della Costituzione!
Occorre impedire tutto ciò!

domenica 13 giugno 2010

Cisl, la manovra non tocca la spesa sociale (?)

Il segretario della Cisl, chiudendo la festa della sua organizzazione a Levico, ha testualmente affermato che la manovra economica varata dal Governo non ha toccato la spesa sociale e questo fa “onore a chi ha colto questa questione”. Ha affermato ancora che “a quelli che dicono che la Cisl è appiattita sulle posizioni governative, rispondo solo che fanno giochetti molto stupidi”. Alle sue parole ha fatto eco il segretario della Cgil “c’è bisogno di affrontare un grande tema: in Italia il fisco lo pagano prevalentemente i lavoratori dipendenti, redditi fissi e pensionati e lo pagano molto meno gli altri”.
I due sindacalisti hanno il coraggio di festeggiare mentre è in atto un virulento attacco politico alle conquiste dei lavoratori e alle loro condizioni economiche e si lanciano in affermazioni stupefacenti. Il segretario della Cisl probabilmente non ha visto le statistiche pubblicate due giorno or sono, in merito alla spesa sociale e alle pensioni: il 71,9 per cento delle pensioni nel 2008 non ha superato i mille euro mensili. E' quanto emerge dal rapporto sui “trattamenti pensionistici e beneficiari” elaborato dall'Istat in collaborazione con l'Inps. Il 45,9 per cento delle pensioni ha, infatti, importi mensili inferiori a 500 euro, e il 26 per cento compresi tra 500 e mille euro. A peggiorare la situazione si aggiungono le decisioni del governo per il pubblico impiego che elevano l’età pensionabile per le donne a 65 anni e, nel settore privato, allungano le “finestre”. Tutto questo comporterà la perdita secca (o il furto?) di circa 3000 euro per le pensioni di vecchiaia e di circa 6-7000 euro per le pensioni di anzianità. Ci sarà inoltre l’elevazione all’85 per cento per avere diritto alla pensione d’invalidità. Per non parlare del taglio agli enti locali che comporterà ticket e chiusura di servizi e ospedali.
Il segretario della Cgil nell’enunciare la sacrosanta verità, riguardo al fisco e a chi lo paga, non ha nessuna autocritica da fare dopo anni di concertazione e di politiche dei redditi a senso unico? Se saranno per il futuro questi i sindacalisti a difendere i lavoratori, i pensionati, i disoccupati e i precari ci sarà poco da stare allegri!

sabato 12 giugno 2010

Confindustria di centrodestra e di centro”sinistra”

E’ in atto il 40esimo convegno dei Giovani imprenditori di Confindustria a Santa Margherita Ligure, ospite l'ambasciatore degli Usa in Italia David Thorne. In questo consesso si sta svolgendo un confronto tra due ali della Confindustria: quella che fa capo all’ex presidente della organizzazione dei padroni italiani e quella che fa capo all’attuale presidente.
L’ex capo assume apertamente un atteggiamento di critica nei confronti dell’attuale governo, del quale critica l’operato a partire dal ddl sulle intercettazioni, sostenendo così le tesi dell’opposizione di centro”sinistra”. L’attuale presidente, attorniata da ministri e capogruppo della maggioranza che replicano a Montezemolo aspramente, afferma di risposta: "Il nostro ring non è quello della politica, ma della sfida competitiva. Se avessi accolto la proposta che mi ha fatto il presidente Berlusconi di entrare al governo come ministro dello Sviluppo economico - ha proseguito Marcegaglia - avrei abdicato alla mia responsabilità".
A completare il quadro la presidente dei giovani industriali nella sua relazione al convegno dei giovani industriali che sostiene una tesi a dir poco innovativa: "Senza il rigore siamo un Paese spacciato. Ma senza crescita siamo un Paese morto". Ecco perché "quella tra rigore e crescita è una falsa antinomia". La situazione dell'Italia sotto il profilo economico-finanziario "è grave e seria" e la "manovra che ci è stata presentata a maggio non lascia spazio a dubbi" ma "sappiamo anche che i sacrifici non finiscono con la manovra". "Anche in economia, la depressione è uno stato psicologico. Per questo siamo preoccupati, come imprenditori e come italiani, come giovani italiani". Ciò che è certo, sottolinea, è che "l'arte di arrangiarsi non basta più". "Mai come in questo momento - ha aggiunto la giovane Guidi - ci vuole assoluto rigore nei conti pubblici, ma mai come in questo momento andrebbe messa in campo tutta la forza di quelle riforme che il Paese aspetta da anni e che possono riaccendere la crescita: le liberalizzazioni, una riforma fiscale che anche a parità di saldi almeno razionalizzi gli adempimenti, un importante snellimento e semplificazione della pubblica amministrazione, proseguendo e rafforzando gli sforzi del ministro Brunetta". Dunque, ha spiegato, "crediamo che un efficace complemento del federalismo fiscale potrebbe essere una provocazione culturale quale la revisione dei limiti che l'articolo 75 della Costituzione pone all'uso del referendum abrogativo e in particolare quello relativo alle leggi tributarie e di bilancio". La giovane Guidi dunque a completare il quadro ritiene che si debba passare dalla politica dell’approssimazione e dell’arrangiamento a serie “riforme” a partire dalla revisione dell'articolo 75 della Costituzione, da una nuova manovra finanziaria, dal rilancio delle liberalizzazioni e dalla riforma fiscale, senza spostare il saldo e la provenienza delle entrate naturalmente.
In questa prospettiva oltre a rivendicare la sua completa e totale rappresentatività nell’intero attuale “arco costituzionale” (Montezemolo con il centro”sinistra” e Marcegaglia con il centrodestra), il padronato detta al Governo e alla “opposizione” la linea e il calendario dei lavori. Occorre continuare nella politica di “rigore”. Come sempre rigore per i cittadini tartassati da un fisco aguzzino, i quali devono capire, se ancora non l’hanno fatto, che il tempo delle vacche grasse è finito, che si devono aspettare nuovi balzelli e tagli nei servizi e nello stato sociale. Il padronato però può continuare a dare il suo contributo alla politica del rigore a bordo dei propri lussuosi panfili. La Confindustria adopera la sua attuale presidente per ottenere da questo governo, nel quale per lei è pronta una poltrona di comando, il massimo a partire dalla modifica, oltre all’art. 41, dell’art. 75 della Costituzione. Questo per lei non vuol dire entrare sul ring della politica. Come se portare avanti le rivendicazioni padronali e chiedere modifiche della Costituzione non avesse nulla a che fare con quest'ultima. L’altro competitore interno all’organizzazione industriale, dal canto suo garantisce un approccio con l’attuale “opposizione” perché, non si sa mai, potrebbe tornare utile in caso di mutazioni del quadro politico in Parlamento.
La Confindustria e il padronato navigano a tutto campo occupando l’intero scenario politico italiano. Non sarebbe ora che i lavoratori e le forze politiche e sindacali a loro più vicine, facendosi interpreti degli interessi e dei diritti della classe lavoratrice, facessero sentire la loro voce gettando sul tavolo con forza le ragioni dei diritti dei discriminati e degli sfruttati?

venerdì 11 giugno 2010

11 giugno 1984

Ventisei anni fa. Sembra un secolo.



"Qualcuno era comunista perché Berlinguer era una brava persona"
(Giorgio Gaber)

Padroni all’attacco

E’ in corso un vero e proprio assalto da parte del Governo e del padronato ai diritti dei lavoratori e ai rapporti socio-economici esistenti. Quattro sono i punti cardine di questa manovra concentrica.
Il primo atto compiuto, per stravolgere la realtà sociale italiana, frutto della Costituzione del 1948 e della Resistenza, è rappresentato dalla manovra economica varata dal Governo. Manovra che scarica, ancora una volta, sui redditi fissi i costi della crisi economica tagliando gli stipendi dei lavoratori del pubblico impiego, depredando lo stato sociale del Paese, allungando di sei mesi nel settore privato l’età pensionabile, elevando all’85 per cento la soglia per avere diritto alla pensione d’invalidità e diminuendo drasticamente i trasferimenti agli enti locali con il conseguente notevole taglio dei servizi da questi forniti e l’elevazione dell’addizionale Irpef a essi spettante. Il tutto salvaguardando contemporaneamente i ricchi, i grandi patrimoni e le rendite finanziarie, cui non è chiesto dal Governo proprio nulla.
Il secondo atto riguarda le posizioni assunte dalla presidente della Confindustria Emma Marcegaglia, a sostegno aperto del Governo, volte a rendere strutturale, cioè permanente, la manovra (e lo stesso capo degli industriali accusa gli oppositori di questo disegno di essere contro il Paese).
Il terzo atto è rappresentato dalla dichiarata volontà del Presidente del Consiglio di revisionare profondamente l’art. 41 della Costituzione, realizzando "un grande progetto di liberalizzazione delle attività economiche" emendandole dai condizionamenti previsti da quell’articolo: "L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità' sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali".
L’ultimo atto riguarda la posizione, sostenuta dall’Amministratore delegato della Fiat, nella trattativa in corso in queste ore riguardante la sorte dello stabilimento Fiat di Pomigliano d’Arco: o i lavoratori e il sindacato accettano di rinunciare a diritti contrattuali consolidati, come la malattia, oppure quella realtà produttiva chiuderà, gettando sul lastrico migliaia di lavoratori e le loro famiglie. La Fiat continuerà tranquillamente a realizzare profitti spostando la produzione in Serbia o in Polonia.
Grazie a Governo e padronato possono essere taglieggiati i diritti e i redditi dei lavoratori e dei cittadini. Nello stesso tempo il padronato, grazie alle scelte del Governo, non è colpito dalla manovra, anzi è agevolato con l’azzeramento dell’Irap per le nuove imprese del sud, con conseguente aggravio fiscale per i cittadini di quelle realtà. Ciò perché le regioni del Mezzogiorno avranno la possibilità di istituire un tributo proprio sostitutivo per le imprese avviate dopo l'entrata in vigore del decreto legge (non è difficile immaginare a chi sarà imposto tale balzello). Anche l'istituzione di reti impresa e zone a “zero burocrazia” per ottenere benefici fiscali e migliorare la capacità di incidere sui mercati, ma anche zone a burocrazia zero, nelle quali per aprire un'attività ci si potrà rivolgere a un solo soggetto, vanno in questa direzione.
Ecco quindi il "gioco di squadra" realizzato: per i lavoratori sacrifici e miseria; per i padroni ricchezza e “libertà”! Per questi ultimi quando si tratta di “libertà di impresa e profitto” l’interesse nazionale non conta. Gli stipendi e le pensioni, i diritti dei cittadini possono essere tranquillamente sacrificati. Quelli padronali no! Se, per loro, non conviene “investire” in Italia possono andare a farlo altrove con maggiori profitti e minori problemi. Troveranno da qualche altra parte lavoratori disponibili a sopportare stipendi da fame e a tollerare i loro profitti da paperoni. Evviva l’Italia evviva la democrazia e la libertà!
Quale libertà? La loro!

giovedì 10 giugno 2010

Una lucida analisi della politica italiana

Nel giorno del Ddl sulle intercettazioni (con fiducia posta dal governo) che sancisce, se ce n'era bisogno, la morte dell'informazione in questo "bel Paese", ecco l'unico momento di verità e di lucida analisi politica che ancora (denunce del Cavaliere permettendo) si può trovare nella tv italiana.



"Dov'è proibito ridere, non si ha il diritto di piangere"
(Stanislaw Jerzy Lec)

mercoledì 9 giugno 2010

Stage, lo sfruttamento alla francese

Da circa dodici anni è prevista la possibilità di realizzare tirocini formativi o stage presso aziende pubbliche e private. Secondo la normativa vigente, lo stage dovrebbe fornire ai giovani in cerca di prima occupazione diversi vantaggi, fra i quali prioritariamente quello di costruire un curriculum più ricco da allegare nelle domande di assunzione, aumentando così le possibilità di trovare lavoro.
Gli stage però possono essere utili per la formazione, ma non per trovare un impiego. E' questo il risultato di un’indagine realizzata da Isfol e Repubblica, che fotografa la condizione dei tanti giovani che si affacciano al mondo del lavoro attraverso il tirocinio nelle aziende. Ne emerge, infatti, che appena uno stage su cinque (21,1 per cento) termina con l’offerta di un contratto di lavoro per lo più flessibile: a tempo indeterminato il 2,3 per cento, a tempo determinato il 5,6 per cento, a progetto il 6,4 per cento o con una collaborazione occasionale il 6,8 per cento. Per questo motivo è più che frequente che giovani disoccupati, a ogni livello di istruzione, moltiplichino il numero di stage effettuati per impiegare il tempo di inattività e aumentare le opportunità di lavoro. E’ utile sapere inoltre che i soggetti promotori, le aziende, non hanno altri obblighi, se si esclude quello di assicurare i tirocinanti contro gli infortuni sul lavoro presso l'Inail, e presso una compagnia assicuratrice per la responsabilità civile verso terzi. Questi obblighi, la maggior parte delle volte, sono assolti dagli istituti scolastici, ai vari livelli, che inviano gli studenti in tirocinio. E’ previsto, in ultimo, che gli imprenditori che ospitano un tirocinio possano essere ammessi, con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, al rimborso totale o parziale degli oneri finanziari connessi all'attuazione dei progetti di tirocinio previsti dall'articolo 18 della legge 24 giugno 1997, n. 196, a favore dei giovani del mezzogiorno presso imprese di regioni del centro e del nord, ivi compresi, nel caso in cui i progetti lo prevedano, quelli concernenti le spese sostenute per il vitto e l'alloggio del giovane.
In sostanza le imprese italiane possono usufruire di manodopera senza alcun obbligo di corrispondere alcun salario o alcun diritto contrattuale: ferie, tredicesima, malattia, tfr, ecc., mentre per i tirocinanti permangono, sostanzialmente, tutti gli obblighi di un lavoratore dipendente, senza averne però i diritti per tutto il periodo del tirocinio (che può avere la durata di quattro o sei mesi). Eppoi si sa: "Lavora, dannati l'anima, competi e non chiedere niente, che poi vedrai i risultati..."
Questa situazione espone lo stagista a un assoggettamento totale e incondizionato all’azienda, nella speranza che il tirocinio si traduca in un rapporto di lavoro. Cosa che non avviene quasi mai perché le aziende hanno convenienza a iniziare altri stage per realizzare nuovi “risparmi” sulla pelle dei giovani in cerca di prima occupazione.
Con la normativa sulla realizzazione dei tirocini formativi o stage presso aziende pubbliche e private, non si è introdotta alcuna novità. E’ stata semplicemente ripristinata e aggiornata la prassi esistente nel medio evo con la servitù della gleba. Con un'altra denominazione. In lingua francese.

martedì 8 giugno 2010

Italia pallonara

Si avvicinano i mondiali di calcio. La grande ubriacatura sta per cominciare. Tutti ci metteremo davanti alla tv per ammirare 22 persone in mutande che, con magliette di diversi colori, prenderanno a calci una palla cercando di mandarla dentro una rete. Per questo spettacolo verranno utilizzate tutte le teorie retoriche più logore e consumate: La Patria, lo sport con la esse maiuscola, le capacità calcistiche dei giocatori, ecc... Tenteranno di farci dimenticare la crisi e i suoi costi per i lavoratori, i pensionati, i precari e i disoccupati. Tenteranno di farci dimenticare tutti i nostri problemi e le ingiustizie di questa società.
Se vince la nostra squadra, viva l'Italia, oblìo sui problemi. Saremo tutti accomunati nella gioia, milionari e disoccupati. Lo sport unisce! Cosa importa dei licenziamenti, della cassa integrazione, dello sfruttamento, delle pensioni a 70 anni, saremo appagati se i nostri campioni in mutande vinceranno! Chiuderemo un occhio se per dare quattro calci a una sfera prenderanno centinaia di migliaia o milioni di euro a pedata, mentre noi per guadagnare le stesse somme dovremmo lavorare non si sa quanti secoli.
Va bene così! A chi si è scandalizzato di questo stato di cose è stato risposto che non capisce nulla di calcio, che se i calciatori guadagnano tanto vuole dire certezza di introiti per lo Stato, che gli ingaggi servono per competere a livello internazionale, con quelli di squadre che hanno 400 milioni di fatturato e bisogna mantenere il target. E che noi abbiamo grandi famiglie di imprenditori come Moratti, Berlusconi, Agnelli, Della Valle, De Laurentiis che investono nel calcio e dobbiamo solo ringraziarli, essendo soldi di privati che, costoro, utilizzano a loro discrezione, sui quali lo Stato non entra, ecc..
Ci sarebbe da chiedere come mai questi ragionamenti non valgono, fatte le debite proporzioni, per i lavoratori e gli operai, per i quali lo Stato non usa lo stesso metro a partire dal taglio della scala mobile, dei salari e delle pensioni (a 70 anni per i giovani nuovi assunti), sui quali il governo insieme ai padroni interviene a mani basse bollando chi critica o si oppone, a questa politica, addirittura di essere contro il Paese.
Ma quale Paese? Il loro!

lunedì 7 giugno 2010

Fiat + Confindustria = Padronato

L’amministratore delegato della Fiat Marchionne ha lanciato l’ultimatum: o si raggiunge l’accordo sindacale o saremo costretti a trasferire la produzione della nuova Panda altrove (vettura già è in fabbricazione in Polonia).
Con quest’ultimatum la Fiat, fabbrica italiana automobili Torino, avverte che se non ci sarà disponibilità da parte del sindacato e dei lavoratori ad accettare deroghe al Contratto collettivo nazionale di lavoro dei metalmeccanici, per i lavoratori di Pomigliano si annunciano tempi duri. Giorgio Cremaschi, della segreteria nazionale Fiom afferma: “La Fiat sta usando la crisi a Pomigliano per distruggere il contratto nazionale di lavoro e per ritagliarsi un proprio contratto”. L’esponente delle tute blu Cgil prosegue: «Il Lingotto sta facendo una scelta politica mai vista”. Secondo Cremaschi “sarebbe inaccettabile modificare regole e diritti in vigore da 50 anni”.
In gioco sono, quindi, occupazione e diritti consolidati in tanti decenni di lotta dei lavoratori. Approfittando della situazione di crisi, che non tocca certo il padronato che anzi può realizzare i profitti in aree del mondo dove la manodopera è disponibile a buon mercato e senza pretese, l’Ad della Fiat sferra il proprio attacco (o ricatto?) A lui fa eco la presidente della Confindustria, che si dice non spaventata dal fatto che le donne, nella pubblica amministrazione, possano andare in pensione più in là nel tempo. E brava Marcegaglia, e bravi i padroni e bravi i capitalisti italiani! Nel mentre soffrono su barchette di venti metri esentasse sono così prodighi nel consigliare il governo e i cittadini su quali sacrifici e rinunce gli altri (i lavoratori) devono fare per consentire loro di trovare conveniente “investire e trarre profitto” in Italia. Essi si riservano, comunque la possibilità di andare altrove se il guadagno prospettato non è ritenuto soddisfacente: la disoccupazione non è affar loro. La coraggiosa Marcegaglia non si spaventa se le dipendenti pubbliche, ultime in ordine di tempo come obiettivo da colpire, siano costrette, in nome dell’interesse collettivo e patriottico, a lavorare fino a 65 anni. Proprio oggi la presidente di Confindustria ha avuto modo di dire all’assemblea di Federchimica: “Chi protesta contro questi tagli dice una cosa contro il Paese”. Indubbiamente si tratta di una bella coerenza: i lavoratori debbono accettare tagli e sacrifici senza protestare, mentre i suoi "colleghi" possono tranquillamente e prosaicamente anteporre all’amor patrio il tornaconto e il profitto personale (ignorando "moralmente", spesso, le tasse).
Perché si dovrebbero stare a sentire le trovate, sempre le stesse e sempre a senso unico, di questi "economisti disinteressati" capaci solo di indicare quello che gli altri debbono fare per “rilanciare l’azienda Italia”. La loro politica e quella del padronato è sempre la stessa, cioè quella del carciofo. A una a una si tolgono tutti i diritti ai lavoratori.
E il sindacato? Il segretario della Cgil afferma: ”Ci possono essere soluzioni se, però, si apriranno confronti con chi rappresenta il mondo del lavoro”. In parole povere siamo disposti a trattare e a concedere, basta che ci legittimiate facendoci sedere al tavolo della trattativa.
Bravi, non c’è che dire. Andate a trattare. Ma sulla base di quale mandato?

domenica 6 giugno 2010

Chi ha paura dei comunisti?



"L'avanzata del partito comunista italiano
può far paura soltanto ai corrotti e ai prepotenti
che esistono nel nostro Paese"

(Enrico Berlinguer)

sabato 5 giugno 2010

Libertà o liberismo?

L’articolo 41 della Costituzione afferma: "L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali".
Il ministro dell'economia Giulio Tremonti dal G20 in Corea del Sud annuncia di voler modificare l’articolo 41 per favorire la libertà d'impresa. Inoltre venerdì una nota di Palazzo Chigi informava del lavoro congiunto del premier Silvio Berlusconi e di Tremonti per "un grande progetto di liberalizzazione delle attività economiche". Quanto affermato dai due membri del governo di centro-destra risponde appieno alle teorie liberiste. Tra i fondamenti c'è in primo luogo l'applicazione del principio del libero mercato. Chi sostiene tale idea è contrario all'intervento dello Stato, tanto più se questo è massiccio, nell'economia. Le principali politiche economiche liberiste sono legate alla liberalizzazione degli scambi di beni, di servizi e di capitali, quindi all’azzeramento di qualsiasi vincolo e al contenimento dell’imposizione fiscale e della spesa pubblica, nonché alla diminuzione delle leggi che regolano l'attività economica. La libertà è intesa in senso economico e si traduce in quella che si definisce "economia di mercato". Essa determina un sistema in cui tutte le attività produttive sono intraprese da privati possessori di beni che sono in concorrenza fra loro. I privati hanno come fine “l’utile, il guadagno, il profitto” e quindi il bene privato e personale dell’individuo. Con quest’obiettivo i liberisti vogliono agire senza restrizione alcuna e senza che lo Stato intervenga, se non a sostegno dell’iniziativa privata. Secondo l’utopia liberista, la società deve esaltare le capacità e la libertà dei singoli individui, possessori di beni, nel determinare il proprio destino economico e civile. Anzi la libertà, in materia economica, è determinante per stabilire la libertà politica. Ciò che conta è il mercato e l’individuo imprenditore che, con le proprie capacità, è in grado di competere con altri imprenditori concorrenti per soddisfare, nella maniera più redditizia possibile, le richieste di beni e servizi più rispondenti ai gusti dei consumatori. Per il liberismo la libertà non è per tutti gli individui, ma per quelli che possiedono beni che possono essere liberi di investire a proprio comodo e tornaconto. Il liberismo storicamente, nelle realtà nazionali improntate ai suoi principi, ha prodotto disuguaglianze e clamorose quanto ingiustificabili discriminazioni. Nella società liberiste convivono le ricchezze più sfrenate e le povertà più assolute e individui detentori di capitali enormi, che non hanno problemi di sussistenza, e altri privi dell'essenziale per vivere. Nella società liberista non esiste una “giustizia sociale” che riguardi tutti gli individui allo stesso modo, perché il profitto di pochi viene prima del diritto di tanti.
La società liberista non può, quindi, soddisfare il diritto di tutti allo stesso modo. Per questo ritiene giusto lasciare indietro la fetta di società più consistente: i non possessori di beni e capitali, i cui interessi e diritti sono sottoposti a quelli dei ricchi. In queste società, incentrate sull’accumulazione di ricchezze e di privilegi economici e politici nelle mani di pochi, si attua una democrazia ristretta nella quale a essere libero non è l’individuo in quanto tale, ma il mercato e l’individuo in quanto possessore. Quella improntata al liberismo è quindi una democrazia e una libertà non fra tutti gli individui ma circoscritta ai possessori di beni e capitali. A questa democrazia, quindi, non partecipano a pari titolo tutti gli individui perché essa prevede l’esclusione e l’emarginazione di chi non possiede. Per i liberisti non è importante l’utilità del bene che si va a produrre ma il profitto che se ne ricava. Il denaro viene usato come compenso del tempo impiegato a produrlo e come compenso per la libertà e il tempo cui il moderno schiavo salariato rinuncia per procurarsi di che vivere.

venerdì 4 giugno 2010

Il sindacato lontano dai lavoratori

Con la Rivoluzione industriale e con la realizzazione delle prime fabbriche nacque il sindacato. I lavoratori presero coscienza che solo unendosi in lotta con coloro i quali condividevano la stessa sorte avrebbero potuto contrastare lo sfruttamento operato dai padroni e realizzare migliori condizioni lavorative. Sorte che prevedeva e imponeva orari di lavoro da stelle a stelle, di 16 o 18 ore giornaliere, salari miserabili e condizioni, sia per quanto riguarda la sicurezza che per l’ambiente, pessime.
Obiettivo degli industriali era, come del resto è continuato a essere, il massimo tornaconto, utile o profitto con la minima spesa. La spregiudicatezza padronale era tanto grande che per fare alcuni particolari tipi di lavoro, in grotte o cunicoli, dove uomini adulti e corpulenti non avrebbero potuto entrare, venivano impiegati bambini di sei-otto anni, di corporatura più piccola, o donne anche in stato di gravidanza per lavori minuti e ripetitivi. E' solo a prezzo di dure lotte (organizzate con il sindacato dai lavoratori), di morti, licenziamenti e persecuzioni verso gli operai più combattivi che la classe lavoratrice ottenne conquiste come: salari più dignitosi, orario di lavoro giornaliero di otto ore, tutela del lavoro minorile e della maternità, ambienti di lavoro più sicuri e salubri. Il sindacato era costituito da lavoratori che, come parte dirigente, si attivavano contro lo sfruttamento padronale e per migliorare le condizioni sia sul posto di lavoro che nella società.
Nonostante le conquiste ottenute la situazione non era semplice dentro e fuori la fabbrica. I sindacalisti erano discriminati e perseguitati. Licenziati, rinchiusi in "reparti confino", come nella Fiat di Valletta degli anni '50 e considerati dei veri e propri sovversivi da emarginare e tenere sotto controllo. Chi si esponeva lo faceva non per crearsi un posto di lavoro ben retribuito e sicuro, ma per lottare contro l’ingiustizia, lo sfruttamento e la discriminazione sociale, fenomeni molto diffusi nelle nuove società industriali. Il sindacalista era un capo riconosciuto perché anteponeva ai propri gli interessi dei compagni di lavoro e della propria classe, accettando di subire le conseguenze in ragione delle proprie convinzioni: lottare per la libertà e l’uguaglianza attraverso l’emancipazione del lavoro. Non fu certo facile durante il fascismo, con la lotta clandestina e partigiana, e anche nel dopoguerra, fare il sindacalista. Ciononostante figure luminose ed eroiche di sindacalisti della Cgil, a partire da Giuseppe di Vittorio, seppero emanciparsi dalla propria condizione e porsi alla testa dei lavoratori. Questi poterono ottenere storiche conquiste, fino alle lotte degli anni sessanta.

giovedì 3 giugno 2010

Le ragioni della prepotenza

Il rappresentante italiano, insieme a quello statunitense, hanno votato contro la risoluzione del Consiglio dei diritti dell'uomo dell'Onu riguardante "l'invio di una missione internazionale per indagare su violazioni del diritto internazionale" rispetto al blitz dei militari israeliani contro la Freedom Flotilla che trasportava aiuti umanitari verso i palestinesi confinati nella Striscia di Gaza.


(Manifestazione per la Palestina, Roma 31/05/10, foto Joe)

La motivazione addotta dal rappresentante italiano a sostegno del proprio voto è che l'Italia ritiene Israele "uno stato democratico e pertanto in grado di condurre una inchiesta credibile e indipendente, il che non significa necessariamente internazionale". Quindi gli "inquirenti" devono essere proprio coloro di cui dovrebbe essere accertata formalmente la responsabilità dei comportamenti tenuti in occasione del blitz. Luogo dell'intervento (se in acque territoriali o meno); circostanze che hanno portato all'uccisione di diversi pacifisti; trasferimento in Israele di tutti gli attivisti; loro trattenimento in Israele per tre giorni (che se avvenuto in acque internazionali, come tutto indica, si configurerebbe come un vero e proprio rapimento e atto di pirateria); legittimità dell'intervento: dovrebbero essere proprio gli israeliani a indagare su questi aspetti ed eventualmente sindacare sulla correttezza dei propri comportamenti. Quale assurda concezione del diritto può arrivare a ritenere legittimo e consentire a una parte in giudicato di giudicare se stessa? Se questa posizione non riguardasse un evento drammatico sarebbe da considerarsi addirittura comica per le assurde, ridicole, patetiche e faziose argomentazioni addotte.


(Manifestazione per la Palestina, Roma 31/05/10, foto Joe)

Il sostegno aprioristico e incondizionato a comportamenti che, se approvati da una commissione internazionale indipendente, imputerebbero serie e gravi responsabilità a Israele (dimostrando realmente chi fa un uso della forza in senso "terroristico") è esso stesso motivo e causa di comportamenti prepotenti e di forza di chi si sente al di sopra del diritto e al di fuori di un qualsiasi giudizio morale che la storia prima o poi saprà pronunciare.
P.s. Fortunatamente la posizione dell'Italia non è prevalsa, perché una maggioranza di paesi componenti il Consiglio dei diritti dell'uomo dell'Onu ha deciso l'istituzione della commissione.

mercoledì 2 giugno 2010

La libertà e il lavoro

L’articolo 3 della Costituzione recita: "Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica economica e sociale del Paese". Va anche sottolineato che la Costituzione nel primo articolo afferma testualmente che: "L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro". Quindi la democrazia e la libertà cui si riferisce la Costituzione sono legate indissolubilmente al lavoro. Quest'ultimo pertanto è l’elemento fondante e indispensabile per l’affermazione e la realizzazione della libertà dell’individuo.
Il lavoro è dunque un diritto e condizione di libertà. Ma tutti i cittadini hanno bisogno di questo diritto (e quindi di lavorare per essere liberi) oppure esiste chi, per essere libero, non ne ha bisogno? Cosa si intende, inoltre, per diritto al lavoro?
Il lavoro è un elemento che caratterizza e distingue la vita dell’uomo moderno: lavora l’operaio, il bracciante, l’artigiano, il contadino, il commerciante, il professionista, il finanziere, l’imprenditore. Possiamo dire però che il lavoro incida allo stesso modo nella vita di tutti gli individui? Permetta retribuzioni eque o, perlomeno confrontabili? Abbia, per ciascuno, la stessa importanza? Sia indispensabile allo stesso modo nel determinare la libertà di ognuno? Indubbiamente il possesso di beni e capitali incide sull'importanza e indispensabilità del lavoro ai fini dell’affermazione e della realizzazione della libertà dell’individuo. Esistono soggetti ricchi che possono determinare la propria vita in tutti gli aspetti. Essi non hanno bisogno del lavoro per vivere e se hanno un'attività questa produce per loro grandi ricchezze. Questi individui possono incidere però profondamente sulle condizioni di vita di altri cittadini: possono decidere del loro stile di vita e modificare profondamente la situazione sociale. Questi individui possono trarre un guadagno non solo dal proprio lavoro (se ne hanno voglia, perché non ne hanno necessità stringente), ma soprattutto da quello altrui e possono determinare o meno l’affermazione e la realizzazione della libertà di altre persone. Questi individui sono, perciò, detentori di un potere enorme e di diritti non riconosciuti agli altri cittadini.
Questi ultimi, la maggioranza, non posseggono beni e capitali. Essi per essere liberi sono costretti a lavorare alle dipendenze e per il guadagno di altre persone, a vantaggio delle quali debbono rinunciare alla propria libertà, mettendo a disposizione il proprio tempo libero, la propria intelligenza e capacità professionale. Tutto questo per un certo numero di ore al giorno, per un certo numero di anni della propria vita. Individui il cui lavoro e, soprattutto, le cui libertà sono determinati prioritariamente dall’interesse di guadagno di altri individui: il diritto all’ulteriore guadagno di questi ultimi regola, quindi, la libertà dei primi. Nella nostra società, nei fatti, esistono quindi cittadini che possono privare altri di tale diritto fondamentale.
La Costituzione prendeva atto dell’esistenza di tali differenze nelle condizioni sociali e, senza riconoscerle esplicitamente o modificarle sostanzialmente, affermava dei principi che avrebbero dovuto attutirle. Nei fatti si trattava di far convivere pacificamente individui appartenenti a strati sociali differenti, alcuni in possesso di privilegi, altri discriminati e subalterni. In conclusione appartenenti a ceti o classi sociali differenti.
Fin quando durerà questa "pacifica" convivenza?

martedì 1 giugno 2010

La Cina e il compagno capitalista

Scorrendo i giornali di questi giorni abbiamo potuto apprendere tre notizie sorprendenti riguardanti la Cina:
1) il Pil (prodotto interno lordo) cinese è al terzo posto nel mondo. Nell'ultimo trimestre 2009 è aumentato del 10,7 per cento, portando il dato annuale all'8,7 per cento;
2) in Cina, presso la fabbrica della Honda nella provincia di Guangdond, 1900 operai stanno scioperando per ottenere salari più alti degli attuali, pari a 900 yuan (circa 90 euro mensili);
3) a Pechino un nuovo regolamento diramato dall'agenzia municipale dei trasporti impone, ai propri dipendenti, di abbandonare l'appellativo di "tonghzi": compagno.
La sequenza di queste tre notizie dimostra quanta poca corrispondenza ci sia, in Cina, tra la realtà dei fatti e le affermazioni di principio.
In Cina si sta realizzando, leggendo tali notizie, un processo economico simile a quello verificatosi nei paesi occidentali a partire dalla fine del '700, con l'inizio della Rivoluzione industriale: lunghissimi orari di lavoro con ritmi elevati e salari bassi. Tutto questo induce gli imprenditori di altri paesi a delocalizzare le loro attività, trasferendole in quella realtà risparmiando così su ogni singolo lavoratore 900/1000 euro mensili, o più, cui vanno aggiunti gli oneri riflessi rispetto ai loro paesi di origine.
A seguito di ciò si realizza un enorme aumento di quantità di ricchezza prodotta, tale da non avere eguali con i paesi occidentali costretti, invece, a fare i conti con le loro economie in crisi.
Ricchezza che però non viene distribuita, ma si concentra nelle mani di pochi.
Questa è la situazione tipica di una realtà nella quale il capitalismo rampante e spregiudicato utilizza qualsiasi opportunità per accrescere i propri profitti. Gli stessi paesi occidentali, d'altronde, non disdegnano di fare accordi con chi spesso, in passato, è stato da loro apertamente accusato di violazione dei diritti umani.
Abolire la parola compagno, paradossalmente, non è che una piccola operazione di trasparenza in una realtà nella quale, del comunismo, si sta cancellando perfino l'ombra.