martedì 1 giugno 2010

La Cina e il compagno capitalista

Scorrendo i giornali di questi giorni abbiamo potuto apprendere tre notizie sorprendenti riguardanti la Cina:
1) il Pil (prodotto interno lordo) cinese è al terzo posto nel mondo. Nell'ultimo trimestre 2009 è aumentato del 10,7 per cento, portando il dato annuale all'8,7 per cento;
2) in Cina, presso la fabbrica della Honda nella provincia di Guangdond, 1900 operai stanno scioperando per ottenere salari più alti degli attuali, pari a 900 yuan (circa 90 euro mensili);
3) a Pechino un nuovo regolamento diramato dall'agenzia municipale dei trasporti impone, ai propri dipendenti, di abbandonare l'appellativo di "tonghzi": compagno.
La sequenza di queste tre notizie dimostra quanta poca corrispondenza ci sia, in Cina, tra la realtà dei fatti e le affermazioni di principio.
In Cina si sta realizzando, leggendo tali notizie, un processo economico simile a quello verificatosi nei paesi occidentali a partire dalla fine del '700, con l'inizio della Rivoluzione industriale: lunghissimi orari di lavoro con ritmi elevati e salari bassi. Tutto questo induce gli imprenditori di altri paesi a delocalizzare le loro attività, trasferendole in quella realtà risparmiando così su ogni singolo lavoratore 900/1000 euro mensili, o più, cui vanno aggiunti gli oneri riflessi rispetto ai loro paesi di origine.
A seguito di ciò si realizza un enorme aumento di quantità di ricchezza prodotta, tale da non avere eguali con i paesi occidentali costretti, invece, a fare i conti con le loro economie in crisi.
Ricchezza che però non viene distribuita, ma si concentra nelle mani di pochi.
Questa è la situazione tipica di una realtà nella quale il capitalismo rampante e spregiudicato utilizza qualsiasi opportunità per accrescere i propri profitti. Gli stessi paesi occidentali, d'altronde, non disdegnano di fare accordi con chi spesso, in passato, è stato da loro apertamente accusato di violazione dei diritti umani.
Abolire la parola compagno, paradossalmente, non è che una piccola operazione di trasparenza in una realtà nella quale, del comunismo, si sta cancellando perfino l'ombra.

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