mercoledì 23 giugno 2010

Pomigliano, il padrone è nudo

L’esito del referendum era scontato. Era naturale che tra la scelta della certezza della disoccupazione e quella di iniziare una dura e difficile battaglia in difesa dei diritti consolidati, dagli esiti incerti, ben pochi avrebbero avuto dubbi (sì al 62 per cento). Non c’è stato però il plebiscito, anzi una larga fetta di lavoratori (no per il 36 per cento) non ha ceduto al ricatto, nonostante la maggior parte delle sigle sindacali “ragionevoli” e tutti i partiti del Parlamento, se si esclude l’Italia dei valori, si fossero schierati per il sì. Fuori il Parlamento hanno appoggiato la posizione del no i partiti della Federazione di sinistra e la formazione di Vendola.
Che non si trattasse di un semplice scontro contrattuale lo si era capito subito, dallo schieramento a favore dell’accordo capeggiato dalla Fiat e dalla Confindustria e dagli stravolgimenti contenuti nell’ipotesi di accordo. Il padronato e i suoi sodali però, pur avendo vinto, non hanno stravinto. Il silenzio della Fiat dopo la chiusura delle urne lascia chiaramente intendere come l'azienda non sia per niente soddisfatta della percentuale di consensi ottenuta. L’affermazione poi della volontà dichiarata dalla Fiat che "l'azienda lavorerà con le parti sindacali che si sono assunte la responsabilità dell'accordo al fine di individuare e attuare insieme le condizioni di governabilità necessarie per la realizzazione di progetti futuri" sta a dimostrare che i giochi sono tutt’altro che conclusi.
Quest’ultima dichiarazione dimostra il concetto di democrazia che ha l’azienda e che si vorrebbe introdurre nel Paese: "tratto solo con chi è d’accordo con me!" (con chi accetta supinamente, cioè, la mia volontà e interesse, magari per rilanciare ancora più in alto). Ultimo esempio di un padronato arrogante, con un chiaro sapore di ritorsione verso chi si è espresso contro la sottomissione a un contratto polacco (quindi con minori garanzie e diritti e contrario alle leggi italiane) pur di poter lavorare.
Il ministro del lavoro nella sua “imparzialità” ha, dal canto suo, paragonato la vittoria del sì a quella ottenuta dal padronato nel referendum sui quattro punti di scala mobile del decreto di San Valentino. In quella occasione il governo Craxi, coadiuvato dai “rappresentanti dei lavoratori” Cisl e Uil, con l’astensione della Cgil di Lama, tolse per decreto, dagli stipendi di tutti i lavoratori italiani, 27mila e 200 lire per regalarli al padronato, con la scusa che questo avrebbe rilanciato l’occupazione. La storia e il ricatto si ripetono: l’occupazione in cambio dei diritti. Il segretario Cisl invece, nel dichiarare che hanno vinto le forze “propositive” su quelle dello “sfascio”, terrorizzato che il suo “contributo” al sì non determini comunque l’investimento promesso, invita la Fiat a non fare scherzi.
Il 36 per cento rappresenta un'opposizione molto superiore (tre volte alla normale rappresentanza) se lo rapportiamo agli iscritti Fiom e Cobas. Da questo 36 per cento occorre ripartire a Pomigliano e nel Paese per una nuova stagione di lotte sindacali contro chi, padronato, partiti e sindacati concertativi, considera il lavoro un regalo e non un diritto. E per chi pensa che la ricerca del profitto anteposta ai diritti delle persone sia un furto e alla base delle discriminazioni di classe e dell’ingiustizia sociale.

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