domenica 20 marzo 2011

20/03/2011: una tranquilla domenica di guerra

"Ninna nanna, nanna ninna,
er pupetto vò la zinna,
dormi dormi, cocco bello,
se no chiamo Farfarello,
Farfarello e Gujermone
che se mette a pecorone
Gujermone e Cecco Peppe
che s'aregge co' le zeppe:
co' le zeppe de un impero
mezzo giallo e mezzo nero;
ninna nanna, pija sonno,
che se dormi nun vedrai
tante infamie e tanti guai
che succedeno ner monno,
fra le spade e li fucili
de li popoli civili.

Ninna nanna, tu nun senti
li sospiri e li lamenti
de la gente che se scanna
per un matto che comanna,
che comanna e che s'ammazza
a vantaggio de la razza,
o a vantaggio de una fede,
per un Dio che nun vede,
ma che serve da riparo
ar sovrano macellaro;
che quer covo d'assassini
che c'insanguina la tera
sa benone che la guera
è un gran giro de quatrini
che prepara le risorse
pe li ladri de le borse.

Fa la ninna, cocco bello,
finché dura 'sto macello,
fa la ninna, che domani
rivedremo li sovrani
che se scambieno la stima,
boni amichi come prima;
so' cuggini, e fra parenti
nun se fanno complimenti!
Torneranno più cordiali
li rapporti personali
e, riuniti infra de loro,
senza l'ombra de un rimorso,
ce faranno un ber discorso
su la pace e sur lavoro
pe' quer popolo cojone
risparmiato dar cannone
".

(Trilussa, "La ninna nanna de la guerra", 1914)

giovedì 17 marzo 2011

Festeggiano la loro Italia

Ogni occasione è buona per imbonire il popolo credulone e caprone. Oggi, centocinquantenario dell’unità d’Italia, tanti patrioti interessati e benestanti si arrampicheranno sugli specchi per cercare di convincerci che la nostra è la migliore delle nazioni, di cui si deve essere fieri. I simboli retorici di quest’unità saranno sventolati ed esaltati: il tricolore, l’inno di Mameli, lo Stato, l’unità e l’orgoglio nazionale, la mano sul cuore, ecc. Tutti gli italiani devono essere fieri di appartenere a questa Repubblica, nella quale tutti i cittadini devono riconoscersi. Tutti, proprio tutti, dal miliardario Presidente, al nababbo, alla presidente della Confindustria, al famoso (e ricco) personaggio pubblico o dello spettacolo (che magari per calcoli fiscali risiede all’estero), al politico di ogni colore che in queste ore si sta adoperando per farci credere che, la nostra, è la migliore realtà possibile. Tutti uniti nel sentimento tanto vano quanto ridicolo di farci sentire privilegiati, rispetto ai popoli di altre nazioni, del nostro essere italiani.
Perché mai dovremmo sentirci privilegiati rispetto agli altri? Siamo governati da un capo di governo ricco sfondato (le cui fortune hanno un'origine dubbia), membro di una misteriosa organizzazione detta P2, da cui ha ereditato fino ai dettagli il programma e il modo di governare, che ogni giorno ci ridicolizza davanti all’opinione pubblica internazionale per le sue vicende personali, politiche, giudiziarie ed economiche. Ancora: la criminalità organizzata ha ormai invaso e infettato ogni parte d’Italia; i quattrini e la corruzione economica, politica e morale consentono di comprare pubblicamente e senza alcuna vergogna tutto, anche maggioranze parlamentari (democratiche naturalmente), se quelle di prima vengono meno; una corte sterminata di politici, imprenditori, ricchi e giornalisti che si presta ad approvare e a magnificare qualunque cosa offra guadagno e ricchezza senza porsi il problema del prezzo. Siamo uniti sotto una bandiera, dove convivono tranquillamente le ricchezze più sfrenate con la miseria più nera.
Siamo uniti sotto una bandiera dove, mentre si tagliano salari e pensioni, si aumentano le indennità ai ricchi parlamentari; dove si chiede ai cittadini lavoratori di rinunciare a salario e diritti per contribuire alla crescita del Paese e si consente ai padroni di portare le loro industrie e affari all’estero, in quei paesi dove la manodopera costa meno perché più affamata della nostra. Siamo uniti in un Paese, dove la ricchezza si concentra sempre più nelle mani di pochi. Dove i giovani sono derubati del futuro e umiliati nel presente perché ancora più discriminati, se possibile, rispetto ai loro padri. Questi ultimi sono obbligati a sostenere i propri figli precari o disoccupati, con stipendi e pensioni miseri e sempre più scarsi, ben al di dentro del tetto d’inflazione programmato, compatibili con la smodata ingordigia dei soldi padronali, ma competitivi con la fame di altri lavoratori o pensionati di altri paesi e nazioni (che saranno certamente orgogliosi e fieri di appartenere, per la gioia delle rispettive borghesie capitaliste, ad altri meravigliosi paesi e nazioni).
Ma quale unità, ma quale nazione oggi si vuole celebrare? Forse quella che permette l’esistenza contemporanea di ricchezza e miseria? Di evasori totali e tartassati? Di privilegiati e discriminati? Di nababbi e disoccupati? Quella nazione che elargisce ai giovani la precarietà del lavoro e il taglio dei diritti e delle retribuzioni, mentre garantisce il profitto e il privilegio a pochi poco credibili patrioti, la cui unica preoccupazione è di mantenere e incrementare la propria condizione di privilegiati, mentre condanna alla discriminazione la maggior parte dei cittadini?
Patrioti interessati e a senso unico, esperti nel socializzare le perdite e privatizzare i profitti. Patrioti che, nel timore di perdere i propri privilegi e ricchezze, tentano di far dimenticare ai lavoratori italiani la loro reale condizione e tentano di ubriacarli di un presunto e poco credibile orgoglio nazionale, che unirebbe tutti in uno stesso destino, a prescindere dalla propria condizione economica e sociale. Quale sorte comune possono avere i lavoratori e i disoccupati italiani con costoro? Perché mai dovrebbero sentirsi orgogliosi e fieri di appartenere a un Paese che li umilia, li discrimina e li affama?
I lavoratori, i disoccupati, i precari e i pensionati italiani appartengono a un popolo. E’ lo stesso popolo e la stessa classe cui appartengono tutti i lavoratori, i disoccupati, i precari e i pensionati di ogni nazione e di ogni paese: il popolo e la classe dei discriminati e degli oppressi, legati dalle stesse catene e dalla stessa ingiustizia sociale in tutti i paesi della terra.

mercoledì 16 marzo 2011

Energia fino all'estinzione



"E l'acqua si riempie di schiuma il cielo di fumi
la chimica lebbra distrugge la vita nei fiumi
uccelli che volano a stento malati di morte
il freddo interesse alla vita ha sbarrato le porte

Un'isola intera ha trovato nel mare una tomba
il falso progresso ha voluto provare una bomba
poi pioggia che toglie la sete alla terra che è vita
invece le porta la morte perché è radioattiva

Eppure il vento soffia ancora
spruzza l'acqua alle navi sulla prora
e sussurra canzoni tra le foglie
bacia i fiori li bacia e non li coglie

Un giorno il denaro ha scoperto la guerra mondiale
ha dato il suo putrido segno all'istinto bestiale
ha ucciso, bruciato, distrutto in un triste rosario
e tutta la terra si è avvolta di un nero sudario

E presto la chiave nascosta di nuovi segreti
così copriranno di fango persino i pianeti
vorranno inquinare le stelle la guerra tra i soli
i crimini contro la vita li chiamano errori

Eppure il vento soffia ancora
spruzza l'acqua alle navi sulla prora
e sussurra canzoni tra le foglie
bacia i fiori li bacia e non li coglie

Eppure sfiora le campagne
accarezza sui fianchi le montagne
e scompiglia le donne fra i capelli
corre a gara in volo con gli uccelli

Eppure il vento soffia ancora
"

(Pierangelo Bertoli)

domenica 13 marzo 2011

La difesa della Costituzione e i diritti dei discriminati

La Costituzione rappresentò il punto massimo di mediazione possibile fra i partiti che la realizzarono. Da una parte l’ala più rivoluzionaria e alternativa delle componenti la Resistenza e il Comitato nazionale di liberazione, quella costituita dai comunisti e dai socialisti e dall’altra quella formata dai cattolici e i liberali.
Attraverso la Costituzione fu trovato un equilibrio di mediazione, che prevedeva l’introduzione di elementi di socialismo uniti a principi più propri di una società liberale. Le forze liberiste furono costrette a questa mediazione, a causa della spinta al cambiamento della Resistenza e dei comunisti, presenti in componente maggioritaria, favorevoli alla prosecuzione della lotta per la costruzione di uno stato socialista libero dalle discriminazioni economiche sociali, vere cause di disuguaglianza e ingiustizia fra i cittadini. Prevalse (anzi fu fatta prevalere) l’idea per cui, pur se la Carta conteneva delle ambiguità e delle contraddittorietà di fondo, sarebbe stato possibile nel tempo e in maniera democratica e parlamentare operare delle profonde riforme che superassero e cancellassero gli ostacoli alla realizzazione della libertà e dell’uguaglianza fra cittadini.
Nella Costituzione è affermato che la Repubblica è fondata sul lavoro e sono stabiliti i principi inviolabili di uguaglianza fra i cittadini. Si prevede l’impegno (?) a rimuovere gli ostacoli economici e sociali che impediscono il pieno sviluppo della persona umana. Viene riconosciuto inoltre per ciascuno il diritto al lavoro, senza tuttavia garantirlo. Al contrario (quasi in contrapposizione) vengono tutelati altri “diritti e libertà”: quelli alla “libera” iniziativa economica e il diritto alla proprietà privata. Questi ultimi, a differenza dei primi, non sono solo riconosciuti ma sono garantiti dalla legge e dall’ordine costituito. Nella Carta il diritto al profitto e all’accumulazione prevale sul diritto al lavoro, strumento e mezzo indispensabile di libertà individuale.
La Costituzione rappresenta sicuramente il punto più alto finora raggiunto dalla legislazione italiana: non certo il massimo, perché stabilisce diritti differenti fra i cittadini, perché differenti sono le loro condizioni economiche. Vertice messo oggi in discussione, nel momento in cui sull’iniziativa per modificare il patto in direzione dei diritti dei discriminati, prevale quella tesa a spostare l’asse in direzione ancora più liberista e capitalista.
Ciò è avvenuto con le politiche e le leggi decise da governi di ogni “colore” succedutisi nel tempo, che avevano e hanno la medesima spinta liberista. Basti ricordare le varie “riforme elettorali” che sancivano il maggioritario quale sistema elettorale “democratico”; l’abolizione del collocamento che ripristinava il diritto del padrone di scegliersi lo schiavo salariato da assumere; il collegamento e la dipendenza, sia dei salari che delle condizioni di vita, dei lavoratori alle “compatibilità e competitività capitaliste”, non ai diritti di libertà e civiltà dei cittadini, come avvenuto con la cancellazione della scala mobile o la precarizzazione del lavoro o con la controriforma pensionistica e previdenziale; l’attacco alla sanità e alla scuola pubblica, legate anch’esse in modo crescente a principi liberisti di competitività e compatibilità.
Questa tendenza si è concretizzata grazie “all’impegno” di governi di centrodestra e di centro”sinistra”, uniti concretamente nella spinta neoliberista al di là di ogni dichiarazione di principio e d'opposizione. Tutto questo ha determinato la diminuzione delle libertà dei discriminati, riconducendoli ai livelli dimenticati e superati degli anni Cinquanta e ha contemporaneamente ampliato le libertà dei ricchi e dei capitalisti. Mutazioni in peggio avvenute all’interno dei limiti costituzionali. E’ prevalsa cioè l’impostazione liberista presente nella Costituzione, a danno di quella sociale. Ciò è stato possibile per l’assenza di forze sociali antagoniste, convertitesi nel frattempo al liberismo, alle compatibilità e competitività capitaliste.
La difesa della Costituzione è usata oggi come collante di forze di vario tipo (perfino ex nostalgici dell'attuale "destra democratica"), che si ergono a sua tutela contro il prepotente di turno, pur avendo determinato le condizioni, prima culturali, poi politiche dello stravolgimento dei principi in senso liberista. Verrebbe da chiedersi e da chiedere a costoro, chi è che mette in discussione, oggi, la nostra legge fondamentale e la democrazia? Da chi proviene l’attacco alla libertà, al lavoro, alla sanità, alla scuola, al sistema previdenziale e ai diritti dei cittadini? L’attuale Premier è forse l’unico a costruirsi un diritto su misura? Non avviene forse tutto ciò quando s’impongono in maniera brutale, com’è stato fatto anche con il sostegno di chi oggi si straccia le vesti sulla Costituzione, le regole del mercato che annullano diritti, cancellano le libertà dei discriminati perché prevalgono e s’impongono la cultura, le libertà e i diritti dei potenti? Non avviene tutto ciò perché al diritto al lavoro, e con esso quello alla emancipazione dei discriminati, viene fatto prevalere quello del capitale e dell’accumulazione? Non avviene tutto ciò quando si consentono le delocalizzazioni e i licenziamenti, o quando si obbligano i lavoratori al ricatto di minori diritti e libertà? Non avviene tutto ciò quando si toglie il diritto alla pensione, per logiche di “risparmio” a senso unico? O quando sono chiusi ospedali o finanziate scuole private e cattoliche a danno di quelle pubbliche? Tutto ciò mentre si permette che crescano le grosse ricchezze, insieme alle nuove povertà.
La Costituzione, quella per la quale hanno combattuto i partigiani e i comunisti, è messa in discussione quando sono cancellati i diritti dei discriminati e tutelati quelli dei privilegiati. Resistere e reagire agli attacchi di chi limita sempre più la nostra libertà, è necessario e indispensabile. Occorre comprendere bene, però, da chi e da quali forze proviene l’attacco, altrimenti si corre il pericolo di aiutare chi afferma di voler cambiare tutto per non cambiare nulla. Se non chi siede a capotavola.

sabato 5 marzo 2011

Lo sciopero generale: quattro ore ci sembran poche

Intervenendo a un attivo sindacale dei delegati di Modena, la segretaria della Cgil Susanna Camusso ha spiegato i cardini su cui è impostata l’iniziativa di protesta. La ragione fondamentale è dare una scossa al Paese per sollecitare un cambiamento a partire dalle emergenze del lavoro e dell'economia.
"Il governo sta affossando il Paese" ha affermato la Camusso e, "sulla base di questo giudizio" proclamare lo sciopero generale per la Cgil è "una scelta di responsabilità. Un'organizzazione come la nostra deve immaginare la sua mobilitazione in un tempo lungo. Ma anche in un tempo che è ogni giorno nel rapporto su cosa può succedere col governo, sulla campagna sulla democrazia, nell'idea sui valori della costituzione, della democrazia, della scuola chiamiamo altri insieme a noi". Alla base dello sciopero è il documento approvato qualche settimana fa dal direttivo Cgil, che riassume le questioni più spinose del mondo del lavoro: "E' necessario rimettere al centro il tema del lavoro e dello sviluppo - si leggeva tra l'altro -, riconquistare un modello contrattuale unitario e battere la pratica degli accordi separati. Inoltre occorre riassorbire la disoccupazione, contrastare il precariato, estendere le protezioni sociali e ridare fiducia ai giovani. Serve una nuova stagione fatta di obiettivi condivisi e rispettosi della dignità del lavoro e serve definire le regole della democrazia e della rappresentanza".
La decisione della Cgil di indire per il 6 maggio uno sciopero generale rappresenta senza dubbio un elemento di novità positivo nello scenario politico italiano, perché è la prima iniziativa di lotta e di protesta che può innescare un processo di ripresa delle forze del lavoro, rimaste inerti negli ultimi lunghi anni a causa della politica subalterna portata avanti dai sindacati confederali, compresa la Cgil. Politica che ha determinato il pesante attacco alle conquiste dei lavoratori negli ultimi 20-25 anni.
Lo sciopero, che è senza dubbio il risultato della coraggiosa e coerente linea di classe seguita dalla Fiom nelle vicende Fiat, va sostenuto e preparato, ma vanno modificati radicalmente la durata, che deve essere di otto ore, le ragioni dell’iniziativa, l'obiettivo e la controparte. Di fronte all’attacco pesantissimo del governo e del padronato, infatti, occorre costruire una risposta forte e adeguata per creare i rapporti di forza necessari a contrastare efficacemente l’attacco in atto.
Occorre sottolineare che quattro ore sono poche in rapporto alla gravità della situazione: non permetteranno una risposta adeguata e la costruzione di una manifestazione nazionale, ma determineranno lo spezzettamento delle iniziative. Quattro ore decise per una data troppo lontana per giunta.
La critica più grande che però va fatta riguarda la controparte individuata dalla Cgil verso cui si chiamano i lavoratori a protestare e scioperare. Il governo attuale è responsabile in prima persona delle condizioni in cui si trovano oggi i lavoratori, i disoccupati e i precari. Lo è però insieme al padronato e alla Confindustria. E’ responsabile insieme ai padroni dell’attacco e della progressiva erosione e demolizione delle conquiste economiche, sociali, civili e di libertà, a partire dalla Costituzione. Tutto ciò ha determinato il drammatico peggioramento delle condizioni di vita e di libertà dei discriminati e ha consentito un enorme spostamento di ricchezza a favore dei ricchi e dei capitalisti. Questi ultimi insieme al governo hanno imposto, mentre affamavano intere generazioni di cittadini e si arricchivano, la cancellazione del sistema previdenziale e della sanità pubblica; la precarizzazione e la cancellazione del diritto al lavoro; la delocalizzazione delle aziende costringendo i lavoratori al licenziamento o a subire condizioni lavorative economiche e normative sempre peggiori; la cancellazione del diritto sciopero e del diritto al trattamento di malattia; l'aumento delle ore e dei ritmi di lavoro, spostando le pause alla fine di nastri di ben otto ore. Hanno destrutturato il sistema di relazioni sindacali, determinato l’azzeramento dei contratti nazionali di lavoro e consolidato la prassi dei contratti e accordi separati ed hanno diviso i lavoratori. Questo solo per fare alcuni esempi. Tutto ciò mentre i loro profitti continuavano ad aumentare in modo inversamente proporzionale ai salari e alle pensioni.
C’è da denunciare che anche il cosiddetto centro”sinistra” ha collaborato alacremente a tutto ciò, sostenendo le ragioni del padronato con le varie leggi decise quando era al governo, o con posizioni assunte “dall’opposizione”. Basti ricordare la controriforma Dini e poi quella Prodi, che tagliavano le pensioni da lavoro e quelle di vecchiaia; la legge Treu che istituiva il precariato; oppure le posizioni arroganti e prepotenti della Fiat di Marchionne non sufficientemente contrastate sulle vicende di Pomigliano e di Mirafiori; o sui rinnovi contrattuali. Questo solo per fare alcuni esempi. Tutto ciò in sostanziale continuità con le linee economiche sostenute da Berlusconi.
I governi Berlusconi e di centro”sinistra” che si sono succeduti hanno, in perfetta sintonia, rivendicato e sostenuto le ragioni del libero mercato, della competitività e della delocalizzazione, facendosi interpreti e rappresentanti, pur se in competizione fra loro, degli interessi del capitale e dei padroni.
La Cgil da par suo “dimentica” volutamente le responsabilità padronali e disorienta i lavoratori. Berlusconi ha tutte le responsabilità, ma non sarebbe riuscito a governare senza il sostegno diretto e interessato delle “forze economiche” e del padronato comunque mascherate.
Il 6 maggio occorre perciò scioperare contro la crescente discriminazione e ingiustizia sociale e contro il governo e il padronato, ma anche contro tutte quelle forze politiche e sindacali che sostengono le ragioni e gli interessi dei padroni, dei ricchi e del capitale.