giovedì 17 marzo 2011

Festeggiano la loro Italia

Ogni occasione è buona per imbonire il popolo credulone e caprone. Oggi, centocinquantenario dell’unità d’Italia, tanti patrioti interessati e benestanti si arrampicheranno sugli specchi per cercare di convincerci che la nostra è la migliore delle nazioni, di cui si deve essere fieri. I simboli retorici di quest’unità saranno sventolati ed esaltati: il tricolore, l’inno di Mameli, lo Stato, l’unità e l’orgoglio nazionale, la mano sul cuore, ecc. Tutti gli italiani devono essere fieri di appartenere a questa Repubblica, nella quale tutti i cittadini devono riconoscersi. Tutti, proprio tutti, dal miliardario Presidente, al nababbo, alla presidente della Confindustria, al famoso (e ricco) personaggio pubblico o dello spettacolo (che magari per calcoli fiscali risiede all’estero), al politico di ogni colore che in queste ore si sta adoperando per farci credere che, la nostra, è la migliore realtà possibile. Tutti uniti nel sentimento tanto vano quanto ridicolo di farci sentire privilegiati, rispetto ai popoli di altre nazioni, del nostro essere italiani.
Perché mai dovremmo sentirci privilegiati rispetto agli altri? Siamo governati da un capo di governo ricco sfondato (le cui fortune hanno un'origine dubbia), membro di una misteriosa organizzazione detta P2, da cui ha ereditato fino ai dettagli il programma e il modo di governare, che ogni giorno ci ridicolizza davanti all’opinione pubblica internazionale per le sue vicende personali, politiche, giudiziarie ed economiche. Ancora: la criminalità organizzata ha ormai invaso e infettato ogni parte d’Italia; i quattrini e la corruzione economica, politica e morale consentono di comprare pubblicamente e senza alcuna vergogna tutto, anche maggioranze parlamentari (democratiche naturalmente), se quelle di prima vengono meno; una corte sterminata di politici, imprenditori, ricchi e giornalisti che si presta ad approvare e a magnificare qualunque cosa offra guadagno e ricchezza senza porsi il problema del prezzo. Siamo uniti sotto una bandiera, dove convivono tranquillamente le ricchezze più sfrenate con la miseria più nera.
Siamo uniti sotto una bandiera dove, mentre si tagliano salari e pensioni, si aumentano le indennità ai ricchi parlamentari; dove si chiede ai cittadini lavoratori di rinunciare a salario e diritti per contribuire alla crescita del Paese e si consente ai padroni di portare le loro industrie e affari all’estero, in quei paesi dove la manodopera costa meno perché più affamata della nostra. Siamo uniti in un Paese, dove la ricchezza si concentra sempre più nelle mani di pochi. Dove i giovani sono derubati del futuro e umiliati nel presente perché ancora più discriminati, se possibile, rispetto ai loro padri. Questi ultimi sono obbligati a sostenere i propri figli precari o disoccupati, con stipendi e pensioni miseri e sempre più scarsi, ben al di dentro del tetto d’inflazione programmato, compatibili con la smodata ingordigia dei soldi padronali, ma competitivi con la fame di altri lavoratori o pensionati di altri paesi e nazioni (che saranno certamente orgogliosi e fieri di appartenere, per la gioia delle rispettive borghesie capitaliste, ad altri meravigliosi paesi e nazioni).
Ma quale unità, ma quale nazione oggi si vuole celebrare? Forse quella che permette l’esistenza contemporanea di ricchezza e miseria? Di evasori totali e tartassati? Di privilegiati e discriminati? Di nababbi e disoccupati? Quella nazione che elargisce ai giovani la precarietà del lavoro e il taglio dei diritti e delle retribuzioni, mentre garantisce il profitto e il privilegio a pochi poco credibili patrioti, la cui unica preoccupazione è di mantenere e incrementare la propria condizione di privilegiati, mentre condanna alla discriminazione la maggior parte dei cittadini?
Patrioti interessati e a senso unico, esperti nel socializzare le perdite e privatizzare i profitti. Patrioti che, nel timore di perdere i propri privilegi e ricchezze, tentano di far dimenticare ai lavoratori italiani la loro reale condizione e tentano di ubriacarli di un presunto e poco credibile orgoglio nazionale, che unirebbe tutti in uno stesso destino, a prescindere dalla propria condizione economica e sociale. Quale sorte comune possono avere i lavoratori e i disoccupati italiani con costoro? Perché mai dovrebbero sentirsi orgogliosi e fieri di appartenere a un Paese che li umilia, li discrimina e li affama?
I lavoratori, i disoccupati, i precari e i pensionati italiani appartengono a un popolo. E’ lo stesso popolo e la stessa classe cui appartengono tutti i lavoratori, i disoccupati, i precari e i pensionati di ogni nazione e di ogni paese: il popolo e la classe dei discriminati e degli oppressi, legati dalle stesse catene e dalla stessa ingiustizia sociale in tutti i paesi della terra.

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