lunedì 28 febbraio 2011

Nessuna nuova, cattiva nuova

Scorre la vita politica in Italia senza che apparentemente nulla di significativo e di nuovo succeda. In realtà non è che non succeda nulla. Semplicemente si ripetono fatti e si ripropongono situazioni e avvenimenti già accaduti e consumati.
Se non fosse per la tragedia che ha riguardato, per l’ennesima volta, il contingente di “pace” italiano in Afghanistan, ci si potrebbe annoiare all’ennesimo balletto di posizioni che la “democrazia” italiana attraverso i politici e i mezzi di comunicazione ci propina, circa le opportunità della permanenza militare armata in quell’area. Come il solito ci saranno i soliti benpensanti a orologeria che ci diranno che questo è il momento del dolore e non della polemica politica. Naturalmente l’intervento militare continuerà, ci saranno altre vittime e ripartirà il balletto.
La “libertà” di scelta fra le scuole statali e quelle cattoliche o private, ma finanziate anche con i soldi pubblici, continua a essere predicata e perseguita ostinatamente. Come si fa a non essere d’accordo con una scelta di libertà? Bisognerà spiegarlo al disoccupato e al precario che anche loro hanno questa libertà, che anche loro possono mandare i propri figli in quelle scuole: basterà mettere mano al portafoglio riempito di aria per godere del diritto. Naturalmente si svilupperà un dibattito politico fra gli schieramenti di centrodestra e centro”sinistra”, per accertare e dimostrare chi di loro ha effettivamente affossato la scuola pubblica. Naturalmente ognuno incolperà l’altro, con buona pace della moribonda cultura dei nostri figli.
Nel frattempo, sostiene qualche dirigente del Partito democratico, si può organizzare una bella manifestazione di protesta, come quella recente delle donne, naturalmente senza simboli di partito e senza parole d’ordine dirompenti, così potrà partecipare anche Fini e il suo neonato gruppo di centrodestra, tutti uniti in un unico afflato antiberlusconiano. Della scuola pubblica poco importa è un problema che viene dopo.
La “persecuzione” giudiziaria di cui è vittima, da troppi anni, il “povero” Presidente del Consiglio intanto continua. Proprio oggi Berlusconi è stato dichiarato contumace, ma da giudici comunisti, su ordine di politici comunisti e su ciò si scateneranno articoli su giornali e dibattiti televisivi noiosi, ripetitivi e inutili di un ceto politico proteso a raccogliere consensi. Tutto rimarrà come prima, visto che sono circa venti anni che questa situazione permane e si ripete. Con buona pace delle più “alte” cariche istituzionali e “dell’opposizione parlamentare”, che non ha altri argomenti per attizzare il dibattito e il “confronto” se non vicende che con i problemi dei lavoratori nulla hanno a che spartire.
Vendola si lancia in ripetuti volteggiamenti teorici per contendere la leadership ai “democratici” sul piano delle capacità dialettiche personali, più che sui contenuti, avendo anch’egli accettato il liberalismo e abbandonato il comunismo, proponendosi come candidato della coalizione liberista di centro”sinistra” (non escludendo un suo possibile ingresso nel Pd). Per fortuna c’è Fassino che ha vinto le consultazioni interne del Pd di Torino. Si è visto Fassino agitare le mani in segno patetico di vittoria: quelle interne sono le sole consultazioni democratiche in cui vince quel partito (ogni tanto). Cosa ci sarà mai da esultare?
Anche lavoratori, pensionati, precari e disoccupati non hanno registrato cambiamenti nel proprio stato. La loro voce resta muta. Le poche forze disponibili non hanno ancora imboccato la strada della chiara (necessaria e inevitabile) analisi di classe e della conseguente costruzione di un'opposizione sociale che sgombri il campo dai prestigiatori politicisti del centro”sinistra”. Che in stretta collaborazione con il centrodestra hanno smantellato il sistema di conquiste e di diritti costato lacrime e sangue a chi lo aveva conquistato.

giovedì 24 febbraio 2011

Ventuno anni fa

Il 24 febbraio del 1990 moriva Sandro Pertini.



"[...] Per me libertà e giustizia sociale, che poi sono le mete del socialismo, costituiscono un binomio inscindibile: non vi può essere vera libertà senza la giustizia sociale, come non vi può essere vera giustizia sociale senza libertà".

mercoledì 16 febbraio 2011

Femminismo interclassista: Marcegaglia=operaia tessile?

Se non ora, quando? E’ stato lo slogan più ripetuto durante le manifestazioni che le donne hanno tenuto in 230 piazze il 13 febbraio. Quest’affermazione racchiude buona parte delle contraddizioni che hanno permesso e continuano a permettere la permanenza dell’attuale quadro politico e del potere berlusconiano.
Le mortificanti e intollerabili vicende che vedono protagonista il presidente del Consiglio e le sue discusse frequentazioni determinerebbero l’improcrastinabilità della rivolta delle donne contro di lui. Berlusconi è ormai anche icona di un senso comune maschilista e di una reazione patriarcale diffusa, forma nuova del dominio maschile, giudicato autoritario se non violento. Un "dominio che ingloba anche i corpi delle donne nell’onnivoro processo di mercificazione e li imprigiona nei flussi della video-comunicazione". E’ quanto affermato in alcuni volantini realizzati e distribuiti per l’occasione. Questi slogan hanno costituito il motore organizzativo e propagandistico della “nuova rivolta” delle donne contro Berlusconi e il maschilismo che costui rappresenterebbe egregiamente. Le donne di tutte le opinioni politiche (destra e sinistra), laiche e religiose ma soprattutto di ogni condizione sociale (dalla Marcegaglia all’ultima disoccupata o precaria) hanno così regalato all’imperatore l’onere e l’onore di rappresentare l’altro sesso (tutti gli uomini), colpevole indistintamente di discriminazione: un obiettivo contro di cui combattere unite (tutte le donne). I comportamenti di Berlusconi diventano così simbolo di un dominio indistinto dei maschi (nell'unico calderone di una società liberista che premia solo un sesso, sempre e comunque) contro i quali, anche per i recenti fatti di cronaca, ora è il momento di reagire.
Tutto ciò è non solo aberrante, ma addirittura offensivo. Il modello culturale ed economico imposto dal berlusconismo trionfante si è imposto grazie alla presunta fine di altre culture e utopie date per morte e defunte, decretata anche dalla “moderna sinistra”, ansiosa di essere ammessa a corte. Tutto questo senza che fosse stato fatto e tentato nulla per sostituire nuove analisi e nuovi obiettivi, ma acquisendo in toto i modelli liberisti esistenti, mai messi realmente in discussione.
La caduta del muro di Berlino ha avuto il compito, oltre che di cancellare un potere burocratico che si era imposto sul popolo, di fornire il pretesto per cancellare il comunismo e con esso tutto il patrimonio di lotte e di conquiste dei lavoratori e dei discriminati e contemporaneamente delle donne, lotte che avevano consentito il miglioramento delle condizioni di queste ultime. Sono state dimenticate e cancellate le conquiste sociali e civili che le donne, con l’intero movimento operaio, avevano ottenuto a partire dalla Resistenza e dall’immediato dopoguerra. Il diritto di voto, il superamento del caporalato, l’abbattimento delle gabbie salariali (che determinava, su basi sessuali, salari diversi a parità di lavoro), il collocamento numerico (che consentiva l’assunzione su graduatoria di personale a prescindere dall’appartenenza di genere), le leggi a tutela della maternità, la legge sul divorzio, il nuovo diritto di famiglia, il sistema previdenziale pubblico, i servizi sociali, ecc. ecc. ecc. Conquiste rese possibili solo da donne e uomini, uniti dalla medesima condizione di discriminati, che hanno lottato fianco a fianco, condividendo gli stessi obiettivi e valori di uguaglianza e di progresso sociale, contro la realtà classista e il condizionamento religioso.
L’obiettivo del 13 febbraio è stato quello di unire una massa di persone scontente e indignate, in questo caso donne, ma di concentrare il malcontento sulle misere vicende che vedono implicate le massime cariche istituzionali. Ciò è avvenuto in base alla precisa scelta di non determinare una qualsiasi, seppur minima rottura, con l’attuale ideologia imperante, il liberismo e i suoi modelli culturali (con il sesso femminile spesso consenziente alla propria mercificazione). Questi prevedono la riduzione di tutto a merce da vendere o comprare (non solo il corpo femminile), con diritti fondamentali che possono essere modificati, stravolti e cancellati solo in base a convenienze di mercato e di soldi.
Non era dunque nelle intenzioni di chi ha organizzato le manifestazioni contestare il sistema liberista. Questo avrebbe determinato, infatti, una precisa connotazione di classe antiliberista e anticapitalista all’iniziativa. Il Partito democratico invece è tutto concentrato a costruire una “opposizione” parlamentare (che comprenda Casini, Fini, Rutelli e forse anche la Lega di Bossi) che determini la caduta del governo Berlusconi per le sue colpe personali, non mettendo minimamente in discussione i “valori” liberali dell’imperatore, che Bersani pretende di rappresentare in competizione e meglio del Pdl e che sono la causa, il pretesto e il fondamento culturale e ideologico dell’esistente.
Certamente vedere masse di persone che scendono in piazza contro il governo e il suo padrone ha rappresentato un momento positivo. Concentrare la giornata di lotta sugli aspetti sessuali ha però contribuito a perdere la bussola su chi e che cosa, oggi, determinano, non solo un’aggressione alla dignità femminile, ma a tutto il mondo del lavoro e a tutti i discriminati, con tutte le conseguenze che ciò comporta. Ben altre avrebbero dovuto essere le parole d’ordine al centro dell’iniziativa. A partire dalla lotta per l’occupazione e contro la precarizzazione del lavoro (perché la mancanza di risorse economiche rappresenta la condizione e la premessa per la subalternità e la discriminazione) o la lotta contro i ripetuti tagli allo stato sociale.
Il rischio concreto che si corre, anche per la spregiudicatezza dei soggetti in causa nell’utilizzare i meccanismi costituzionali stravolti dalle “riforme” che entrambi gli schieramenti hanno determinato, è che si cerchi di cambiare tutto per non cambiare nulla se non i soggetti seduti a tavola.

mercoledì 9 febbraio 2011

Intesa bipartisan: libera l'impresa, schiavo il lavoro

In una lettera inviata al Giornale in risposta all'editoriale di Giuliano Ferrara (stratega del berlusconismo), la presidente di Confindustria, Marcegaglia ha testualmente affermato: "Il nostro auspicio è che vengano varate misure chiare e vere. La riforma dell'articolo 41 della Costituzione è un manifesto utile ma - puntualizza Marcegaglia - per tornare a una crescita superiore al 2 per cento serve di più: l'immediato sblocco dei fondi già stanziati per gli investimenti in infrastrutture e per la ricerca; serve una vera riforma fiscale che abbatta le tasse a lavoratori e imprese; serve infine un forte piano di liberalizzazioni".
La rappresentante del padronato italiano rivendica, in nome del nuovo totem del liberismo, la cancellazione dei vincoli imposti dall’articolo 41 della Costituzione circa l’iniziativa economica privata, che oltre ad essere libera si deve poter svolgere evidentemente, secondo coloro i quali sponsorizzano tale “innovativa riforma”, anche in contrasto con l'utilità sociale o in modo da arrecare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. Nonché usando demagogicamente il malcontento dei lavoratori a reddito fisso verso il pesantissimo carico fiscale che li opprime, rivendica nella naturale coincidenza d’interessi fra nuovi schiavi e padroni, lo sgravio fiscale per le imprese. "Quel che le imprese chiedono al governo - aggiunge Marcegaglia - è dimostrare con i fatti di essere in grado di darla davvero, la più grande frustata all'economia italiana che ci viene oggi annunciata. Quell'uno per cento risicato di crescita dimostra purtroppo che di frustate sin qui ne abbiamo più prese che date. Confindustria - afferma - è da fine 2009 che chiede instancabilmente che questa e solo questa sia la priorità politica per il governo come per opposizione: il sostegno alla crescita, troppo bassa da 15 anni prima della crisi e troppo bassa ora che ne stiamo faticosamente uscendo". Naturalmente a prendere la frustata non sono stati per la Marcegaglia solo i lavoratori, i pensionati, i disoccupati e i precari ma anche i “poveri” padroni e tutti insieme, sempre secondo lei, si sta faticosamente uscendo dalla crisi. Infine torna sulla polemica dei costi della Festa del 17 marzo che, dice "così come congegnata costa 4 miliardi di aggravi aggiuntivi per le imprese, sono un onere pesante e se togliamo le somme giustamente e meritoriamente stanziate dal governo per l'estensione degli ammortizzatori sociali nella crisi 4 miliardi sono più di quanto negli ultimi due anni è stato destinato alle aziende per ricerca e investimenti".
E’ il colmo, dopo aver tolto tutto ai lavoratori: scala mobile, salario, diritti e libertà, pensioni, stato sociale, speranza nel presente e nel futuro, la nostra illuminata liberista si lamenta che al padronato industriale, il miliardario e campione del liberismo premier italiano, ha destinato meno risorse di quelle usate per gli ammortizzatori sociali. Forse occorrerà fare una sottoscrizione per il povero padronato nostrano che continua a battere cassa nonostante abbia continuato ad arricchirsi anche mentre i lavoratori venivano rapinati dei diritti, della libertà e del salario.
Il padronato italiano quando parla di liberismo non intende la libertà dell’individuo, ma del capitale e dell’impresa che devono essere in grado di muoversi senza lacci e costrizioni. Poco importa se la loro libertà comporta la riduzione in schiavitù per i lavoratori, costretti a rinunciare ai propri diritti, che vengono sempre dopo il profitto e il mercato.
In Parlamento l’opposizione (a chi e a che cosa?), per bocca del segretario del Partito democratico, risponde: "L'Italia ha bisogno di una nuova stagione di liberalizzazioni, intesa in senso ampio e molteplice. Ciò vuol dire: aprire alla concorrenza mercati chiusi o in regime di monopolio, dare più potere e libertà ai consumatori, rivedere la regolamentazione di alcuni settori di grande impatto sociale in cui la liberalizzazione ha funzionato poco e male".
"L’opposizione", cioè, sfida il governo alla competizione a chi è più liberista. Ma Bersani non era comunista? C’è di che stare allegri! Sicuramente da questa competizione i lavoratori avranno altri benefici oltre a quelli finora ottenuti. Una morte rapida?

giovedì 3 febbraio 2011

Patrimoniale? No, tartassare sempre gli stessi

La crisi è un fenomeno economico e sociale col quale i cittadini si confrontano quotidianamente. In particolare quei cittadini che hanno redditi fissi (non considerando coloro che si trovano in condizioni addirittura peggiori, come i disoccupati e i precari) e che devono fare i conti con il fisco italiano, tra i più esosi nel panorama europeo. A questo fa riscontro un sistema di servizi pubblici perennemente insufficiente, sia sul piano qualitativo sia quantitativo.
Il fisco grava prevalentemente su stipendi e pensioni, mentre agli altri redditi (d’impresa e di capitale) è permessa una sostanziale condizione di evasione fiscale (legalizzata?). Il rapporto annuale della Guardia di finanza ha verificato che nel corso del 2010 i cittadini italiani non hanno dichiarato al fisco redditi per cinquanta miliardi di euro, somma cresciuta del 46 per cento rispetto l’anno precedente. Sono stati scoperti inoltre 8.850 evasori totali (più 18 per cento rispetto al 2009).
L’evasione dei cinquanta miliardi riguarda il mancato pagamento di Iva (imposta sul valore aggiunto) e Irap (imposta regionale sulle attività produttive). Tasse cioè che competono in gran parte ai ricchi e al padronato, perché i redditi fissi non possono evadere grazie al sostituto d’imposta. Il quadro è completato dal dato concernente la ripartizione della ricchezza nazionale che per il 50 per cento circa è concentrata nelle mani del 10 per cento della popolazione.
Questi dati parlano da soli. Davanti a tutto questo, anche in relazione a quanto previsto dall’articolo 53 della Costituzione ("tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva"), ci sarebbe da aspettarsi un qualche provvedimento che correggesse l’iniqua situazione esistente. Il presidente del Consiglio invece, uno degli uomini più ricchi del mondo, le cui entrate superano milioni di volte quelle di un operaio, ci fa sapere che lui e quelli come lui è bene che non paghino le tasse nell’interesse stesso dell’Italia e degli italiani e l’istituzione di una patrimoniale "sarebbe la via più breve per deprimere gli investimenti, mettere in fuga i capitali (anche se si può sempre rifare uno scudo fiscale), impedire le riforme, riaccendere la corsa alla spesa pubblica improduttiva e alla creazione di nuovo debito". Anzi, aggiunge l’interessato miliardario "se il Partito democratico e il Terzo polo si lasciassero lusingare da questa cultura old fashion, si impiccherebbero all’eterno ritorno all’antico, e metterebbero in luce vecchiume e paralisi intellettuale e strategica". Gli fa eco il “moderno e svecchiato” Bersani, segretario del Pd e capo “dell’opposizione parlamentare” che controbatte (si fa per dire) “noi siamo contro la patrimoniale, Berlusconi dice qualche bugia, lui sta mettendo una patrimoniale nelle norme sul federalismo e le sta mettendo sulle piccole imprese”.
Un bel capolavoro, si accusano reciprocamente e pubblicamente, per accattivarsi i favori dei possessori di patrimoni, di voler fare ciò che nessuno dei due vuole fare. Tutto ciò con buona pace dei tanti poveri cittadini costretti a finanziare con i loro magri redditi fissi un sistema che ancora una volta si dimostra per quello che è: forte con i deboli e debole con i forti (classista?). Tutti i partiti in Parlamento si preoccupano di difendere i ricchi e i padroni e nessuno si occupa degli altri cittadini e delle loro necessità.
Gli stipendi e le pensioni sono le uniche “ricchezze” da spremere e tartassare, grazie alla politica discriminatoria e di classe che all’unisono e in perfetta sintonia, maggioranza e “opposizione” portano avanti da sempre in barba al fumo e alle chiacchiere che ogni giorno producono per imbonire il popolo caprone e credulone, che va addormentato e che invece della patrimoniale e dell’equità fiscale si deve preoccupare di minorenni ed escort. Evviva la libertà, evviva la democrazia, evviva l’uguaglianza e la possibilità di scelta democratica dei cittadini.