giovedì 27 ottobre 2011

Con La scusa della crisi tagliano le pensioni e licenziano: perché non usare direttamente il gas nervino sulla gente?

Il Governo italiano ha inviato all’UE una lettera d’intenti su quanto intende realizzare per far uscire l’Italia dalla crisi, le principali decisioni riguardano: Pensione a 67 anni e licenziamenti facili.
Questi sono i capisaldi che dovrebbero creare le condizioni strutturali favorevoli alla crescita (di chi?).
A questi inimmaginabili e innovativi capisaldi di crescita economica, fa sponda il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che afferma testualmente: ” nessuna forza politica italiana può continuare a governare, o può candidarsi a governare, senza mostrarsi consapevole delle decisioni, anche impopolari, da prendere ora nell'interesse nazionale e nell'interesse europeo”.
Quindi assonanza e condivisione col Governo anzi la stessa “opposizione” se vuole candidarsi a governare non può che condividere l’opera “riformatrice” il messaggio è chiaro.
Il contenzioso politico si riduce quindi, vista “l’oggettività” delle cose necessarie, al come farle digerire, in un afflato patriottico, ai lavoratori, pensionati e precari l’ennesima operazione di “risanamento” includendo, oltre le pensioni, ulteriori facilitazioni sui licenziamenti e Cassa integrazione per i dipendenti pubblici.
Maggioranza governativa e “opposizioni” devono dimostrare di essere capaci di assumere decisioni antipopolari. Chissà se l’ex (molto ex) comunista avrebbe avuto la stessa determinazione “riformatrice” trenta o quaranta anni fa. Oggi è più facile.
Il governo è in mano ad un monarca miliardario che ha ridotto il parlamento in un’assemblea impegnata prevalentemente a occuparsi dei fatti suoi e l’”opposizione” (di qualsiasi colore dell’arcobaleno) compete per sostituirsi a lui nella gestione delle stesse politiche economiche e sociali con le stesse logiche “riformatrici”.
Non esiste oggi, infatti, nel Parlamento, in barba alle decantate virtù democratiche della Costituzione, alcuna aggregazione politica che non sia schierata pienamente a favore del liberismo, le privatizzazioni, le compatibilità, la competitività capitalista e il mercato, delocalizzazioni e licenziamenti compresi.
Tutti i partiti che si sono alternati al Governo in questi ultimi venti anni, si sono impegnati, i fatti lo dimostrano, a tagliare pensioni e stato sociale, rendere “flessibile” il lavoro, a precarizzare l’occupazione e tagliare i servizi, mantenendo contemporaneamente un sistema fiscale che strozza i redditi fissi mentre grazia tutti gli altri. Favorendo così l’accumulo di ricchezza di pochi a danno della povertà di troppi.
Bel coraggio impopolare dovrebbero avere costoro. Prendersela ancora con i discriminati e graziare di nuovo i privilegiati. Del resto è quanto hanno fatto con gli scudi fiscali, condoni, leggi ad personam, emolumenti da nababbi per i parlamentari, profitti miliardari per gli speculatori finanziari e per gli industriali che possono licenziare e de localizzare e licenziare.
Belle riforme. Gran coraggio riformatore, anche se impopolare. Rilanciare lo sviluppo dell’economia della classe dei ricchi stroncando i salari e le pensioni.
Questa classe “politica”, si fa paladina fino alle estreme conseguenze, degli interessi dei privilegiati a discapito di quelli dei discriminati e non è un’esagerazione dirlo dei diseredati.
Occorre prendere coscienza di ciò. Da troppo tempo costoro propongono per l’oggi sacrifici in attesa di un domani migliore che per il popolo, tanto per rimanere in tema, non arriverà mai.
E la sinistra?
Se c’è una vera sinistra che si schiera dalla parte dei discriminati e che non spaccia per generali gli interessi dei padroni, è ora che si faccia avanti, denunciando i falsi amici dei discriminati e rimettendo le cose al suo posto: I privilegiati con i privilegiati e i discriminati con i discriminati, altro che centro”sinistra”.

martedì 18 ottobre 2011

La lezione del 15 ottobre

Quando si indice una manifestazione di protesta, lo si fa per evidenziare le cause di un malessere sociale e per attirare l’attenzione dei cittadini su qualcosa che altrimenti rimarrebbe sconosciuta.
Se questo è allora, occorre constatare che il messaggio che, anche grazie alle forzature dei mass media, è emerso dalla giornata degli indignati del 15 ottobre, ha annullato completamente quelle che erano e sono le ragioni dell’iniziativa, non allargando il consenso attorno a queste anzi fornendo alibi e scappatoie proprio a chi era l’oggetto della protesta.
E’ scomparso tutto dall’orizzonte: I tagli allo stato sociale, la disoccupazione galoppante, il precariato, la disperazione e la rabbia di tutti quelli che sono derubati del presente e del futuro, l’impoverimento della maggioranza dei cittadini e l’arricchimento senza freni di una minoranza, la speculazione finanziaria e la conseguente crescita forte dell’ingiustizia e della discriminazione sociale di pochi a danno di tanti.
A causa delle violenze di alcuni, non è stato possibile denunciare la continua violenza che subisce chi è impossibilitato a tirare avanti o lo fa a gran fatica, sacrifici e rinunce.
Queste questioni sono state completamente oscurate, grazie all’azione di pochi che con la loro violenza hanno stravolto l’iniziativa e impedito che, com’è avvenuto nel resto del mondo, la denuncia si alzasse forte e sonora dalle centinaia di migliaia di persone accorse a manifestare per segnare l’inizio di una stagione di lotta e di riscossa.
Il messaggio che è emerso invece è stato quello del disordine, del saccheggio e degli atti di vandalismo intollerabili verso i cittadini e delle violenze gratuite e ingiustificabili verso gli uomini delle forze dell’ordine che sono figli di lavoratori e lavoratori oppressi allo stesso modo di chi manifestava e che sono assurdamente diventati il nemico e il bersaglio delle violenze.
Questi “manifestanti” con il loro comportamento hanno fornito un aiuto inaspettato al Governo, al padronato e agli speculatori che oggi alla luce di quanto accaduto, hanno facile gioco a invocare l’ordine, il loro, e leggi liberticide. Il loro successo è tale che sono state vietate manifestazioni a Roma per i prossimi trenta giorni, a partire da quella della Fiom sulle questioni della Fincantieri.
Le violenze di sabato hanno fatto passare in secondo piano oltretutto le affermazioni eversive di personaggi istituzionali che continuano a prosperare sopra ogni legge e regola. Per costoro non c’è nessuna richiesta d’inasprimento di pene, non ci sono indagini ma impunità.
Il 15 ottobre nonostante tutto può essere una tappa importante se ne cogliamo il segnale. Quello che evidenzia la necessità di trovare un’interpretazione e una lettura originale e complessiva delle problematiche economiche e sociali che determinano l’attuale stato di cose. Assumendo la consapevolezza che ciò che viviamo non è determinato dal caso o dal destino cinico e baro e che l’arretramento economico e sociale subito dai discriminati è coinciso con l’arrembaggio economico e sociale dei privilegiati di cui è conseguenza.
Individuare cioè strumenti di analisi che permettano di risalire alle ragioni vere alla base della crescente disparità e ingiustizia sociale e ai soggetti veri che le determinano.
Due sono gli aspetti che indicano questa necessità.
Da una parte il bisogno di contrastare le ragioni ipocrite di chi accusa il movimento di essere antipolitico, come se la politica fosse un’entità astratta e soprannaturale, come se quella attuale fosse l’unica politica possibile. Costoro difendono una democrazia politica di parte che permette a gruppi di potere di usare gli strumenti democratici a loro esclusivo vantaggio, piegando le leggi a proprio piacimento, tagliando demagogicamente, in nome dell’interesse nazionale, le pensioni, precarizzando e affamando i cittadini. Sono proprio costoro che continuano a dichiararsi di sinistra usurpando fraudolentemente uno spazio politico che non appartiene loro perché ormai sono aperti sostenitori del liberismo, del mercato e delle privatizzazioni, al pari di chi governa, al quale non si oppone se non per competere per il posto di capotavola (altro che altra sinistra …).
L’altro aspetto riguarda la marginalizzazione e la rinuncia attuale del movimento a dare un’interpretazione e una lettura complessiva, organica e conseguente sulle cause e le responsabilità che determinano l’ingiustizia e la discriminazione sociale attuale.
Se da una parte è stato giusto relegare i partiti che avevano aderito alla giornata di lotta alla coda del corteo, per segnalare i difetti e gli errori del partitismo e del politicismo interclassista privo di scelte strategiche alternative, dall’altra parte, ciò ha segnalato anche sul piano organizzativo la rinuncia alla ricerca analitica delle cause dell’attuale malessere sociale e degli strumenti che solo un’utopia può fornire perché altrimenti non è possibile individuarne i responsabili, relegando le iniziative ad una pura ed esclusiva denuncia e protesta indefinita. Occorre invece avere acquisire la consapevolezza che alla radice di tutto sono la competizione sociale delle classi ed i meccanismi ad esse collegati.
In questo modo emergerà con chiarezza la collocazione che dovranno assumere le organizzazioni dei lavoratori e dei discriminati: Alla testa non alla coda del movimento e delle sue manifestazioni.
Occorre avere la consapevolezza che l’ingiustizia sociale di cui è vittima la maggior parte dei cittadini non è casuale, che i ripetuti tagli allo stato sociale non servono al Paese ma ad arricchire chi ricco già lo è: Capitalisti, padroni e speculatori. Questi ultimi all’unisono privano i lavoratori, i giovani e i pensionati dei loro diritti sociali e contrattuali e della loro libertà traducendoli in nuovi diritti e libertà per loro.
Per questo occorre dire basta a una finta sinistra che ha fatto proprie le tesi e gli interessi del padronato, del liberismo e del mercato e ha tradito gli interessi dei lavoratori costringendoli a subire e a pagare i costi di una crisi di cui non sono responsabili per “salvare” il Paese mentre i padroni de localizzano e licenziano.
Ricostruire e rilanciare perciò sulle analisi nuove energie politiche e sindacali che lottino coerentemente e conseguentemente per i diritti e gli interessi degli oppressi e dei discriminati ponendosi alla testa e non alla coda del movimento e della lotta.

sabato 8 ottobre 2011

I veri responsabili della strage di Barletta

Quattro euro l’ora, fino a quattordici ore al giorno di lavoro.
Questo, secondo il racconto dei parenti delle quattro operaie morte nel crollo della palazzina di Barletta, avrebbero percepito le donne che lavoravano, sempre secondo quanto si è appreso, a nero all'interno della maglieria travolta dalle macerie dell'edificio.
Ancora oggi è possibile riscontrare condizioni lavorative ben al di sotto di ogni limite di tolleranza.
Non sono state e non sono sufficienti tutte le norme che precarizzano il rapporto di lavoro e che costringono i lavoratori al ricatto continuo di rinunciare ai diritti contrattuali e civili di un equo salario in condizioni lavorative dignitose Senza contratto e ricompensate con quattro euro l’ora, anche per quattordici ore il giorno..
In un’epoca contrassegnata dal liberismo, dal mercato e dalla competitività internazionale, con un padronato arrogante e agguerrito, che intende cancellare tutte le regole di progresso e di civiltà costate lacrime e sangue, i lavoratori e le lavoratrici sono costretti per tirare a campare a subire condizioni lavorative inaccettabili e incivili.
Chi ha la responsabilità di queste morti?
A quello che è dato sapere il Pubblico Ministero interessato indaga per i reati di disastro colposo, omicidio colposo plurimo e lesioni colpose plurime e ha effettuato le iscrizioni al termine di tre giorni di interrogatori e di acquisizione di atti. Sarebbero interessati agli atti alcuni dipendenti comunali, l’amministratore di una società costruttrice che stava svolgendo lavori nelle vicinanze per verificare se i lavori eseguiti dall’impresa possano aver contribuito al disastro, e il titolare del maglificio in cui sono morte le donne, che nel disastro ha perso una figlia di quattordici anni, per accertarne la correttezza.
Non vi sono, al momento altri coinvolgimenti.
E’ illuminante quanto dichiarato dal sindaco di Barletta Nicola Maffei. ''Non mi sento di criminalizzare chi, in un momento di crisi come questo viola la legge assicurando, però, lavoro, a patto che non si speculi sulla vita delle persone'', ha sostenuto il primo cittadino. ''Qualora sia accertato che le operaie morte nel crollo della palazzina di via Roma lavoravano in nero o in condizioni di sicurezza precarie, questo significherebbe soltanto che si tratta di un fenomeno diffuso anche da noi, qui in città''.
Le affermazioni del sindaco oltre a sminuire le responsabilità locali enunciano molto semplicemente la realtà che tutti conosciamo. La realtà che vede il crescente impoverimento e l’inarrestabile precarizzazione dei lavoratori e li costringe a subire condizioni di lavoro e di salario infami. Che li obbliga, pena il licenziamento o la delocalizzazione aziendale, a subire l’arroganza padronale che li priva dei diritti acquisiti. L’aumento crescente del costo della vita, i ticket sanitari, le tasse, i continui tagli dello stato sociale fanno il resto.
E’ più che probabile che si tratti di un fenomeno diffuso a Barletta certo, ma dilagante in tutta l’area capitalista a libero mercato dove a farla da padrone, sono le leggi del profitto e della competitività globale con le loro spietate ligiche.
Le grandi aziende dell’abbigliamento, nella corsa inarrestabile al profitto, decentrano la loro attività dando lavoro conto terzi. In questo modo ricattano il “piccolo imprenditore” o padroncino strozzandolo con compensi non remunerativi per lui, ma fin troppo convenienti per loro e costringendolo ad caricarsi degli obblighi lavorativi e contrattuali verso i dipendenti, liberando e scaricando da ogni responsabilità civile, penale o contrattuale le aziende committenti.
Quest’ultime, con i loro avidi proprietari non saranno mai chiamati a rispondere dei reati di disastro colposo, omicidio colposo plurimo e lesioni colpose plurime o di sfruttamento di riduzione in schiavitù dei lavoratori. Pagheranno però, pur con le loro responsabilità che saranno accertate, figure di contorno che non sono la causa, semmai lo strumento di quanto accade. E tutto può tranquillamente continuare.
Vi è poi un’altra grande responsabilità che non sarà mai accertata e che non produrrà punizioni di nessun tipo, nemmeno morali, perché nessuno, oggi, pensa di attribuire: Quella delle istituzioni e dei Governi, di centrodestra e di centro”sinistra” che hanno sposato le tesi liberiste del padronato e del mercato operando “riforme” che hanno cancellato leggi e norme di civiltà e di progresso fondamentali, che hanno rotto i contratti di lavoro e con essi le regole e le certezze per le quali i lavoratori hanno combattuto. Governi che hanno permesso un gigantesco spostamento di ricchezza verso i pochi capitalisti a danno dei cittadini, dei lavoratori, dei precari e dei pensionati, attraverso un sistema fiscale perverso e persecutorio verso i redditi fissi, attraverso il taglio delle pensioni, attraverso le liberalizzazioni e le privatizzazioni, attraverso finanziarie e leggi che hanno, non è retorica, affamato i redditi fissi e tolto ai giovani qualsiasi speranza sul presente e sul futuro. Attraverso politiche che tutto hanno fatto tutto fuorché preoccuparsi di creare lavoro.
Vi è in ultimo la responsabilità del sindacato e dei partiti della “sinistra” che sposando le tesi liberiste - capitaliste, concertative, flessibiliste e patriottiche hanno lasciato soli i lavoratori davanti all’attacco di classe favorendo l’arroganza padronale e determinando l’arretramento e la sconfitta attuale dei lavoratori.

sabato 1 ottobre 2011

Le “riforme coraggiose, urgenti e profonde” di Emma Marcegaglia e della Confindustria

Il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, ha presentato alla stampa il Manifesto-Progetto delle imprese per l'Italia. "Siamo pronti a fare la nostra parte come imprese" ha coraggiosamente esordito illustrando le priorità, secondo Confindustria, Abi (associazione banche), piccole e medie imprese, coop, Ania (associazione nazionale delle assicurazioni),contenute nel documento.
“Salvare l’Italia non è uno slogan retorico”, ha detto la patriottica rappresentante del padronato italiano. ”Non si può assistere inerti a questa spirale. E’ in gioco più della credibilità del Governo e della politica (?). Sono a rischio anni e anni di sacrifici (sacrifici fatti da chi?) ”. E, continua, “è a rischio la possibilità di garantire ai nostri figli (i figli di chi?) un Paese con diritti ( come Pomigliano? e i contratti di lavoro? e l’art.8? e il lavoro precario? e i ticket sanitari? e le pensioni?), benessere e possibilità pari a quelli che abbiamo ( abbiamo chi?) avuto fino a oggi”.
La leader di Confindustria ha affermato ancora: "L'Italia è a un bivio: crescita o declino" per questo il documento contiene le proposte (innovative e coraggiose) al governo, del padronato italiano, per rilanciare l'economia. Qualora le proposte non trovassero ascolto e non ci fosse concretezza " non ci sarà più dialogo", cioè la Confindustria smetterà di sostenere l’attuale Governo.
Quali sono, per gli industriali italiani, le cose da fare urgentemente e concretamente?
Pensioni. La riduzione della spesa pubblica, a partire dalla riforma delle pensioni.
Per la Confindustria si deve aumentare l'età pensionabile per tutti a 65 anni, e “riformare” le pensioni d'anzianità (cioè eliminarle), limitando il pensionamento anticipato. Abrogare, inoltre, tutti i regimi speciali previsti dall'INPS e dagli enti previdenziali. "In questo modo – sostiene la “riformatrice coraggiosa” - si eliminerebbero privilegi che non trovano alcuna giustificazione", (ci sono forse privilegi che trovano giustificazione? Con quale diritto e legittimità la massima rappresentante del padronato italiano denuncia il privilegio visto che il padronato è fra i soggetti titolari di privilegio il principale?).
Ci vuole proprio un bel coraggio a proporre di tagliare le pensioni dopo quindici anni di tagli e dopo averla quasi completamente tolta alle giovani generazioni. Coraggio nelle scelte che, soprattutto, colpiscono i lavoratori ed i discriminati non certo i benestanti che non debbono certo vivere di stipendi e pensioni.
Le pensioni ormai taglieggiate e immiserite da venti anni di “rigorose e coraggiose riforme” operate da governi di ogni colore, per salvare l’Italia naturalmente (l’Italia di chi?), sono lo strumento sociale, che il padronato propone di decurtare ulteriormente, per salvare l’Italia naturalmente, attraverso il quale oggi le famiglie, in maniera sempre meno sufficiente, si sostituiscono allo stato per il sostentamento dei giovani derubati, tanto per parlare del diritto, del diritto al lavoro e a un’esistenza libera e dignitosa. Diritti tanto sonoramente affermati nella Costituzione, quanto negati nella realtà.

Riforma fiscale. La “riforma fiscale è un’altra delle cinque priorità indispensabili per la crescita individuate da Confindustria, sulle quali il Governo deve intervenire al più presto perché “ non c’è più tempo e si deve agire ora”. La prima azione da fare sarebbe ridurre il costo del lavoro(bella novità, non basta il cuneo fiscale varato dal Governo Prodi che regalò un 5% del salario differito alle aziende sottraendolo dalle tasche dei lavoratori), prolungando, ad esempio, la deduzione dalla base imponibile IRAP delle spese relative gli apprendisti. "Una misura per incentivare il lavoro giovanile" (diminuendo i costi per le povere aziende).
Incentivare l'innovazione, aumentando gli sgravi fiscali per i capitali investiti in ricerca e sviluppo e introducendo forme d’incentivazione stabili a sostegno delle quote di salario correlate a incrementi di produttività ed efficienza.
Prevedere da subito "l'aiuto alla crescita economica (ACE)" previsto dalla bozza di legge delega per la riforma fiscale e assistenziale, che consente una riduzione del prelievo Ires commisurata al nuovo capitale immesso nell'impresa.
Contrastare radicalmente, in ultimo, l'evasione fiscale. Come? Incentivando l'uso della moneta elettronica: cioè fissare a 500 euro il limite per l'utilizzo di contante, prevedendo premi fiscali legati all'aumento di reddito per far emergere il sommerso e obbligando anche le persone fisiche a indicare il proprio "stato patrimoniale" nella dichiarazione dei redditi.
“la patrimoniale andrebbe introdotta e dovrà servire ad abbassare le tasse sulle imprese e sul lavoro” sostiene la Marcegaglia. Di tutte le priorità fiscali enunciate dal Manifesto, che comportano vantaggi solo per padroni e imprese, con sgravi, incentivi e, addirittura premi fiscali legati all’aumento di reddito derivante dall’emersione del sommerso, non ce n’è alcuna che preveda sgravi fiscali per i lavoratori e i cittadini a reddito fisso, i quali, grazie al sostituto d’imposta che toglie loro le tasse senza che essi le abbiano potute nemmeno intascare, non potranno percepire alcun premio fiscale. Continueranno, però naturalmente, a pagare le tasse più di tutti e per tutti.
Cessione del patrimonio pubblico. Non vi sono dubbi, per Confindustria, Abi, Ania e rete imprese cooperative (comprese quelle di “sinistra”?) che hanno sottoscritto il documento: per stimolare la crescita bisogna cedere tutto il patrimonio immobiliare degli enti statali e locali. I proventi potrebbero così essere utilizzati "al di fuori dei limiti del Patto di stabilità interno, per opere pubbliche, manutenzione straordinaria e ristrutturazione del patrimonio esistente, anche a fini di efficienza energetica".
Chi, e quali categorie sociali, sarebbe in grado di approfittare di questa priorità, delle cessioni e dell’utilizzo dei proventi di queste, forse i lavoratori con il loro misero stipendio o gli operai in cassa integrazione della Fiat, o i precari, o i disoccupati, o i pensionati, oppure tutto questo provocherà profitto per i soliti noti, intrallazzi e corruzione?

Liberalizzazione e semplificazione
. La trovata “innovativa” della Confindustria è chiara: liberalizzare tutto. Trasporti, attività economiche, servizi professionali, vietando la fissazione di tariffe ( a vantaggio e a danno di chi?) e riformando gli ordini professionali. Per la semplificazione, bisogna investire nell'informatizzazione dei processi e dei documenti, così da velocizzare il rapporto tra imprese e pubblica amministrazione. Le solite “proposte disinteressate” di chi approfittando della crisi vuole mettere le mani e legare ad una logica di profitto attività e servizi ai danni dei cittadini.
Infrastrutture ed efficienza energetica. Convertire le infrastrutture italiane, sostengono i disinteressati imprenditori, è una misura sempre più urgente. Per farlo, le soluzioni proposte sono molteplici, partendo dall'incentivare il coinvolgimento della finanza privata negli investimenti pubblici. Bisogna "concentrare le risorse sulle grandi priorità infrastrutturali - scrivono - d'interesse europeo e nazionale, e su pacchetti di piccole opere" (…. soldi alle imprese e tangenti ai politici).

Per l'efficienza energetica si dovrebbero, come minimo, prorogare gli incentivi fiscali (ma va e a favore di chi?) fino al 2020, pensando nel frattempo a introdurre una normativa per promuovere l'uso di standard tecnologici più efficienti in tutti i nuovi investimenti. E gli industriali di efficienza ne hanno dimostrata fin troppa nell’arricchirsi a spese di tutti in attività strategiche come l’energia, i trasporti, acqua, ecc.
Il manifesto, quindi, non dice nulla di nuovo e di diverso da quanto il padronato nostrano va dicendo da sempre e, in modo più insistente, dagli ultimi trenta anni, contrabbandando i propri interessi con il bene nazionale. Nulla nel manifesto è previsto, nonostante i roboanti proclami sulla parte di sacrifici che dovrebbero dare loro, riservando il loro coraggio solo per affermare la parte degli altri.
“Siamo pronti a fare la nostra parte come imprese” dice la Marcegaglia. In che modo? Questo non è detto nel loro manifesto.
Sono forse disponibili:
A non de localizzare le loro imprese per lucrare sulla manodopera sfruttando gli occupati all’estero e licenziando gli operai italiani che dicono di voler salvare?
A mettere fine al precariato che distrugge la libertà dei giovani e consente loro di arricchirsi alle loro spalle privandoli della libertà?
A non condizionare i lavoratori con il ricatto: o lavoro o diritti?
A non mettere in discussione i Contratti nazionali di lavoro?
A pagare le tasse e non portare i capitali all’estero?
Queste sono solo alcune delle tante domande, che si potrebbero fare.
La realtà è sotto gli occhi di tutti: Gli imprenditori sono a carico dello Stato (il loro), finanziato però dai lavoratori, nonostante ciò, essi contestano lo Stato e i Governi di ogni colore che, li hanno mantenuti per decenni a nostre spese attraverso politiche su misura e di classe, concessioni e finanziamenti. Ora cercano di rilanciarsi attraverso pseudo priorità “coraggiose e innovative” che invece ripetono e ripropongono ancora una volta come salvifici i triti interessi padronali, per costringere i discriminati a piegare ancora la schiena in attesa di un futuro migliore che, per loro, non verrà mai.