giovedì 29 novembre 2012

Esiste, oggi, la disuguaglianza sociale? Come si manifesta? Chi riguarda?

Articolo 3 della Costituzione italiana: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica economica e sociale del Paese.”. La Costituzione riconosce che esistono differenze di condizioni sociali e ostacoli di ordine economico e che questi vanno rimossi, perché limitano la libertà e l’uguaglianza dei cittadini. Quali possono essere gli ostacoli economici e sociali di cui si parla? Uno dei primi, sicuramente, il reddito. Com’è distribuito il reddito in Italia? Tutti i dati statistici rilevano che in vent’anni (dal 1987 al 2008) a pagare il prezzo maggiore della crisi sono state le famiglie dei redditi fissi che hanno registrato una caduta nei livelli di ricchezza media, del 15 per cento. Questi non considerano gli effetti devastanti e drammatici dell’attuale fase economica. Nello stesso periodo si è verificato da una parte un impoverimento delle famiglie operaie e impiegatizie e dall’altra un aumento di ricchi pari a sette volte di più rispetto al 1965. Si sono registrati da esplosione di reddito: fasce ristrette di cittadini si sono appropriate di quote crescenti del reddito complessivo. Le misure e le “riforme” (pensioni, welfare e fisco) adottate dai vari governi negli ultimi venticinque anni inoltre, lungi da modificare o invertire hanno accentuato questa tendenza contribuendo ad allargare la forbice fra poveri e ricchi. Gli ultimi dati statistici dicono che, in Italia, oramai il dato della povertà raggiunge l’11,1% della popolazione. È considerato povero quel nucleo familiare, composto di due persone, che percepisce un reddito inferiore a 970 € mensili, pari a 485 € pro-capite. In questa situazione si trovano, circa, 7,5 milioni di cittadini italiani. Questo dato è impressionante ma non dice tutto. Va rilevato che il reddito mensile di 970 €, corrisponde alla media dei redditi mensili percepiti in Italia, questo significa che se esistono molti italiani che percepiscono di meno, ne esistono altri che percepiscono molto di più. A percepire meno sono i pensionati al minimo, i lavoratori precari e quelli a part-time. Fra quelli che percepiscono di più, c’è la gran massa di lavoratori dipendenti, operai e impiegati, che hanno stipendi mensili però di poco superiori alla soglia di povertà, pari cioè a 1.000 – 1.200 € mensili. Se si considera che questi redditi, di solito, servono per sostenere nuclei familiari di 3 – 4 persone, consegue che il reddito pro-capite diventa, di 4-300 € (nuclei di 3 o 4 persone) mensili per un reddito familiare complessivo di 1.200 €. Se questo è vero, la fascia di povertà, in Italia, non è più di 7,5 milioni di persone, ma di un’entità molto più grande. Questa entità è difficilmente quantificabile se si tiene conto che gli unici redditi certi sono solo quelli da busta paga o da pensione. Esiste perciò una grande massa di cittadini che vive in condizioni di povertà (questo si traduce in peggiore qualità della vita, sanità, cultura, ecc.). Completa il quadro, il reddito di altri cittadini italiani che si trovano su una sponda ben diversa, con redditi dell’ordine dei milioni o miliardi di euro. C’è chi dichiara 7, 8, 28, 130, 180 milioni di euro annui, o oltre. Tali redditi sono dichiarati al fisco. Questi redditi annui presuppongono l’esistenza di patrimoni enormi di miliardi di euro di cui, per la maggior parte dei cittadini è difficile, persino, rendersi conto. Il “rigore” necessario per “salvare l’Italia” non ha riguardato, tutti perché ha colpito una parte dei cittadini, quelli cioè che hanno perso reddito e ha gratificato gli altri che l’hanno incrementato. Tutto questo è dovuto al caso, a errore o è la conseguenza di volontà politico-economiche? In questo caso, da parte di chi? I Governi hanno sbagliato o hanno scientemente tutelato alcuni interessi e discriminato altri? Esiste differenza fra lo stile di vita di chi guadagna milioni di euro e quello di chi ne guadagna 10.000, oppure 20.000 annui o non ne guadagna per niente? Esiste differenza fra la libertà di un milionario o un miliardario e quella di un lavoratore dipendente, di un pensionato, un precario o un disoccupato? Un milionario è un privilegiato? A quale casta o classe appartiene? Un lavoratore dipendente o un precario appartengono alla stessa casta del milionario? Un milionario o un lavoratore dipendente o un pensionato sono cittadini uguali? Vivono in condizioni simili? Si possono permettere lo stesso stile di vita? Condividono i medesimi problemi economici? Pagano le stesse tasse? Hanno la stessa convenienza a pagare le tasse? A tagliare la spesa pubblica? A far funzionare la macchina dello Stato (Sanità, scuola, e i servizi)? A Trovare il lavoro? Ad arrivare alla fine del mese? Sono liberi allo stesso modo? In conclusione appartengono alla stessa casta o classe? Oppure appartengono a caste o classi differenti a ciascuna delle quali sono riconosciuti o vietati diritti differenti? I vocabolari riportano il significato della parola “casta”: Ciascuno dei gruppi sociali che, rigidamente separati tra loro in base a leggi religiose o civili, inquadrano in un sistema sociale fisso i vari strati della popolazione. Gruppi di persone che caratterizzato da elementi comuni, hanno o pretendono il godimento esclusivo di determinati diritti o privilegi. Se questo è vero, è vero che la condizione sociale determina lo stile di vita dei cittadini in tutti i suoi dettagli, quelli primari, le aspirazioni, i bisogni, lo stile di vita, la cultura, la salute. Mentre alcuni cittadini sono liberi, perché liberi dal bisogno, e la loro libertà non è condizionata da alcun altro fattore, tutti gli altri cittadini possono essere liberi se hanno un lavoro. Il lavoro che diventa l’elemento fondante e indispensabile per l’affermazione e la realizzazione della libertà dell’individuo.

venerdì 23 novembre 2012

L’ultima svendita dei lavoratori

Il rito si ripete ormai da più di venticinque anni: Cisl e Uil firmano accordi capestro. La Cgil non firma ma poi si adegua, nel tempo, senza clamore. In troppe occasioni si è consumata la ridicola messinscena di questi servi sindacali che si fanno interpreti dei desideri dei padroni con il loro complice, il Governo, per svendere i diritti di chi lavora. Tutto queste trattative e “accordi” si sono conclusi senza che i lavoratori, diretti interessati, siano stati coinvolti e abbiano dato il benché minimo mandato a trattare ne tantomeno abbiano potuto esprimersi sui suoi contenuti conclusivi. Ogni e qualsiasi simulacro di democrazia è calpestato da questi sindacalisti che con l’obiettivo di aumentare la produttività e di servire gli interessi dei capitalisti, cancellano i contratti nazionali di lavoro, gli inquadramenti professionali, la certezza dei livelli salariali e ogni forma di tutela del diritto di chi lavora. Il padronato italiano, con l’aiuto dei sindacati di comodo e del Governo, è riuscito nell’intento di aumentare i suoi utili e profitti. L’unico aumento della produttività che intendono loro passa solo per la riduzione dei salari, l’aumento dei ritmi di lavoro e la compressione dei diritti e della libertà di chi lavora. Alla luce dei fatti è dimostrato che le logiche del padronato dei nostri giorni sono le stesse di quelle del padronato di fine ottocento e che la lotta di classe non è sparita con il muro di Berlino: Nessun diritto per chi lavora (flessibilità), salari ridotti e legati al cottimo, se si lavora di più e l’azienda guadagna poi, forse, qualcosa va a chi lavora altrimenti no, controllo spionistico dei lavoratori, libertà per il padrone di de localizzare, precarizzare, di assumere o licenziare, anche in base all’adesione o meno del lavoratore a un sindacato ritenuto scomodo, a prescindere dal diritto, ecc. La prossima mossa sarà ripristinare il medico aziendale per controllare direttamente le malattie del personale. Al padrone e imprenditore spetta ogni libertà al lavoratore invece ogni dovere e nessun diritto. Ancora oggi c’è chi si ostina a definire “datori di lavoro” questi pescecani che invece sono ladri di libertà, di sudore e prenditori di profitto. Com’è stata possibile in Italia questa immensa opera di restaurazione capitalista della disuguaglianza? Come mai la classe padronale ha potuto ripristinare i suoi privilegi senza trovare opposizione degna di nota? Dove erano le organizzazioni dei lavoratori? Per quale falso ed erroneo interesse generale hanno permesso tutto ciò, senza denunciare la quantità e la qualità dell’attacco di classe attuale? Com’è possibile che di fronte a questo inedito e intollerabile massacro sociale, la classe operaia sia politicamente succube e piagata sugli interessi e ragioni delle banche e dello spread? Padronato e Governo, con il valido aiuto dei sindacati hanno usato la crisi che hanno generato, per spostare ancora di più a loro vantaggio la ricchezza e i privilegi. E’ finita qui? L’assenza di analisi basate su metodi scientifici degli interessi di classe dei vari soggetti sociali in campo ha permesso la vittoria del padronato e la sconfitta attuale dei lavoratori, perché essi sono privi degli strumenti di analisi e organizzativi per contrastare l’attacco del padronato e dei suoi servi. E’ ora di denunciare con forza che, quello in atto, è un vero e proprio attacco sociale e di classe, dove gli sfruttatori vogliono far passare per interessi di tutti i loro comodi. Tutte le misure economiche, politiche e sindacali adottate dal Governo dei padroni e delle banche, non hanno lo scopo di “salvare l’Italia”, ma di arricchire ancora di più la classe dei ricchi, dei privilegiati e degli speculatori finanziari a danno della classe lavoratrice, dei pensionati, dei disoccupati e di tutti i discriminati. I lavoratori devono prendere coscienza della differenza degli interessi fra le classi sociali, solo così potranno difendere i loro diritti e libertà e contrastare le logiche padronali. La consapevolezza cioè dell’inconciliabilità e conflitto esistenti fra i loro interessi e quelli di chi li vuole solo sfruttare per continuare ad arricchirsi. L’ignoranza e la sottovalutazione di questo elementare principio, ha permesso e permette che si scambiassero i comodi di Marchionne e della Fiat con gli interessi generali e di chi lavora.