giovedì 30 dicembre 2010

La nuova "democrazia"

In democrazia ognuno può decidere se e da chi, se necessario, farsi rappresentare. All’interno del tanto decantato “libero” mercato è consentito, anzi garantito alle aziende, il diritto di farsi rappresentare in qualunque sede da rappresentanti di propria fiducia.
Questo ai lavoratori non è concesso. Essi, da oggi, dopo la firma dell’accordo su Pomigliano, possono essere rappresentati solo da chi decide il padrone. Cioè solo da sindacati e da sindacalisti che accettano e fanno propri la volontà e gli interessi padronali, barattandoli per quelli dei lavoratori, in barba all’articolo 19 dello Statuto che disciplina l’elezione e la vita delle strutture sindacali aziendali (Costituzione delle rappresentanze sindacali aziendali - Rappresentanze sindacali aziendali possono essere costituite a iniziativa dei lavoratori in ogni unità produttiva nell'ambito: a) delle associazioni aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale; b) delle associazioni sindacali, non affiliate alle predette confederazioni, che siano firmatarie di contratti collettivi nazionali o provinciali di lavoro applicati nella unità produttiva. Nell'ambito di aziende con più unità produttive le rappresentanze sindacali possono istituire organi di coordinamento).
”L’accordo sindacale” su Pomigliano, sottoscritto da Fiat Ugl, Fim Cisl, Uilm Uil, Fismic e l'associazione dei quadri Fiat, stabilisce una regola “innovativa”, secondo la quale nel posto di lavoro sono riconosciute come rappresentanze sindacali aziendali solo quelle aderenti alle sigle che hanno sottoscritto l’accordo (che definire capestro è riduttivo). Escludendo, in questo modo, i sindacati non firmatari o contrari all'accordo (in questo caso la Fiom) e tutti i lavoratori che a queste organizzazioni aderiscono condividendone le linee e le strategie. Poco importa, democraticamente parlando, se la Fiom è il sindacato di categoria più grande, perché raccoglie più iscritti di Fim e Uilm messe insieme.
Con questa intesa s’instaura un “moderno” sistema di “relazioni industriali”, che obbliga i lavoratori ad adeguarsi a tutti i costi a prescindere dai contenuti: se viene raggiunto un accordo, pur se sottoscritto da sindacati che rappresentano una minoranza di lavoratori, questo permette all’azienda di disconoscere ed ignorare la rappresentanza sindacale ed il sindacato dissenziente, pure se maggioritario in termini di consenso. Si cancella così l’esistenza stessa del conflitto sociale e d’interessi fra lavoratori e padrone, obbligandoli tutti ad essere uniti in un unico afflato patriottico a difesa del posto di lavoro e con esso (per le condizioni imposte) degli interessi padronali, unica garanzia di impiego e di progresso. Superamento di una visione dogmatica e massimalista vecchia ed ideologica o prevalenza degli interessi di una parte, quella capitalista? Sono ammesse solo le libere logiche del mercato, della competitività e del capitale, (cioè quelle del padronato): se si accettano queste si viene ammessi al tavolo delle trattative. Chiunque non si pieghi a ciò è escluso insieme ai suoi iscritti e deve stare fuori dai cancelli delle fabbriche.
Per Marchionne, Marcegaglia, Berlusconi, Bonanni, Angeletti, Fassino e D’Alema queste sono le nuove e moderne “regole democratiche”. Per Cisl e Uil non costituisce problema firmare un accordo che comporta l'esclusione di un altro sindacato.
Poco importa che queste “innovative” concezioni urtano violentemente anche con quanto riportato nell’articolo 17 dello stesso Statuto dei lavoratori, che in riferimento all’attività sindacale afferma: “È fatto divieto ai datori di lavoro e alle associazioni di datori di lavoro di costituire o sostenere, con mezzi finanziari o altrimenti, associazioni sindacali di lavoratori”. Associazioni che la stessa legge definisce: “sindacati di comodo”.
Nessun problema, basterà introdurre qualche “moderna e innovativa riforma” e il gioco è fatto.
E’ evidente che in gioco non c’è solo una disquisizione su ciò che è democratico e ciò che non lo è. Sono in discussione libertà e regole di convivenza. Leggi che tornano a essere anche in via di principio non più uguali per tutti, spostandosi ancora di più a favore del padronato che, sotto il ricatto del lavoro e della sua libertà di investire dove più gli torna comodo e gli conviene, toglie ai lavoratori e ai disoccupati libertà e diritti, coadiuvato da sindacati e forze politiche subalterni e di comodo, che operano per piegare i loro rappresentati al ricatto e all’interesse del capitalista di turno. Per il loro stesso tornaconto.
Afferma soddisfatto il leader della Cisl, Raffaele Bonanni: “Il Sud ha bisogno come il pane di accordi come quello di Pomigliano. Mentre un sindacato minoritario pensa solo al conflitto e a organizzare scioperi, tutti gli altri sindacati pensano a come far uscire i lavoratori e le loro famiglie dalla precarietà e dall'incertezza”. La mistificazione e la povertà di queste affermazioni tentano di coprire la nuova filosofia che questi “rappresentati dei lavoratori” tentano di far passare: per uscire dalla precarietà e dalla fame occorre rinunciare alla libertà.
Spostare i diritti significa stracciare i principi di libertà e di uguaglianza teorizzati in leggi (come lo Statuto dei lavoratori) e la stessa Costituzione, determinando una condizione “nuova”. Non la libertà di tutti i cittadini, ma quella di una fascia ristretta di ricchi che impongono e fanno prevalere le loro logiche anche sui principi fondamentali di uguaglianza e di libertà, spacciandoli per convenienze generali.
E’evidente che tutto ciò serve a spostare anche il potere politico e la ricchezza, instaurando un sistema diverso impostato non sull’uguaglianza ma sulla condizione economica, unica e vera fonte di potere, diritto e classificazione sociale.

Dediche di fine 2010

Per i metalmeccanici. Ma anche per gli studenti, per chi non avrà una pensione e un lavoro dignitoso, per chi è sommerso dalla spazzatura, dalle alluvioni e dalle macerie di un terremoto. Per chi non ha mai voce in questa "democrazia". Per i diritti di tutti noi.

giovedì 23 dicembre 2010

I regali di Natale per metalmeccanici e studenti

Si avvicinano le festività, tutti sono più buoni. Marchionne e i sindacati “democratici” (Fim-Cisl, Uilm-Uil, Fismic e Ugl), compenetrati dallo spirito natalizio, hanno garantito che l’impegno per «una soluzione positiva entro Natale» può essere mantenuto. Mentre Uilm e Fim sono ottimiste per una conclusione rapida, la Fismic addirittura annuncia che va a firmare e non a discutere.
Del resto cosa c’è da discutere? Non viene mica affossato il Contratto di lavoro dei metalmeccanici. Non vengono nemmeno cancellati diritti indisponibili e di civiltà.
Del resto il “democratico” Marchionne ha parlato chiaro: non sarà certo lui a imporsi. Dopo l’accordo la parola andrà in ogni caso al referendum vincolante già annunciato dalla Uilm. E a Marchionne, questa volta, basterà “il 51 per cento dei consensi e non se ne andrà”.
Questa si che è democrazia. Ma quale ricatto? Semplicemente verrà chiusa Mirafiori se “l’accordo innovativo e moderno” non verrà votato dalla maggioranza dei lavoratori. Sarà sufficiente che questi ultimi (in tutti i sensi) rinuncino ai propri diritti e l’investimento di un miliardo di euro rimarrà in Italia. In questo modo potranno continuare a dipendere dalla meravigliosa Fabbrica italiana automobili Torino, altrimenti l’azienda sarà "costretta" poverina ad emigrare e loro a diventare democraticamente disoccupati.
Evviva la libertà. Evviva la democrazia.
Dato che è tempo di feste, le buone notizie non vengono mai da sole. Illuminata dallo spirito natalizio l’eccelso ministro Gelmini ha affermato che con la sua “riforma” si cancella definitivamente il 1968 e si agevolano gli studenti nello studio. Cos'hanno da protestare tanto gli studenti? I rappresentanti del popolo in Parlamento decidono per il "loro bene e il loro futuro" (non quello degli studenti: letteralmente il loro, quello dei politici).
E poi dicono che si tratta di una riforma politica e di classe.
Ultima buona notizia, una somma complessiva di oltre 3 miliardi di euro è stata chiesta dall'Agenzia delle entrate della Toscana ad Alberto Aleotti, 87 anni, patron dell'industria farmaceutica Menarini, come risultato di un "processo verbale di constatazione" notificato all'interessato lunedì scorso. Nell'atto si dà conto dei rilievi emersi da verifiche effettuate sul patrimonio personale di Aleotti (non di quello dell'azienda di cui è titolare), a seguito di un'inchiesta della procura di Firenze per truffa allo Stato e frode fiscale sui titolari e i dirigenti della Menarini. La richiesta di 3 miliardi di euro fatta dall'Agenzia delle entrate (a titolo di sanzioni, mancati interessi e mancato versamento di imposte) ad Aleotti, riguarda capitali del suo patrimonio personale trasferiti all'estero e poi fatti rientrare in Italia con lo scudo fiscale.
E poi dicono che non c’è giustizia e che gli imprenditori non soffrono. Non è vero, essi sono accomunati, nelle loro sofferenze, ai disoccupati e ai precari che pretendono di averne l’esclusiva. Altro che storie. Per fortuna che ci sono personaggi politici e ministri che ci insegnano la democrazia e le regole del bon ton nelle nostre proteste. Che in questo momento sono, francamente, poco in sintonia con lo spirito del Natale.
A quale democrazia, a quale libertà e a quali regole si riferiscano costoro (alcuni dei quali anche dal passato politico da picchiatori fascisti), è facile capire: libertà di subire, di essere privati della dignità, di essere licenziati, di essere espulsi dai processi formativi, di essere discriminati, di non avere un futuro. Tutto qui.
E poi ci lamentiamo.

sabato 18 dicembre 2010

14 dicembre, i “democratici” e gli “estremisti”

C’è un gran parlare attorno alle violenze del 14 dicembre, giorno delle manifestazioni studentesche davanti al Parlamento. Violenze avvenute, sostengono in molti, senza alcuna plausibile giustificazione.
Ministri e personaggi politici del governo (ma anche dell’opposizione), si sono esercitati in una parata di condanna della "violenza cieca di gruppi di studenti" e di richiami al "rispetto delle regole democratiche" esistenti nel Paese. Quale Paese è facile capirlo: il loro.
Da costoro è stata anche criticata la decisione dei giudici di mettere in libertà provvisoria i giovani trattenuti in stato di fermo ed è stata inviata addirittura una commissione per valutare la "correttezza" dell’operato degli stessi giudici. L’intenzione, neanche troppo velata, è quella di avvertire gli studenti e gli "estremisti" che qualora quanto successo tornasse a verificarsi, qualora venisse rimesso in discussione l’ordine esistente (in occasione ad esempio del passaggio della "riforma Gelmini" al Senato), la risposta delle forze dell’ordine sarà ben diversa e dura.
Tutto questo trambusto ha il preciso obiettivo di etichettare come estremista chiunque si batta per una scuola e un'università pubblica, accessibile a tutti, per la sicurezza degli edifici scolastici e per i diritti degli studenti.
Più in generale il tentativo è quello di affibbiare l’etichetta di estremista a chiunque si batta per difendere i propri diritti. Sia che si tratti di studenti che di lavoratori, cui viene negato persino il diritto di dissentire e di contestare sindacalisti asserviti alla volontà dei padroni e della Confindustria, che usurpando il ruolo ricoperto pretendono di decidere per i lavoratori stessi e sulla loro pelle. Non si sa sulla base di quale mandato.
A molti di questi moderni garantisti a senso unico e poco credibili assertori del rispetto delle regole democratiche si potrebbe ricordare il loro assai poco coerente passato. Passato che evidentemente hanno dimenticato o fingono di farlo. Di quando ad esempio prendevano a morsi i rappresentanti delle forze dell’ordine e per questo venivano condannati per resistenza a pubblico ufficiale; oppure di quando alcuni di loro andavano insieme ai camerati fuori dalle scuole e nelle piazze milanesi armati di catene e coltelli; o ancora delle vicende legate addirittura all’uso di bombe a mano, che provocarono la morte di un agente di polizia di ventidue anni. Ancora, si potrebbe parlare delle minacce di rivolta armata lanciate in innumerevoli occasioni dal partito dell’attuale ministro dell’Interno. Si potrebbe parlare della violenza esercitata verso le famiglie delle vittime di attentati terroristici tuttora senza giustizia per i propri morti, perché i processi svolti non sono riusciti a individuare esecutori e mandanti. Magari anche a causa della copertura, su alcune circostanze, offerta dal segreto di stato.
Si potrebbe parlare della violenza esercitata dal sistema padronale verso i lavoratori e i padri di famiglia, privati del lavoro e con esso del diritto di poter dignitosamente garantire la vita ai propri cari. Lavoratori costretti a proteste clamorose sui tetti o sulle ciminiere delle proprie fabbriche chiuse perché il padrone ha delocalizzato per guadagnare di più all’estero. Lavoratori che attendono come regalo di Natale la lettera di licenziamento o di cassa integrazione per rendere più competitiva, ma senza di loro, l’azienda in cui lavoravano.
Si potrebbe parlare della violenza esercitata da quegli evasori fiscali (imprenditori, o personaggi pubblici) con uno stile di vita da nababbi e possessori di barchette da varie decine di metri, che evadono le tasse e fanno la bella vita. Quanto siamo orgogliosi di quel tenore, evasore fiscale, che patteggia le sue imposte con tanto di frecce tricolori al funerale, alla faccia dei redditi fissi tartassati dallo Stato, con la gentile collaborazione del sostituto di imposta?
Si potrebbe parlare dei pensionati costretti alla povertà da pensioni da fame continuamente taglieggiate; oppure dei ticket sulle ricette e sulle medicine, degli ospedali in chiusura, dei tempi lunghissimi per avere prestazioni sanitarie specialistiche (ottenibili nelle stesse strutture sanitarie in poco tempo, solo se a pagamento).
Si potrebbe parlare della violenza brutale verso i giovani disoccupati e precari cui non saranno rinnovati i contratti a termine, o degli studenti che saranno costretti ad abbandonare scuole e università, perché non più in grado di sostenerne i costi. Tutti quanti derubati del proprio futuro: la violenza più grande.
Si potrebbe parlare anche della violenza esercitata da chi, al sicuro della propria ricchezza e del proprio benessere, con il pretesto del bene superiore del Paese (il loro Paese) predica sacrifici, rassegnazione a senso unico, riforme solo in senso antipopolare e taccia di estremismo chiunque non si rassegni a sopportare l’attuale stato delle cose e l’attuale distribuzione delle risorse.
Si potrebbe parlare anche della violenza esercitata dal ceto politico che si costruisce un sistema di privilegi con regole e leggi su misura a danno del resto dei cittadini. Un ceto politico eversore, che attacca ferocemente altri organi come la magistratura, sicuro della propria impunità in spregio della Costituzione.
Gli studenti e i lavoratori non vogliono essere etichettati come estremisti, violenti o antidemocratici. Ma se lottare ogni giorno per una scuola e un'università pubblica e accessibile a tutti, per la sicurezza degli edifici scolastici, per i diritti degli studenti e dei lavoratori, per salari e pensioni dignitosi e per un futuro per i giovani e i precari è da estremisti, allora questa etichetta può essere accettata.
Si, loro sono estremisti. Siamo tutti estremisti.

giovedì 16 dicembre 2010

domenica 12 dicembre 2010

Alcune domande senza democratiche risposte

La manifestazione di ieri ha consentito (forse) al Partito democratico, di acquisire un po’ di visibilità e consenso in vista dello scontro di martedì 14 dicembre dove si verificherà l’esistenza o meno di una maggioranza di centrodestra in Parlamento.
La manifestazione è stata tutta incentrata sulla invocata cacciata dell’attuale governo e del suo presidente e massimo dei mali.
Non si può certo non convenire sulla necessità di far cadere un governo di destra e cancellare le leggi che ha prodotto nel suo, troppo lungo, cammino.
Non si è capito bene (o purtroppo si è capito) cosa dovrà sostituire il governo Berlusconi. Al di là delle chiacchiere e del fumo, questo non è emerso. Se cioè va cacciato l'attuale presidente, male assoluto e novello satana, oppure se va impostata una nuova politica fondata sugli interessi dei discriminati, degli sfruttati e dei precari. Questo Bersani non l’ha detto.
Che cosa intende fare il Pd, qualora potesse incidere, rispetto “all’accordo di Pomigliano”, alla New co e alla distruzione dei diritti insita della manovra antioperaia di Marchionne e Confindustria di cancellare contratti nazionali di lavoro? Che cosa intende fare rispetto al collegato lavoro elaborato dal governo che prosegue nell’opera di smantellamento delle conquiste dei lavoratori? E’ disponibile il Pd a mettere fine alla logica dello scambio e delle deroghe ai contratti e a operare per un rinnovo dei Ccnl che preveda aumenti salariali consistenti, per una diversa distribuzione della ricchezza e per il ripristino delle norme contrattuali cancellate per le logiche delle compatibilità? Rispetto alle ripetute “riforme delle pensioni” decise da governi di ogni colore che tagliano le pensioni da lavoro e non consentono ai giovani di costruirsi una posizione assicurativa, il Pd come crede di operare? Il Pd intende adoperarsi per garantire un lavoro e un salario a tutti i disoccupati ripristinando il sistema d’indicizzazione dei salari e il controllo amministrativo dei prezzi dei generi di prima necessità? Per consentire un futuro ai giovani è disponibile il Pd a procedere alla cancellazione delle leggi Treu e Biagi, che istituzionalizzano il precariato? Che cosa farà il Pd governativo rispetto alla “riforma Gelmini” e ai finanziamenti alle scuole private o religiose? Intende cancellarli? Ritiene il Pd che la sanità e la scuola debbano essere gratuite e uguali per tutti i cittadini, a prescindere dal reddito e dalle convinzioni religiose e politiche? Cosi come i trasporti per lavoratori, disoccupati, pensionati e studenti? Ritiene il Pd che vada cancellata la figura del sostituto d’imposta e che il sistema fiscale debba essere fortemente progressivo e più pesante sui redditi più alti? Che si debbano eliminare le imposte locali e soprattutto quelle indirette che penalizzano solo i redditi fissi? Che vada istituita un’apposita tassazione sui patrimoni immobiliari, sulle rendite parassitarie e sui profitti? E che sia istituita una tassa forte per i prodotti di aziende delocalizzate con il divieto per quest’ultime di usare la dicitura con il marchio "Made in Italy”? Che si debba procedere, in ultimo in materia fiscale, all’abolizione delle norme che consentono l’intestazione di beni a società? Che in materia d’immigrazione e clandestinità vadano cancellate tutte le leggi che rendono gli immigrati clandestini, ispirando la propria politica in materia alla solidarietà? Che debbano essere ritirati tutti i contingenti militari armati italiani da tutte le aree del mondo? Che vada detto no al nucleare anche per usi civili?
Questo solo per fare alcuni esempi.
Senza adeguate risposte a queste domande il 14 dicembre si verificherà solo uno scontro di potere e di palazzo fra due padroni e fra i rappresentanti di due borghesie in lotta fra loro, per contendersi lo scettro usando la demagogia di cui dispongono. Per carpire il consenso del “popolo caprone” per i propri fini classe e di parte.

martedì 7 dicembre 2010

Lettera di un comunista fuori moda ma attuale

(In risposta all'articolo di Valerio De Nardo su TusciaWeb: "Se il Pd è suonato...")

Allo “Sporco comunista”.

Leggendo la tua opinione ho sentito la necessità di esprimere la mia sulle conclusioni che trai davanti alle questioni interne a quel partito.
Mi hanno spinto a scrivere le mie convinzioni che, in maniera simile alle tue, inducono anche me a dichiararmi comunista nonostante questo sia, oggi, fuori moda.
Le tue conclusioni, davanti al quadro desolante rappresentato da questo partito, che ritengo siano tali non solo a livello locale, ma anche a quello nazionale, ti portano a concludere che non è poi così sorprendente se Sinistra Ecologia e libertà voli nei sondaggi.
Lungi da me l’idea di intavolare un qualsiasi confronto o polemica su basi partitiche in proposito. Non servirebbe perché oggi ritengo sia più necessario confrontarsi sui contenuti e non sulle sigle.
L’approdo sulle sponde del liberismo e delle logiche interclassiste, deciso dal Pd, ha determinato la modifica delle linee e delle strategie di quel partito che nonostante tutto tenta di presentarsi, con una buona dose di contraddittorietà, come un partito delle forze “sane” e progressiste e di sinistra includendo però, in quest’ambito imprenditori, benestanti, lavoratori, disoccupati, precari e pensionati.
E’ proprio questo tentativo teso a dimostrare che è possibile una coesistenza e un equilibrio sociale ed economico fra soggetti detentori di diritti e di libertà differenti, a determinare le difficoltà, per quel partito, ad assumere posizioni precise e nette per non scontentare nessuno dei soggetti sociali cui pensa di rivolgersi.
Il suo percorso travagliato, iniziato con il passaggio dal Pci al Pds poi ai Ds e oggi al Pd, coincise con la caduta del muro di Berlino.
Non è mia intenzione tornare su questioni e analisi che ci hanno coinvolto a lungo. Sono convinto però, che le ragioni che hanno determinato la caduta di sistemi che al socialismo si richiamavano, non abbiano fatto venir meno l’ingiustizia e con essa la disuguaglianza sociale.
Esistono ancora oggi, ed in misura maggiore di venticinque anni fa, le disparità e le discriminazioni sociali fra i cittadini. Queste, ancora oggi, sono determinate dalle condizioni economiche che producono differenze sostanziali sia in termini di benessere economico che di libertà individuali fra i cittadini.
Queste differenze non riguardano singoli ma gruppi consistenti di cittadini cui sono negati il lavoro e con esso la libertà dal bisogno e la dignità stessa.
Questa condizione non accomuna, però, tutti i cittadini. Nel mentre si tagliano salari e diritti ai lavoratori, nel mentre si taglia il sistema previdenziale, nel mentre si precarizzano i giovani e li si deruba del futuro, altri cittadini di altre condizioni economiche si arricchiscono e godono di condizioni e di libertà diverse, anzi molto maggiori e migliori di prima.
Le libertà e le condizioni economiche di alcuni cittadini cozzano e si contrappongono con quelle di altri cittadini.
Come giudicare diversamente quanto sta avvenendo in Fiat, a Mirafiori o a Pomigliano. In questo quadro l’annullamento dei diritti economici e civili di alcuni è la condizione e il presupposto dello sviluppo e del benessere degli altri. Non certo di tutta la collettività i cui bisogni, anche quelli primari sono condizionati agli interessi economici dei pochi eletti.
Come valutare diversamente l’arricchimento sfacciato e provocatorio di pochi e il perenne e inarrestabile impoverimento e mortificazione dei tanti?
Questo solo per affrontare un limitato campo di “confronto”.
Come può una forza politica, tanto più una forza politica che si ostini a dirsi di sinistra, pretendere di rappresentare tutti gli interessi in campo: dei discriminati e dei privilegiati, dei ricchi e dei poveri, dei liberi e degli oppressi? E’ impossibile. Soprattutto perché a discriminare e a impoverire non sono le “ragioni superiori dell’economia”, ma quelle legate agli interessi dei ricchi e privilegiati.
Non si può, in sostanza, servire due padroni perché alla fine se ne serve uno solo a danno dell’altro. Di cui, però si continua a pretendere il consenso e il voto.
Da questo dipendono le difficoltà del Pd.
Non solo del Pd, ma anche di tutte quelle formazioni politiche che combattono l’ingiustizia sociale e che ritengono sia possibile, da posizioni minoritarie e operando all’interno del campo avversario, magari anche con alleanze “innaturali” vincere e far ottenere risultati positivi ai discriminati.
Le esperienze del primo centrosinistra, che includevano anche Bertinotti e Rifondazione comunista, hanno dimostrato che l’intelligenza, la telegenicità o la simpatia di un leader non determinano alla lunga il cambiamento o i progresso dei discriminati. Le alleanze innaturali alla fine (e la storia di questi ultimi anni l’ha dimostrato) accentuano le contraddizioni e finiscono per rafforzare l’avversario. La mancanza di chiarezza ha portato la sinistra, anche quella che si definisce radicale, a dividersi e a sostenere le ragioni dell’economia dei ricchi, compresi gli interventi “umanitari”, armati nel mondo. Portando allo smarrimento e al disorientamento.
La lotta politica non può non fondarsi sulle alleanze. Queste però devono essere chiare e su obiettivi definiti, con la consapevolezza che la necessità di produrre una radicale pulizia dell’attuale quadro politico non può far perdere di vista la realtà esistente e gli interessi in campo. Non può soprattutto prescindere dai contenuti. Berlusconi, in buona sostanza, non è il male assoluto, ma il massimo rappresentante di una classe sociale che, anche in quest’era di crisi si è arricchito ed ha prosperato a danno di tutti gli altri, e che vuole continuare a farlo. Non possono ragioni di convenienza e di lotta politica momentanea, cambiare la realtà.

giovedì 2 dicembre 2010

La vera posta in gioco (parte seconda)

Non c’è stata opposizione, né in Parlamento né nelle piazze da parte della Cgil o di Bersani (che oggi rivendicano la rappresentanza e il consenso dei giovani e dei precari), quando il governo Berlusconi varò la legge Biagi che completava l’opera iniziata da Treu (del governo di centro”sinistra” Prodi) di demolizione dei diritti e delle speranze dei giovani togliendo loro il futuro. Come pretendono ora di impossessarsi della rabbia sacrosanta dei giovani e dei precari?
Ancora, come può la Cgil e il Partito democratico pretendere di rappresentare il malcontento e la rabbia dei lavoratori, dei pensionati e dei disoccupati, quando proprio loro hanno sposato e sostenuto sia sul piano sindacale sia su quello legislativo, le politiche delle compatibilità capitaliste? Come sull’occupazione, per cui licenziare o precarizzare un lavoratore, togliendogli la libertà e il futuro è legittimo se all’impresa necessita e conviene. Come si è potuto arrivare ad anteporre il diritto dell’impresa e quello del lavoratore?
Stesso discorso sui salari e su pensioni. Sono state entrambi dimezzanti per renderli compatibili con il mercato e con l’attuale ripartizione del reddito. Certamente non con la necessità dei cittadini di avere un reddito, da lavoro o da pensione, di misura tale da garantire loro un’esistenza dignitosa e libera perlomeno dal bisogno.
Chi oggi pretende di rappresentare i soggetti più deboli, con le politiche già adottate ha cancellato la consapevolezza stessa dell’esistenza del conflitto. E si vorrebbe dare ad intendere che se i lavoratori, i pensionati, i giovani stanno male la responsabilità non è delle politiche di classe che i governi (tutti) hanno perseguito, ma della “incapacità” dei governi, o degli uomini, a governare. Oppure un semplice problema di onestà. Ma la morale c'entra ben poco: si tratta di specifici e consapevoli indirizzi economico-sociali.
Per i novelli paladini delle ingiustizie il governo non va combattuto perché ha rappresentato e tutelato innanzitutto gli interessi dei padroni e della Confindustria. Va contrastato perché Berlusconi non è capace di governare, anche perché troppo legato agli interessi delle sue aziende, oppure per i suoi presunti legami con la mafia o per le sue discutibili vicende personali.
Non va però combattuto per la legge Biagi, né per gli altri tagli alle pensioni iniziati dal governo di centro”sinistra” presieduto da Dini, oggi felicemente tornato al centrodestra. Né tantomeno per la politica delle delocalizzazioni agevolata dall’attuale governo (il centro”sinistra” avrebbe forse operato diversamente?). O su Pomigliano e la New Co? O sulle politiche di aiuti “umanitari” e armati in Afghanistan? O sulla Tav? O sulle politiche economiche di bilancio e spesa? Sui ticket sanitari? Oppure sulle politiche di privatizzazione del sapere che proprio loro hanno iniziato a realizzare? E si potrebbe continuare.
L’equivoco di fondo sta proprio qui. Come fa il Pd, insieme a Vendola, a farsi paladino dei diritti e degli interessi dei discriminati senza intaccare e colpire contemporaneamente quelli dei padroni, di cui rivendicano la rappresentanza e il consenso? Non si possono seguire contemporaneamente due tesi. A meno che il vero obiettivo di costoro è utilizzare il malcontento ai soli fini elettorali.
La storia recente ha dimostrato, infatti, che le politiche e le scelte economiche fondamentali dei governi di centro”sinistra” sono le stesse di quelle dei governi di centrodestra. Ai partiti che si pongono l’obiettivo di collocarsi in questo scenario non resta (finora non è restato) che scegliere il male minore.
Tutto ciò potrebbe essere anche opportuno, per una ragionevole e momentanea unità tattica d’intenti, su precisi e delimitati obiettivi fra forze politiche che decidono di opporsi al male peggiore (l’attuale governo). Certamente non su un’irrealizzabile, impossibile, unità strategica con forze politiche che si propongono di rappresentare interessi contrastanti e inconciliabili. Perchè di classe. Tali sono gli interessi dei lavoratori con quelli dei padroni.
Di ciò occorre essere consapevoli. Altrimenti l’unità appiattita, priva di analisi e di obiettivi economici e sociali, ma con l’unico scopo di battere Berlusconi com’è avvenuto con l’esperienza dei governi Prodi, permetterebbe al massimo di preferire il male minore. O, per dirla con Lenin, di scegliere quale dei rappresentanti del padronato ci opprimerà per i prossimi cinque anni.