C’è un gran parlare attorno alle violenze del 14 dicembre, giorno delle manifestazioni studentesche davanti al Parlamento. Violenze avvenute, sostengono in molti, senza alcuna plausibile giustificazione.
Ministri e personaggi politici del governo (ma anche dell’opposizione), si sono esercitati in una parata di condanna della "violenza cieca di gruppi di studenti" e di richiami al "rispetto delle regole democratiche" esistenti nel Paese. Quale Paese è facile capirlo: il loro.
Da costoro è stata anche criticata la decisione dei giudici di mettere in libertà provvisoria i giovani trattenuti in stato di fermo ed è stata inviata addirittura una commissione per valutare la "correttezza" dell’operato degli stessi giudici. L’intenzione, neanche troppo velata, è quella di avvertire gli studenti e gli "estremisti" che qualora quanto successo tornasse a verificarsi, qualora venisse rimesso in discussione l’ordine esistente (in occasione ad esempio del passaggio della "riforma Gelmini" al Senato), la risposta delle forze dell’ordine sarà ben diversa e dura.
Tutto questo trambusto ha il preciso obiettivo di etichettare come estremista chiunque si batta per una scuola e un'università pubblica, accessibile a tutti, per la sicurezza degli edifici scolastici e per i diritti degli studenti.
Più in generale il tentativo è quello di affibbiare l’etichetta di estremista a chiunque si batta per difendere i propri diritti. Sia che si tratti di studenti che di lavoratori, cui viene negato persino il diritto di dissentire e di contestare sindacalisti asserviti alla volontà dei padroni e della Confindustria, che usurpando il ruolo ricoperto pretendono di decidere per i lavoratori stessi e sulla loro pelle. Non si sa sulla base di quale mandato.
A molti di questi moderni garantisti a senso unico e poco credibili assertori del rispetto delle regole democratiche si potrebbe ricordare il loro assai poco coerente passato. Passato che evidentemente hanno dimenticato o fingono di farlo. Di quando ad esempio prendevano a morsi i rappresentanti delle forze dell’ordine e per questo venivano condannati per resistenza a pubblico ufficiale; oppure di quando alcuni di loro andavano insieme ai camerati fuori dalle scuole e nelle piazze milanesi armati di catene e coltelli; o ancora delle vicende legate addirittura all’uso di bombe a mano, che provocarono la morte di un agente di polizia di ventidue anni. Ancora, si potrebbe parlare delle minacce di rivolta armata lanciate in innumerevoli occasioni dal partito dell’attuale ministro dell’Interno. Si potrebbe parlare della violenza esercitata verso le famiglie delle vittime di attentati terroristici tuttora senza giustizia per i propri morti, perché i processi svolti non sono riusciti a individuare esecutori e mandanti. Magari anche a causa della copertura, su alcune circostanze, offerta dal segreto di stato.
Si potrebbe parlare della violenza esercitata dal sistema padronale verso i lavoratori e i padri di famiglia, privati del lavoro e con esso del diritto di poter dignitosamente garantire la vita ai propri cari. Lavoratori costretti a proteste clamorose sui tetti o sulle ciminiere delle proprie fabbriche chiuse perché il padrone ha delocalizzato per guadagnare di più all’estero. Lavoratori che attendono come regalo di Natale la lettera di licenziamento o di cassa integrazione per rendere più competitiva, ma senza di loro, l’azienda in cui lavoravano.
Si potrebbe parlare della violenza esercitata da quegli evasori fiscali (imprenditori, o personaggi pubblici) con uno stile di vita da nababbi e possessori di barchette da varie decine di metri, che evadono le tasse e fanno la bella vita. Quanto siamo orgogliosi di quel tenore, evasore fiscale, che patteggia le sue imposte con tanto di frecce tricolori al funerale, alla faccia dei redditi fissi tartassati dallo Stato, con la gentile collaborazione del sostituto di imposta?
Si potrebbe parlare dei pensionati costretti alla povertà da pensioni da fame continuamente taglieggiate; oppure dei ticket sulle ricette e sulle medicine, degli ospedali in chiusura, dei tempi lunghissimi per avere prestazioni sanitarie specialistiche (ottenibili nelle stesse strutture sanitarie in poco tempo, solo se a pagamento).
Si potrebbe parlare della violenza brutale verso i giovani disoccupati e precari cui non saranno rinnovati i contratti a termine, o degli studenti che saranno costretti ad abbandonare scuole e università, perché non più in grado di sostenerne i costi. Tutti quanti derubati del proprio futuro: la violenza più grande.
Si potrebbe parlare anche della violenza esercitata da chi, al sicuro della propria ricchezza e del proprio benessere, con il pretesto del bene superiore del Paese (il loro Paese) predica sacrifici, rassegnazione a senso unico, riforme solo in senso antipopolare e taccia di estremismo chiunque non si rassegni a sopportare l’attuale stato delle cose e l’attuale distribuzione delle risorse.
Si potrebbe parlare anche della violenza esercitata dal ceto politico che si costruisce un sistema di privilegi con regole e leggi su misura a danno del resto dei cittadini. Un ceto politico eversore, che attacca ferocemente altri organi come la magistratura, sicuro della propria impunità in spregio della Costituzione.
Gli studenti e i lavoratori non vogliono essere etichettati come estremisti, violenti o antidemocratici. Ma se lottare ogni giorno per una scuola e un'università pubblica e accessibile a tutti, per la sicurezza degli edifici scolastici, per i diritti degli studenti e dei lavoratori, per salari e pensioni dignitosi e per un futuro per i giovani e i precari è da estremisti, allora questa etichetta può essere accettata.
Si, loro sono estremisti. Siamo tutti estremisti.
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