mercoledì 21 marzo 2012

Il governo di “tecnici” liberali e miliardari, dopo le pensioni demolisce le residue libertà dei lavoratori

Il dado è tratto e la “riforma” del mercato del lavoro è cosa fatta. Un governo composto da pasdaran del mercato e delle liberalizzazioni, coadiuvato dal padronato e da sindacati più realisti del re, cancella con un atto di forza l’ultimo strumento di libertà per i lavoratori, l’art. 18, che imponendo l’obbligo della riassunzione alle aziende, in caso di licenziamento operato senza giusta causa, permette ai lavoratori, nei posti di lavoro, di difendere i loro diritti senza il ricatto del licenziamento.
Marchionne e la Fiat, dopo aver negato ai tre delegati Fiom il ritorno al loro posto di lavoro, nonostante la sentenza della magistratura, salteranno di gioia. Hanno fatto scuola e tracciato la strada.
Quanto deciso dal Governo sulla spinta del padronato più arretrato e becero e dalle parti sociali, compresa la Confindustria, ma senza la Cgil, da la libertà al padrone di licenziare a suo piacimento, salvo poi un misero ed umiliante indennizzo.
Questo premia l’arroganza padronale e cancella il diritto calpestato di chi lavora e consentirà alle aziende di liberarsi comunque del personale scomodo (chi pretende i propri diritti, chi sciopera o aderisce a sindacati non graditi, chi si ammala, chi va in gravidanza, ecc.) con il pretesto di motivi economici, che ogni imprenditore potrà facilmente accampare, senza alcuna possibilità reale di controllo. La reintegra ci sarà nel solo caso in cui l’imprenditore dovesse dichiarare che licenzia una persona perché è nera o comunista o iscritta al sindacato. Cioè mai.
L’art. 18, dopo la cura Monti- Fornero, con la cancellazione dell’obbligo del reintegro toglie a chi lavora ogni tutela e lo piega alla volontà e all’interesse del padrone privandolo di ogni residua libertà.
Quanto successo è stato possibile dalla ritrovata aggressività del padronato ma soprattutto dal tradimento di quelle forze politiche e sindacali che hanno abbandonato l’obiettivo dell’emancipazione del lavoro dallo sfruttamento e dal profitto, e hanno fatto propri il liberismo, le compatibilità e il mercato.
I lavoratori si sono trovati, a seguito di ciò, senza rappresentanza in Parlamento e senza tutela sindacale e ne pagano le conseguenze.
La Cgil negli ultimi venti-trenta anni, dopo aver abbandonato la sua linea di classe in difesa dei lavoratori, ha sostenuto in prima persona, sottoscrivendo accordi, le ragioni delle imprese ed ha legato agli interessi del libero mercato e delle compatibilità capitaliste i diritti, l’occupazione, i salari, le condizioni di lavoro e lo stato sociale. Altre volte non ha sottoscritto furbescamente accordi. L’hanno fatto al posto suo Cisl e Uil con il successivo tacito e strumentale accodamento della Cgil.
Tutto questo è successo in più occasioni. I risultati li conosciamo: I lavoratori italiani hanno i salari più bassi d’Europa, la disoccupazione più alta, il sistema pensionistico più punitivo e sono colpiti dal più pesante carico fiscale del continente.
Di chi è la responsabilità di questo arretramento? Del padronato certo. Soprattutto però di un sindacato che ha mancato al suo ruolo anzi, che ha facilitato il processo facendo proprie le logiche di mercato delle aziende.
Quanto successo con l’ultima “riforma” delle pensioni lo chiarisce fin troppo.
Davanti alla prepotenza del Governo dei tecnici e dei miliardari che, con la manovra economica di fine anno, ha colpito lavoratori e pensionati e salvato i ricchi, il gruppo dirigente della Cgil ha in un primo tempo proclamato uno sciopero generale di … tre ore, preoccupato di una possibile protesta spontanea di massa dei lavoratori, da governare e imbrigliare. Siccome poi la protesta non c’è stata, la partita pensioni è stata chiusa in tutta fretta.
Oggi il gruppo dirigente della Cgil, quello che il 23 marzo 2002 organizzò la più grande manifestazione mai tenuta in Italia, contro la manomissione dell’art. 18, si trova nelle stesse condizioni in cui era per le pensioni, quella di non poter cioè approvare ma nemmeno contrastare l’operato del Governo, grazie anche al ruolo certamente non super partes svolto dal Presidente della Repubblica, l’ex comunista (?) Napolitano.
Solo una risposta largamente di massa alle iniziative di lotta che saranno fissate costringerà la Cgil e, con essa il Pd, ad agire veramente contro l’abolizione dell’art. 18: Entrambi sono ansiosi di collaborare col Governo Monti a salvare l’Italia dei ricchi, ma nello stesso tempo sono preoccupati di non perdere il consenso, soprattutto elettorale, dei lavoratori italiani dei quali senza meritarlo pretendono ancora la rappresentanza politica e sindacale.

martedì 13 marzo 2012

Dopo quella sulle pensioni la Cgil si appresta a una nuova sceneggiata sul “mercato del lavoro”

Il Corriere della sera di ieri 12 marzo riporta testualmente: ”Modello tedesco per i licenziamenti e un percorso negoziale che consenta alla Cgil di stare al tavolo fino all'ultimo momento”.
“L'articolo 18, così com'è, resterebbe solo per i licenziamenti discriminatori. Per i licenziamenti economici, secondo la proposta del leader della Cisl, Raffaele Bonanni, è previsto un controllo da parte del giudice limitato alla verifica che non si tratti di un licenziamento discriminatorio. Ma il giudice non potrà sindacare sull'effettività del motivo economico-organizzativo. Il licenziamento seguirà una procedura sindacale e non ci sarà un diritto al reintegro ma solo a un congruo indennizzo”.
Su tutta questa partita sembra difficile ottenere il consenso della Cgil, che però potrebbe restare al tavolo fino alla fine per negoziare tutta una serie di istituti che le consentano, pur non firmando l'accordo, di non strappare e riconoscere parzialmente la bontà dell'intesa. Una modalità che toglierebbe il Pd dall'imbarazzo di dover votare una riforma su cui la Cgil chiamasse invece lo sciopero generale che il leader della Cgil, Susanna Camusso”.

“Il terzo tipo di licenziamento è quello chiesto dalle imprese e riguarda i motivi disciplinari: in questo caso oggi il lavoratore, se il giudice ritiene che non esista il giustificato motivo, ottiene reintegro e indennizzo. Con la riforma invece avrebbe diritto, a discrezione del giudice, al reintegro o all'indennizzo fino a 18 mensilità, secondo il modello tedesco. Ma le nuove norme varrebbero solo per i nuovi assunti? Si sta affacciando l'idea che possano valere senz'altro per i nuovi assunti e tra un paio d'anni, a crisi superata, anche per i vecchi. Un modo per evitare il doppio regime. Su tutta questa partita sembra difficile ottenere il consenso della Cgil, che però potrebbe restare al tavolo fino alla fine per negoziare tutta una serie di istituti che le consentano, pur non firmando l'accordo, di non strappare e riconoscere parzialmente la bontà dell'intesa. Una modalità che toglierebbe il Pd dall'imbarazzo di dover votare una riforma su cui la Cgil chiamasse invece lo sciopero generale che il leader della Cgil, Susanna Camusso, in un'intervista al Corriere, ha comunque escluso”.
Che la posizione e il ruolo svolto dalla Cgil e dal Partito Democratico fossero solo apparentemente a favore dei lavoratori ma sostanzialmente contro le loro ragioni, si era capito benissimo.
La Cgil, sull’onda del liberismo, del mercato e delle compatibilità capitaliste trionfanti, ha reso possibile, con la sola resistenza di facciata di uno “sciopero generale” farsa di tre ore, insieme alle consocie cisl e uil, la controriforma sulla previdenza. Con questa controriforma l'Italia avrà la più alta età di pensionamento tra i Paesi membri, uguale per uomini e donne dal 2020, come certificato dal Libro bianco sulle pensioni diffuso dal commissario per l'Occupazione e gli affari sociali.
La Cgil ha consentito, con la sua condotta, una manovra economica che, salvaguarda i patrimoni si scarica taglieggiandoli solo sui redditi fissi dei lavoratori e dei pensionati, ha consentito che non fossero prese misure alcune per contrastare la disoccupazione e le delocalizzazioni.
Ora si appresta a far passare l’attacco finale all’ultimo dei diritti dei lavoratori con la cancellazione dell’articolo 18. Tutto questo dopo aver fornito le più ampie garanzie che la Cgil, protesterà pubblicamente un po', ma non prenderà alcuna iniziativa "vera" contro “l’accordo sul mercato del lavoro” che non firmerà.
D’altra parte la segretaria Camusso ha fatto bene intendere da che parte sta, apertamente con la TAV, contro di cui la Fiom, oltre a un movimento che si va allargando a tutta Italia si è schierata.
Il Pd, da canto suo, collaborerà in quest’opera di tradimento e di doppiogiochismo, sostenendo anche col voto, insieme ai soci del centrodestra e terzo polo, come ha fatto sempre per tutte le misure “tecniche” e antipopolari che il Governo Monti ha preso per la “salvezza dell’Italia” (dei padroni).
L’analisi del Corriere della sera sul comportamento di Cgil e Pd, visti i precedenti pertanto, non è solo credibile, ma è la logica conseguenza dei comportamenti che questi hanno tenuto da una ventina d’anni a questa parte.
Cancellato quest’ultimo baluardo di difesa della dignità di chi lavora, il padrone avrà campo libero e potere indisturbato per licenziare, discriminare, perseguitare tutti quei lavoratori o lavoratrici che a suo insindacabile giudizio ostacolano i suoi piani di profitto per malattia, gravidanza, sciopero o lotta sindacale, adesione a un sindacato alternativo, ecc..
Che il padronato punti a privare i lavoratori dei loro diritti e della loro libertà, si è toccato con mano dopo che la Fiat, che ha assunto il ruolo di punta del padronato italiano, non ha rispettato la sentenza del tribunale di Potenza che prevedeva il reintegro al lavoro di tre lavoratori licenziati per sciopero, obbligandoli all’umiliante posizione di percepire il salario stando in casa e senza lavorare. Il padrone, ha riacquistato arroganza e prepotenza e sulla forza dei suoi soldi si può permettere anche di umiliare impunemente chi gli resiste, altro che articolo 18.
Occorre acquisire la consapevolezza che chi agevola i disegni padronali non è dalla parte dei discriminati.
Per questo occorre denunciare senza tentennamenti o posizioni possibiliste il tradimento, ricostruire e rafforzare una visione alternativa e di classe, ricostruire e rafforzare tutte quelle realtà politiche e sindacali che sono realmente a fianco degli oppressi e dei discriminati se vogliamo veramente contrastare i disegni padronali e gettare le basi per una nuova stagione di lotte e di conquiste.

sabato 10 marzo 2012

L’informazione in un paese “democratico” ovvero l’indottrinamento del potere per il popolo caprone

Televideo Rai del 10 marzo 2012:
Raid Israele a Gaza, morti 12 palestinesi
Sale a 12 palestinesi morti e 19 feriti il bilancio di una serie di raid israeliani effettuati da ieri pomeriggio sulla Striscia di Gaza. Lo si apprende da fonti mediche palestinesi. Si tratterebbe di miliziani. L'offensiva israeliana è stata lanciata dopo che una quarantina di razzi e di colpi di mortaio erano partiti dalla Striscia verso il sud d'Israele ed avevano provocato il ferimento di 4 persone, una in modo grave, secondo quanto rende noto l'esercito di Tel Aviv.
Il Corriere della sera di oggi, riporta sostanzialmente la stessa notizia solo che la reazione israeliana è giustificata dall’ “attacco” palestinese con il lancio non 40 ma più di 80 missili che avrebbero causato il ferimento non di quattro ma di otto persone.
Questi avvenimenti tragici vedono pagare sempre il popolo oppresso palestinese un contributo di sangue sproporzionatamente più alto di quello degli israeliani che sarebbero, diversamente dalla realtà, “aggrediti”. E’ evidente la mistificazione operata dagli organi dell’informazione. Essi sono perennemente in competizione fra loro nell’opera volta a presentare i palestinesi come un popolo di terroristi e aggressori e i soldati e il governo israeliano come paladini della libertà, costretti a intervenire con le armi, loro malgrado, solo dopo ripetute provocazioni.
Poco importa se, come riporta il giornale della Confindustria nel sottotitolo della stessa notizia, a causare la reazione palestinese sia stata la morte (o assassinio) di un leader della resistenza venerdì dopo il lancio, naturalmente provocatorio, di due colpi di mortaio contro Israele. Un altro “democratico” raid israeliano ha ucciso, in quell’occasione, il leader dei Comitati di Resistenza Popolare Zuhir al-Qaisi e il genero che secondo l'esercito, stavano preparando un grave attentato in Israele al confine con l'Egitto.
Questo modo di presentare le notizie, degno di una propaganda di regime, non è teso a “informare” l’opinione pubblica ma a convincerla che, in sostanza, i palestinesi se la stanno cercando.
I palestinesi, infatti, a differenza dei militari israeliani, che eliminano solo pericolosi terroristi, se la prendono con le” persone” inermi e democratiche.
I palestinesi, infatti, non sono persone ma militanti o miliziani, cioè terroristi. Essi non sono brutalmente uccisi dall’esercito occupante israeliano, quando opera con i più sofisticati ordigni militari, ma, semplicemente, semplicemente muoiono in occasione dei raid.
L’esercito militare israeliano, davanti all’ipotesi della preparazione di un attentato, non ha bisogno di prendere delle misure precauzionali e prevenire, non ha nemmeno bisogno di celebrare alcun processo né di emettere alcuna sentenza di condanna: passa immediatamente all’esecuzione della sentenza di morte (assassinio?) dei “rei”, colpevoli di rivendicare il proprio diritto su territori strappati loro con la prepotenza e la forza delle armi e trattenuti arbitrariamente. Essi sono colpevoli preventivamente, prima ancora di aver attuato il loro intento criminale: Quello di lottare per essere liberi sulla loro terra, con una loro Patria riconosciuta e di non essere continuamente derubati dalla politica neocoloniale e aggressiva degli “insediamenti dei coloni” israeliani.
Come per altri casi simili, anche questa volta, non si leverà alcuna voce di condanna: i rappresentanti delle istituzioni e i partiti tacciono, gli organi d’informazione, nella quasi totalità dei casi, smorzano la gravità e drammaticità del massacro con titoli asettici che nascondono la realtà, le responsabilità e le proporzioni.
Questo è il modo in cui i paesi “democratici” intendono la libertà e il diritto dei popoli. L’Onu, di tanto in tanto, delibera e gli eserciti dei paesi “democratici” intervengono in difesa della “libertà” e della “democrazia”, ma solo se a loro conviene e se ci sono materie prime (leggi petrolio o altre risorse energetiche) o altri tornaconti economici o militari. In assenza di questi, i popoli possono tranquillamente continuare a subire, perché i paesi “democratici” addormentano le coscienze e con esse il senso del diritto.
Nessuno di costoro si preoccuperà se il popolo palestinese e i suoi legittimi rappresentanti continueranno a subire la prepotenza militare e coloniale del governo e dell’esercito israeliano, se i leader e i legittimi rappresentanti palestinesi continueranno a essere uccisi attraverso “operazioni militari” del “democratico” paese di Israele.

domenica 4 marzo 2012

“Liberalizzazione orari commercio” Ovvero la libertà dei liberisti

Con l’art. 31 del Decreto “Salva Italia”, il Governo Monti ha accelerato il processo di deregolamentazione, già in atto, nel settore del commercio. Ha dato, soprattutto, un illuminante esempio di come i fautori del mercato e delle compatibilità capitaliste intendono la libertà.
Per il liberismo e per i liberisti la libertà non riguarda tutti gli individui, ma solo quelli che possiedono beni che devono essere liberi di investire a proprio comodo e tornaconto.
Le principali politiche economiche liberiste sono legate alla liberalizzazione, anche selvaggia, degli scambi di beni, di servizi e di capitali, quindi all’azzeramento di qualsiasi vincolo e alla diminuzione considerevole delle leggi che regolano l'attività economica.
E’ per questo che i liberisti non tollerano restrizione alcuna, tantomeno da parte dello Stato che può intervenire ma solo a sostegno dell’iniziativa privata.
Su queste basi, incentrate sull’accumulazione di ricchezze e di privilegi economici e politici nelle mani di pochi, si attua una democrazia ristretta nella quale a essere libero non è l’individuo in quanto tale, ma il mercato e l’individuo in quanto possessore di beni capitali da mettere a profitto.
A questa democrazia, quindi, non partecipano a pari titolo tutti gli individui perché essa prevede l’esclusione e l’emarginazione di chi non possiede capitali.
L’applicazione delle teorie liberiste ha portato a concepire il lavoro, l’ambiente, le risorse naturali, la salute, la previdenza, la cultura, l’istruzione, l’informazione, lo sport, i servizi e il tempo libero non come beni di cui godere ugualmente e collettivamente, ma come strumenti di profitto da sfruttare.
Tutto quindi a servizio dell’accumulazione. La stessa informazione, accentrata nelle mani di grossi possessori di capitali, è costantemente impegnata nel convincere che la società liberista sia la migliore delle scelte possibili.
La ricerca del massimo tornaconto ha determinato, sia nei singoli paesi, che a livello mondiale, che i centri di potere effettivo siano diventati le banche e le grandi organizzazioni economiche.
Una "democrazia" perciò non basata sulle libertà dell’individuo, ma su quelle dell’impresa e a servizio dell’accumulazione capitalista.
In questo quadro non hanno cittadinanza i diritti e la libertà dei lavoratori.
Per il liberista, il lavoratore è senza diritti, la sua esistenza è solo in funzione delle esigenze del mercato e dei liberisti, per questo dei consumatori.
Su questa strada vanno perciò create le condizioni più favorevoli per la vendita e l’acquisto di beni, come tenere aperti gli esercizi commerciali il più a lungo possibile, tanto più se i consumi crollano a causa dell’inflazione e dei bassi salari.
E’ evidente che a godere della deregolamentazione degli orari di apertura delle attività commerciali, in particolare dei giorni festivi, domenicali e infrasettimanali, sarà, quasi esclusivamente la grande distribuzione, mentre sarà insostenibile per i piccoli esercizi di cui proseguirà l’azione di smantellamento già da tempo in atto.
I centri storici continueranno a spopolarsi e le città saranno ulteriormente violentate e sempre di più a misura di supermercato.
A subire pesanti conseguenze da quest’opera liberalizzatrice, ispirata alle più sfrenate logiche consumiste, saranno però soprattutto i lavoratori.
Le politiche di “flessibilità” concesse da un sindacato subalterno alle logiche del mercato e agli interessi imprenditoriali, e le leggi Treu e Biagi, volute da governi di centro”sinistra” e centrodestra, che hanno precarizzato il lavoro, permetteranno ancora di più al padronato di far leva sul ricatto occupazionale, con le logiche conseguenze sul piano delle prestazioni lavorative. Turni massacranti, straordinari, lavoro festivo faranno il paio con un ulteriore aumento del lavoro nero e sottopagato.
Quanto sta avvenendo con la liberalizzazione degli orari nel commercio, risponde alla stessa logica mercantile che sta seguendo la Fiat di Marchionne, che prevede sviluppo e occupazione solo a condizione dell’azzeramento dei contratti nazionali di lavoro, del diritto di sciopero, della malattia, delle pause dopo nastri lavorativi di otto ore, ecc. Solo dopo, cioè, la sconfitta dei lavoratori e la cacciata dalle fabbriche e dai luoghi di lavoro, di quei sindacati che come la Fiom e l’Usb si oppongono a questo piano padronale.
Contrastare e battere questo disegno liberista in tutte le maniere in cui si manifesta, significa lottare per una democrazia basata sulla libertà dell’individuo e non su quella dell’impresa e del mercato.
Significa battersi per la libertà. E'questo un impegno cui non ci si può sottrarre.