domenica 4 marzo 2012

“Liberalizzazione orari commercio” Ovvero la libertà dei liberisti

Con l’art. 31 del Decreto “Salva Italia”, il Governo Monti ha accelerato il processo di deregolamentazione, già in atto, nel settore del commercio. Ha dato, soprattutto, un illuminante esempio di come i fautori del mercato e delle compatibilità capitaliste intendono la libertà.
Per il liberismo e per i liberisti la libertà non riguarda tutti gli individui, ma solo quelli che possiedono beni che devono essere liberi di investire a proprio comodo e tornaconto.
Le principali politiche economiche liberiste sono legate alla liberalizzazione, anche selvaggia, degli scambi di beni, di servizi e di capitali, quindi all’azzeramento di qualsiasi vincolo e alla diminuzione considerevole delle leggi che regolano l'attività economica.
E’ per questo che i liberisti non tollerano restrizione alcuna, tantomeno da parte dello Stato che può intervenire ma solo a sostegno dell’iniziativa privata.
Su queste basi, incentrate sull’accumulazione di ricchezze e di privilegi economici e politici nelle mani di pochi, si attua una democrazia ristretta nella quale a essere libero non è l’individuo in quanto tale, ma il mercato e l’individuo in quanto possessore di beni capitali da mettere a profitto.
A questa democrazia, quindi, non partecipano a pari titolo tutti gli individui perché essa prevede l’esclusione e l’emarginazione di chi non possiede capitali.
L’applicazione delle teorie liberiste ha portato a concepire il lavoro, l’ambiente, le risorse naturali, la salute, la previdenza, la cultura, l’istruzione, l’informazione, lo sport, i servizi e il tempo libero non come beni di cui godere ugualmente e collettivamente, ma come strumenti di profitto da sfruttare.
Tutto quindi a servizio dell’accumulazione. La stessa informazione, accentrata nelle mani di grossi possessori di capitali, è costantemente impegnata nel convincere che la società liberista sia la migliore delle scelte possibili.
La ricerca del massimo tornaconto ha determinato, sia nei singoli paesi, che a livello mondiale, che i centri di potere effettivo siano diventati le banche e le grandi organizzazioni economiche.
Una "democrazia" perciò non basata sulle libertà dell’individuo, ma su quelle dell’impresa e a servizio dell’accumulazione capitalista.
In questo quadro non hanno cittadinanza i diritti e la libertà dei lavoratori.
Per il liberista, il lavoratore è senza diritti, la sua esistenza è solo in funzione delle esigenze del mercato e dei liberisti, per questo dei consumatori.
Su questa strada vanno perciò create le condizioni più favorevoli per la vendita e l’acquisto di beni, come tenere aperti gli esercizi commerciali il più a lungo possibile, tanto più se i consumi crollano a causa dell’inflazione e dei bassi salari.
E’ evidente che a godere della deregolamentazione degli orari di apertura delle attività commerciali, in particolare dei giorni festivi, domenicali e infrasettimanali, sarà, quasi esclusivamente la grande distribuzione, mentre sarà insostenibile per i piccoli esercizi di cui proseguirà l’azione di smantellamento già da tempo in atto.
I centri storici continueranno a spopolarsi e le città saranno ulteriormente violentate e sempre di più a misura di supermercato.
A subire pesanti conseguenze da quest’opera liberalizzatrice, ispirata alle più sfrenate logiche consumiste, saranno però soprattutto i lavoratori.
Le politiche di “flessibilità” concesse da un sindacato subalterno alle logiche del mercato e agli interessi imprenditoriali, e le leggi Treu e Biagi, volute da governi di centro”sinistra” e centrodestra, che hanno precarizzato il lavoro, permetteranno ancora di più al padronato di far leva sul ricatto occupazionale, con le logiche conseguenze sul piano delle prestazioni lavorative. Turni massacranti, straordinari, lavoro festivo faranno il paio con un ulteriore aumento del lavoro nero e sottopagato.
Quanto sta avvenendo con la liberalizzazione degli orari nel commercio, risponde alla stessa logica mercantile che sta seguendo la Fiat di Marchionne, che prevede sviluppo e occupazione solo a condizione dell’azzeramento dei contratti nazionali di lavoro, del diritto di sciopero, della malattia, delle pause dopo nastri lavorativi di otto ore, ecc. Solo dopo, cioè, la sconfitta dei lavoratori e la cacciata dalle fabbriche e dai luoghi di lavoro, di quei sindacati che come la Fiom e l’Usb si oppongono a questo piano padronale.
Contrastare e battere questo disegno liberista in tutte le maniere in cui si manifesta, significa lottare per una democrazia basata sulla libertà dell’individuo e non su quella dell’impresa e del mercato.
Significa battersi per la libertà. E'questo un impegno cui non ci si può sottrarre.

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