lunedì 27 febbraio 2012

Altro che coesione nazionale è di massacro sociale

Dai dati Eurostat, pubblicati nel rapporto “Labour market statistics “, riferiti ad aziende con almeno 10 dipendenti, emerge la classifica dei redditi percepiti dai lavoratori europei nel 2009.
Il dato che spicca riguarda il reddito che guadagna un lavoratore italiano confrontato con quello dei suoi colleghi europei, nell'anno di riferimento, 23.406 euro lordi: pari a circa la metà di quello che in Lussemburgo guadagna un operaio di pari qualifica (48.914), in Olanda (44.412) o Germania (41.100). Seguono in Irlanda (39.858), Finlandia (39.197) Francia (33.574) e Austria (33.384). E’ sorprendente anche il livello di reddito più elevato dei lavoratori di due Paesi in grave difficoltà economica, come la Grecia (29.160) e la Spagna (26.316) cui fa seguito Cipro (24.775), rispetto quello dei corrispettivi italiani.
Tutte le panzane, che ci hanno raccontato i soloni e i “tecnici” interessati dell’economia, i fanatici della competitività e del mercato, per spiegarci che per salvare l’Italia, i lavoratori dovevano accettare le compatibilità capitaliste e con esse rinunciare ai diritti consolidati, dal sistema pensionistico e alle pensioni di anzianità, a un salario equo e al passo con l’inflazione e a un posto fisso, si dimostrano per quello che sono false e interessate.
False perché con il finto pretesto della competitività globale, il padronato italiano, aiutato da un sindacato subalterno e asservito e da un centro”sinistra” che ha sposato le teorie del libero mercato, ha ottenuto un gigantesco spostamento di ricchezza a suo favore.
Non sono quindi i redditi dei lavoratori né i diritti sociali e contrattuali di cui essi usufruivano, sui quali è stata scatenata una infamante e bieca propaganda, ad aver creato il baratro del debito pubblico italiano.
Altri paesi capitalisti europei, soggetti anch’essi dello stesso mercato, con gli stessi problemi di competitività globale, hanno economie più forti della nostra e i lavoratori redditi dignitosi.
La situazione della Germania è indicativa: I lavoratori tedeschi, a parità di qualifica e di lavoro, percepiscono redditi pari circa al doppio di quelli dei lavoratori italiani. Nonostante questo l’economia tedesca non è al tracollo, anzi cresce, non solo è competitiva, detta legge.
Completa il quadro il dato relativo la pressione fiscale in Europa: L’Italia non è né quinta, né settima, ma sempre e invariabilmente prima o almeno sul podio delle prime tre in classifica, con una pressione fiscale, che grava prevalentemente se non esclusivamente sui redditi fissi, pari al 51,6%.
I richiami alla coesione nazionale lanciati dalle più alte cariche istituzionali mentre era, ed è, in atto un forsennato attacco agli interessi e diritti dei lavoratori, sono come meschini tentativi, in base ad un presunto interesse nazionale per far digerire altri sacrifici a lavoratori e pensionati italiani.
Davanti a questi dati è illuminante la dichiarazione rilasciata dal Ministro del Lavoro Fornero, tuttora impegnata a “riformare” le regole del “mercato del lavoro”: In Italia abbiamo "salari bassi e un costo del lavoro comparativamente elevato. Bisogna scardinare questa situazione, soprattutto aumentando la produttività".
Questo Ministro “tecnico” non si arrende neanche davanti all’evidenza e tenta di volgere la realtà emersa a favore delle imprese e del padronato. Per il Ministro, infatti, i salari sono bassi, non per l’ingordigia e la prepotenza del padronato italiano, ma perché taglieggiati da un costo del lavoro troppo elevato.
La ricetta che propone perciò non è ne costringere il padronato a pagare di più, ne abbassare il costo del lavoro e il carico per i lavoratori, diminuendo le tasse e i contributi previdenziali in busta paga, ma …. aumentare la produttività.
In soldoni il padronato può tranquillamente continuare a sottopagare e i lavoratori italiani, se vogliono guadagnare di più, devono lavorare e sudare di più.
Questa ricetta è tipicamente di parte e risponde agli interessi del padronato altro che proposta di un tecnico al di fuori delle parti.

Dobbiamo dire basta a questi “tecnici” di cui si servono i ricchi, i sindacati e i partiti filo padronali per non sporcarsi direttamente le mani.
Le loro ricette non servono per l’interesse del Paese ma di quella parte di società di padroni, ricchi, speculatori, evasori e corrotti che con la scusa dell’emergenza vogliono continuare nell’opera di arricchimento e assestare il colpo definitivo ai redditi e ai diritti dei lavoratori italiani.

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