E’ quanto ha affermato il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano ai margini di un incontro informale di otto presidenti europei. "Sappiamo che di fronte ai sacrifici non abbiamo alternative". "Non siamo la Grecia i partiti non mineranno il governo" ha aggiunto e ha manifestato un certo ottimismo sull'impegno di partiti e parti sociali per uscire dalla crisi: "Stanno dimostrando senso di responsabilità nella discussione dei decreti del governo. Spero non ci siano proteste".
Gli stessi concetti sono stati espressi dal primo ministro Papademos il quale ha dichiarato, in occasione dell’approvazione delle misure, da parte del Parlamento greco, che esse sono “inevitabili e necessarie”, e che “il vandalismo e la distruzione non hanno un posto nella democrazia”
Le misure economiche adottate, dal Governo greco, prevedono il taglio di 15mila dipendenti pubblici, una radicale riforma del mercato del lavoro, con una profonda liberalizzazione. Una diminuzione di oltre il 20% del salario minimo garantito, e un taglio delle pensioni. Una drastica economia di spesa in settori pubblici, come gli ospedali e le autonomie locali. La vendita dei gioielli di famiglia, come le quote pubbliche in petrolio, gas, acqua”.
Sorprende la straordinaria sintonia, e uniformità di linguaggio, che emerge ormai a livello europeo, soprattutto in cui paesi coinvolti dalla crisi e dal peso del debito pubblico.
Queste “riforme” sono elevate a modello, vanno nella stessa identica direzione, e sono tutte ispirate dalla stessa ideologia legata al liberismo e al mercato. Su questa strada si sta muovendo anche il nostro governo con l’aggiunta prevaricatoria e ingiustificata di questioni locali come l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori.
Le “riforme” sono “inevitabili e necessarie” dicono. Esse al di la del fumo hanno colpito e colpiscono a senso unico, non tutti, tantomeno coloro che le decidono e impongono. Colpiscono invece lavoratori e pensionati a, cui sottraggono diritti e salario, mentre salvano chi è detentore di patrimoni e grandi ricchezze.
Esse aumentano l’ingiustizia e la discriminazione sociale.
Quello che apprezza Napolitano è lo “sforzo” di una classe politica di nominati e di un ceto politico di sindacalisti asserviti che, dall’alto dei propri privilegi, cui non intende assolutamente rinunciare, nascondendosi dietro il paravento demagogico del “governo tecnico” o dietro fantomatiche trattative sul “mercato del lavoro”, sostiene direttamente e all’unanimità una gigantesca redistribuzione del reddito a favore dei ricchi e a danno di tutti gli altri.
Di quale democrazia di quale legalità si parla allora? Di una democrazia e legalità formale e di facciata, non sostanziale, che permette decisioni e manovre economiche intollerabili a un ceto politico e sindacale privo oltretutto di alcun mandato democratico.
Le “riforme” per Napolitano sono indispensabili, contro di esse è ammessa la protesta ma, sia ben chiaro, solo all’interno delle “regole democratiche” e della “legalità”. Cioè proteste che non ne intacchino i contenuti.
Sono affermazioni di principio che astrattamente potrebbero essere anche condivise. Come si potrebbero, in un Paese civile e democratico, dove non esistono disparità o discriminazioni fra i cittadini, dove nessuno è lasciato indietro o per strada, tollerare proteste sonore e sentite come quelle avvenute in occasione delle manifestazioni del popolo greco contro la manovra del governo di quel Paese?
Chi potrebbe non essere d’accordo nel rispetto delle regole e della legalità?
Di quali regole democratiche e di quale legalità si parla?
Di una legalità fondata sulle disparità dove pochi diventano sempre più ricchi e tanti sempre più poveri? Di una legalità che condanna i giovani a non avere un futuro e, nella migliore delle ipotesi a essere precari a vita per consentire agli imprenditori di risparmiare sulla loro paga? Oppure di lucrare ancora di più sulla manodopera de localizzando le loro imprese in aree a più bassi livelli salariali?
Di una legalità che mette al centro delle sue regole non l’uomo, i suoi tempi, le sue aspirazioni, ma le imprese, le banche con la loro insaziabile fame di utili ad ogni costo?
Una legalità maligna che impone tasse sempre maggiori ai redditi fissi e benigna con i grandi patrimoni e grandi rendite?
Una legalità che costringe un lavoratore a lavorare fino a 67 anni con pensioni sempre più basse?
Una legalità dove chi predica“sacrifici” e “austerità” lascia intatti i propri privilegi mentre demolisce i diritti dei discriminati?
Una legalità fondata sui privilegi e le discriminazioni dove le regole non sono uguali per tutti. Dove chi governa, senza alcun mandato democratico deride e offende chi spera in un reddito certo mentre riserva per se e per i propri figli i posti migliori?
Una legalità fondata su quella che chiamano “austerità”, ma che invece è distruzione dello stato sociale e svendita del pubblico al privato.
Come si può pretendere da chi è discriminato, offeso, emarginato e condannato il rispetto di regole e legalità che lo discriminano, offendono, emarginano e condannano? Di regole e di legalità che non rappresentano gli interessi di tutti, ma di pochi. Di regole che non tentano di stabilire un’equità, seppur di facciata, fra i cittadini? Di regole che condannano i lavoratori, i disoccupati e i pensionati a condizioni di vita sempre peggiori mentre graziano e permettono contemporaneamente la ricchezza più sfrenata?
Regole di questo genere non sono eque e di tutti. Sono regole che rispecchiano l’interesse di pochi privilegiati che tentano di far credere che licenziare senza motivo, precarizzare, condannare all’ergastolo lavorativo (per l’aggiunta senza lavoro) chi vuole lavorare, tartassare i redditi fissi, tagliare le pensioni, privatizzare, liberalizzare, delocalizzare, legittimare la speculazione finanziaria, cancellare le conquiste del lavoro, spendere per armamenti, corrisponda agli interessi di tutti e del Paese.
No. Tutto questo va contro gli interessi e le aspirazioni della maggioranza dei cittadini.
No, perché queste sono regole e legalità di classe. Della classe padronale e dei ricchi. Queste regole e legalità convengono solo a loro.
Contro queste regole, contro questi soprusi è giusto e legittimo protestare e farlo in maniera sonora.
Esistono altre regole cui nessuno, nemmeno chi ha il compito e il dovere di difendere, come il Presidente Napolitano, a quanto pare si ricorda.
Si tratta di quanto affermato dalla Costituzione: art.1. L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro… ; o dall’ art 2. La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo ….; o dall’ art. 3. Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e la uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese; o ancora dall’art. 4. La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto; o dall’ art 36. Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa.
Quanto riportato in questi articoli non è stato un regalo o una graziosa concessione ma è costato lacrime e sangue ai nostri padri. A coloro che, con la Resistenza e con le lotte, pagando di persona hanno costruito un Paese e una legalità che oggi le forze economiche e politiche tentano di cancellare.
Dobbiamo impedirglielo.
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