giovedì 2 febbraio 2012

Monti: "Che monotonia il posto fisso. I giovani si abituino a cambiare"

“La finalità principale della riforma è di ridurre il terribile apartheid che esiste tra chi per caso o per età è già dentro e chi fa fatica a entrare". Sull'articolo 18: "Non è un tabù può essere pernicioso per lo sviluppo dell'Italia e il futuro dei giovani in un certo contesto, ma può essere abbastanza accettabile in un altro contesto".
Queste frasi sono state pronunciate dal Presidente del Consiglio Monti, in riferimento alla trattativa sul “mercato del lavoro” in un’intervista televisiva. Esse evidenziano la mentalità aristocratica e liberista di chi essendo chiamato a decidere “per il bene del Paese”agisce e ragiona risentendo a pieno della condizione di privilegiato. Di chi cioè è ricco di suo e non ha bisogno di lavorare per vivere. E non ha mai dovuto misurarsi con la disoccupazione o con uno stipendio precario e comunque insufficiente.
Ragiona con la logica di chi non ha mai dovuto fare lavori pericolosi o esposti alle intemperie, come i minatori, i cavatori o tutti quelli che lavorano all’aperto o con materiali dannosi per la salute. Ragiona con la logica di chi non ha mai lavorato in una catena di montaggio, con i suoi ritmi ossessivamente monotoni. Ragiona con la logica di chi non è mai stato costretto all’incertezza e alla precarietà del proprio reddito, come unico strumento di sopravvivenza, per se e per i propri cari, perché il suo diritto ad una esistenza libera e dignitosa, che solo un lavoro può garantire a chi non possiede altre risorse, viene dopo il diritto al profitto del padrone.
Il punto di vista di Monti rispecchia una condizione economica, lavorativa e sociale privilegiata quella dei capitalisti e dei padroni. Di chi non deve fare i conti con un lavoro che non c’è oppure con uno stipendio o una pensione insufficienti.
Affermare che il posto fisso rappresenti una monotonia è uno schiaffo in faccia e un insulto ai disoccupati o a chi sta rischiando il proprio posto di lavoro e lotta per la sua difesa. Questi ultimi sarebbero ben felici di fare un lavoro o più lavori meglio remunerati, più sicuri e meno disagiati, ma rimangono attaccati all’unica fonte di reddito, che hanno, se ce l’hanno, a prescindere dalle condizioni di lavoro o dalla sua precarietà. Sono ben coscienti, infatti, che perso quel lavoro, l’unica certezza sarebbe la disoccupazione e la fame.
Quando Monti definisce “pernicioso” (che crea danno) l’art. 18 certamente non interpreta e rappresenta il punto di vista di chi rischia di perdere il lavoro, di essere licenziato per capriccio, discriminazione o altro, ma delle aziende e dei loro padroni che preferiscono avere (loro si) la libertà di liberarsi del personale senza alcun vincolo ma solo a loro esclusivo giudizio e interesse e vantaggio.
Monti rappresenta e tutela con i fatti la sua classe, con i suoi interessi e con i suoi punti di vista: Quella dei privilegiati, dei ricchi e dei padroni. Per essa agisce e governa.
Monti fa questo grazie al sostegno delle banche, dei capitalisti, degli speculatori, dei partiti e sindacati che, comunque mascherati, lo sostengono e che gli forniscono da destra e da “sinistra” la patente di Premier che agisce per l’interesse di tutti e non di una parte.
Le sue scelte non sono invece tecniche, asettiche o tantomeno super partes, ma di parte e si scontrano con gli interessi della classe dei lavoratori, con i quali sono incompatibili perché scaricano su di loro tutti i costi della crisi e li privano di tutti i diritti.
Contro queste scelte occorre mettere in gioco un punto di vista veramente e percettibilmente alternativo e di classe: quello della classe lavoratrice. Che rappresenti i loro bisogni, diritti ed interessi.
Per uscire dalla crisi i lavoratori non hanno bisogno delle liberalizzazioni e delle privatizzazioni, ma di una politica che agli interessi particolari e di classe padronali sostituisca gli interessi generali e di classe dei lavoratori: Invece di tagliare le pensioni vanno nazionalizzate le banche vera fonte di speculazione finanziaria; invece di abolire o modificare l’art. 18 vanno bloccati i licenziamenti e cancellate le leggi Treu e Biagi che precarizzano; invece di aumentare le accise sulla benzina vanno tassati gli alti redditi e i grandi patrimoni; invece che congelare l’adeguamento al costo della vita, di stipendi e pensioni, va ripristinata la scala mobile; invece di privatizzare va abolita ogni forma di sostegno alle aziende, scuole e sanità private, ecc.
Va rimesso in campo cioè un punto di vista alternativo esplicitamente in sostegno degli interessi dei discriminati.
Le parole di Monti fanno, però, chiaramente capire la sua volontà di andare avanti sulla strada intrapresa: quella di togliere i residui spazi di diritto, di reddito e di democrazia ai lavoratori ed ai discriminati.
A Monti va detto che esiste chi non è d’accordo, e non rappresenta certo una minoranza.
Occorre liberare gli italiani dall’incubo (creato dai mass media tutti schierati sul liberismo e sul mercato) dello spread, perché da esso non deriveranno mai, qualunque sia il suo andamento, benefici per loro.
Va affermato con forza e chiarezza che il conflitto di classe è il fulcro da cui ripartire per costruire fra la gente un punto di vista alternativo, quello dei discriminati, per ridare loro la speranza che un cambiamento è possibile e bisogna crederci, senza farsi invischiare in ragionamenti o ricette politi ciste, interne alla logica liberista e padronale, dalle quali non deriveranno mai benefici per chi lavora o spera di farlo.

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