giovedì 19 maggio 2011

Vinciamo noi (?) perdono loro (?)

E’ quanto ha affermato Bersani, segretario del partito democratico, a commento dei risultati delle elezioni amministrative parziali del 15 e 16 maggio. Quando Bersani dice vinciamo noi, a chi si riferisce? La sua vittoria è in alternativa alla sconfitta di chi? Apparentemente queste domande hanno risposte scontate: ha vinto un partito e una coalizione di centro”sinistra”, quindi hanno prevalso le opzioni politiche di chi si richiama ai valori tradizionali portati avanti da partiti della sinistra, i quali si battono contro la discriminazione sociale e l’ingiustizia, per l’affermazione di principi di uguaglianza, per il lavoro e contro lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, per un’equa distribuzione della ricchezza, contro la guerra come strumento di l’offesa alla libertà dei popoli e come mezzo per la risoluzione delle controversie internazionali.
Ma è avvenuto proprio questo? Si può dire che il Pd e il centro”sinistra” siano da annoverarsi fra coloro che si battono contro l’intervento militare armato in Libia e in altre parti della terra? Ancora, che abbia vinto chi si batte contro il mercato selvaggio, le delocalizzazioni industriali, fatte per costringere i lavoratori a salari di fame e a privarli di diritti e di libertà, oppure contro la “libertà” padronale di licenziare o cassaintegrare arbitrariamente e senza controllo alcuno? Forse hanno vinto coloro che sono contro il lavoro precario, nuova e “moderna” forma di schiavitù, che consente agli imprenditori di aumentare i propri profitti a scapito dei giovani e dei lavoratori privati della libertà, della dignità e dell’autosufficenza che solo un'occupazione può dare a chi è privo di risorse economiche?
Forse a vincere sono coloro che si battono per i principi costituzionali, di diritto di sciopero o di percepire salario anche in malattia, o del diritto a un lavoro che non riduca l'uomo a una macchina con pause solo a fine di un turno lavorativo di otto ore continuative ("se otto ore vi sembran poche, provate voi a lavorar" si cantava un tempo).
Forse, ancora, hanno vinto i pensionati e i lavoratori che sperano in uno stato sociale impostato su base solidaristica e civile dove i servizi, le pensioni e le prestazioni sanitarie siano fondate anch'esse sulla solidarietà e non su freddi, cinici e interessati calcoli economici, perennemente impostati su una logica di risparmio a senso unico?
Oppure a vincere sono coloro che ritengono che il sapere, l’informazione, la salute i trasporti, l’energia e la natura (acqua, spiagge, ecc.) siano beni di tutti e non strumenti di profitto e quindi non possano essere privatizzati.
Niente di tutto ciò. Il Pd e il centro”sinistra” nostrani, in perfetta sintonia e continuità, attraverso una staffetta contro-riformatrice che dura da venti anni, hanno condiviso col centrodestra e con Berlusconi la responsabilità di tutto ciò. Le politiche economiche impostate sul mercato e sulle compatibilità capitaliste hanno portato alla difesa dei profitti, non del diritto al lavoro subalterno all’interesse padronale. Si può forse sostenere che Bersani e il suo partito abbiano mai levato la loro voce contro le delocalizzazioni selvagge ad esempio? Oppure che abbiano sostenuto i lavoratori della Fiat sottoposti al ricatto occupazionale a Pomigliano e a Mirafiori? Non è stato proprio il vincitore Fassino a sostenere che avrebbe votato a favore dell’accordo, capestro firmato da Fim e Uilm senza la Fiom, se avesse potuto?
A fare il primo provvedimento legislativo che introdusse il lavoro precario, non fu Treu ministro del lavoro del governo di centro”sinistra” Prodi, con i voti di Bersani, D’alema, Veltroni? Le pensioni di anzianità o da lavoro non subirono il primo pesante attacco e la prima controriforma dal governo Dini del centro”sinistra”? Non è stato forse il Pd a sostenere la politica delle privatizzazioni e del mercato, posizioni del resto normali per chi si definisce liberale. Sull’intervento militare, poi, Bersani e soci sono stati capaci addirittura di superare se stessi, spingendo per l’entrata in guerra con ancora maggiore lena di quanto abbiano fatto da destra.
Macché vittoria della sinistra o del centro”sinistra” allora. A vincere è un ceto politico in competizione, con le unghie e con i denti, con un altro ceto affine e similare, per la gestione dello stesso potere politico ed economico secondo le medesime logiche capitaliste e liberiste, che legano le condizioni dei cittadini al profitto e alla speculazione.
La sconfitta subita da Berlusconi è certamente motivo di soddisfazione. L’arroganza e la prepotenza dell’uomo e del suo partito costruito a sua immagine ha caratterizzato l’arrembaggio politico, economico e giudiziario nel Paese in questi anni. Anni in cui le “regole democratiche” sono saltate e il Parlamento mortificato dai decreti legge e dai voti di fiducia a ripetizione. Anni in cui è stato riaffermato, senza trovare alcuna valida resistenza, il feudale principio della supremazia di caste e di classe dei potenti, il cui diritto viene prima di quello di tutti gli altri. Anni in cui sono stati abbattuti diritti e conquiste dei lavoratori con il beneplacito bipartisan.
Il partito che oggi canta vittoria ha condiviso con pari responsabilità del suo oppositore tutto ciò e ha assunto totalmente e fatto proprie le ragioni e le “libertà” liberal-capitaliste e padronali.
Quando Bersani dice "vinciamo noi" non si riferisce ai lavoratori ma al suo ceto politico, nella lotta con l’altro, oggi perdente, ma non antagonista.
Cosa cambia perciò con le elezioni per i lavoratori? La consapevolezza che cresce la protesta e il malcontento verso l’attuale quadro politico ed economico. Protesta che non può trovare risposte da questa rappresentanza politica che non ha nessuna intenzione di costruire una alternativa di sistema a quella che porta avanti l’attuale maggioranza.

domenica 15 maggio 2011

Elettori o schiavi?

Ancora una volta i cittadini sono chiamati a esprimere un voto su una scheda elettorale. Ancora una volta sentiremo parlare di schieramenti contrapposti, exit poll, di valenza politica delle elezioni pur se solo amministrative, e di massima espressione di libertà e di democrazia, quella che consente (ogni tanto) ai cittadini di pesare nella gestione della cosa pubblica dal piccolo comune al governo nazionale.
Tutti invitano i cittadini a partecipare e a esprimere il loro “democratico” voto. Tutti vogliono cambiare. Ognuno è migliore dell’altro. Anzi in questa democrazia, il vincitore di turno si sente legittimato a decidere per tutti mentre l’altro, l’avversario o competitore, rappresenta il male assoluto da eliminare. E’ il “gioco della democrazia”. In nome di essa, chi vince si ritiene legittimato a decidere e legiferare anche su materie sulle quali non ha ricevuto alcun mandato elettorale.
E’ quanto successo ad esempio con i quesiti referendari sul finanziamento pubblico ai partiti, o sull’uso dell’energia nucleare, su cui c’è stato un chiaro pronunciamento contrario dei cittadini e che invece oggi persistono (finanziamenti ai partiti) o si tentano di ripristinare (come per il nucleare).
La partecipazione e il consenso dei cittadini e dei lavoratori non sono stati richiesti quando si è trattato di cancellare lo strumento di difesa di salari e pensioni dall’inflazione, la scala mobile. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti: l’iniqua ripartizione del reddito sempre più concentrato nelle mani di pochi paperoni.
Né è servito il consenso popolare per cancellare il sistema previdenziale pubblico e le pensioni di anzianità. Oppure per precarizzare i rapporti di lavoro con le leggi Treu e Biagi riducendo alla fame giovani e lavoratori e privandoli della dignità e della libertà che solo il lavoro può garantire a chi non possiede risorse economiche.
Tantomeno è stato richiesto il consenso popolare per i vari interventi militari (guerre) naturalmente umanitari e per "difendere la pace", cui nel tempo l’Italia ha partecipato e continua a partecipare, in barba a quanto previsto dalla Costituzione.
Lo stesso è avvenuto per le privatizzazioni, anche di settori strategici come la scuola e l’istruzione, l’informazione, l’energia, i trasporti, la previdenza, ecc., ecc., ecc..
Basta che un imprenditore privato lo voglia e può usufruire di finanziamenti pubblici, godere di cunei o di scudi fiscali, chiamare nominativamente e quindi scegliere il disoccupato o lo schiavo da assumere, trasferire la propria attività all’estero delocalizzando e licenziando i dipendenti in Italia, oppure togliendo loro il diritto al salario in caso di malattia, o i riposi o il diritto di scioperare in barba a quanto previsto nella Carta fondamentale del Paese.
Su tutte le fondanti questioni i partiti, tutti i partiti rappresentati nel Parlamento e nei vari livelli istituzionali (salvo qualche rara eccezione, a prescindere dalla loro collocazione di destra, centro o sinistra), hanno condiviso e votato tutto, in una sorta di staffetta governativa che ha garantito continuità e costanza negli indirizzi comuni da perseguire.
Il loro “confronto democratico e politico”, visto che hanno condiviso le medesime scelte fondamentali, si restringe al presunto possesso di doti democraticità o onestà, di cui ognuno rivendica l’esclusiva.
Forse è per questo che gli italiani rinunciano in maniera crescente a usufruire del loro diritto di voto, facendo continuamente calare le percentuali di affluenza ai seggi elettorali. Sanno che non è consentito loro di contribuire alle scelte ma solo di subirle. Possono scegliere l’uomo-candidato, il partito o la coalizione, non le politiche che saranno le stesse, a prescindere di quale coalizione vincerà e chi sarà eletto, che non terrà minimamente conto né della loro opinione e tantomeno del loro interesse.
E’ necessario avere consapevolezza di tutto questo "perché uno schiavo che non ha coscienza di essere schiavo e che non fa nulla per liberarsi, è veramente uno schiavo. Ma uno schiavo che ha coscienza di essere schiavo e che lotta per liberarsi già non è più schiavo, ma uomo libero". Berlusconi o Bersani? No Lenin.