domenica 31 marzo 2013

Scelta di campo

Gli ultimi anni sono stati dominati da politiche finanziarie e di mercato che hanno demolito le condizioni economiche e i diritti sociali e civili dei discriminati. Il collocamento e la scala mobile sono stati cancellati, i rinnovi dei contratti di lavoro sono stati trasformati da strumento di redistribuzione del reddito a favore dei lavoratori a fasi di scambi sindacali in perdita e cedimenti; il lavoro è stato precarizzato con l’abolizione dell’art. 18, le leggi Treu e Biagi, con i contratti “atipici”, la flessibilità, le delocalizzazioni; i sindacati più combattivi, la Fiom e le organizzazioni di base sono stati emarginati con i contratti separati. Le contro”riforme” delle pensioni, la cancellazione del diritto alla salute e all’istruzione, ecc. sono tutte fasi di un’operazione trentennale condotta da governi di ogni colore ma sotto la dettatura del padronato, unico beneficiario delle “riforme”. Tutto questo è stato possibile grazie all’apporto costruttivo delle confederazioni sindacali che hanno consentito questo scempio annullando le lotte e smorzando qualsiasi velleità di protesta emergesse, spianando la strada alla sconfitta dei lavoratori. Il risultato prodotto è la totale dipendenza degli interessi e delle condizioni di vita dei lavoratori dallo spread e dai mercati. I loro salari e pensioni, il lavoro, i loro diritti sono diventati man mano una variabile condizionata e dipendente da interessi economici sovranazionali accettati quasi come sovrannaturali e inevitabili. Questo ha determinato il progressivo e inarrestabile peggiorare delle loro condizioni di vita e dei loro diritti. La disoccupazione, la povertà e la sfiducia sul futuro gettano in uno stato di disperazione, masse crescenti di cittadini e di giovani che non riescono a intravvedere alcuna via di uscita. I sacrifici imposti non hanno dato risultati e gli indici economici continuano a essere negativi: è inarrestabile la crescita della disoccupazione, dell’inflazione e lo spread e a calare i redditi e i consumi. Nuovi sacrifici vengono imposti e le nubi all’orizzonte sono sempre più nere. Non vengono però individuate, da nessuna forza politica, le responsabilità chiare e certe della crescente sofferenza cui sono condannate senza speranza le masse sempre più vaste di lavoratori, giovani e pensionati. L’unico nemico individuato è il ceto politico contemporaneo, colpevole di prebende, vitalizi, corruzioni, amoralità, leggi ad personam e persino di mafia. Verso costoro non sono sufficienti i peggiori epiteti immaginabili. Oltre a loro, però, non sono individuate altre responsabilità. In questo modo è naturale che al massimo si verifichi solo una protesta generica e qualunquista, pur sacrosanta: Sono tutti uguali, mangiano tutti, si arricchiscono alle nostre spalle. E’ stato impedito volutamente e scientificamente alle masse di discriminati di utilizzare la chiave di lettura del conflitto di classe per analizzare la realtà attuale. Non sono individuate ad esempio, anzi si sono nascoste le responsabilità del padronato. Addirittura c’è pure chi in questo lavoro di confusione e di mistificazione, pur dichiarandosi comunista, ha messo nel suo programma elettorale insieme ad altri che ” Vanno premiate fiscalmente le imprese che investono in ricerca, innovazione e creano occupazione a tempo indeterminato” (Rivoluzione Civile). Cioè vanno destinati alle imprese “meritorie” finanziamenti derivati dalle tasse che solo i redditi fissi pagano. E’ proprio il colmo. Non basta più il profitto. Sono invece le aziende capitaliste e i padroni che hanno richiesto e preteso le “riforme” di cui sopra. Imprese che hanno potuto usufruire così di manodopera a basso costo, senza diritti e licenziabile in ogni momento anche senza giustificato motivo, sottoscrivere accordi con sindacati di comodo, licenziare lavoratori e discriminare sindacati combattivi, precarizzare e delocalizare, godere dei cunei e scudi fiscali, condoni, sanatorie ecc., ecc., ecc. Esse attraverso tutto questo hanno accumulato ricchezze e ingrossato i loro capitali concentrando nelle mani dei loro proprietari quanto tolto alla stragrande maggioranza di cittadini e giovani. Nessun partito della pseudo sinistra o sindacato riconosce o denuncia le responsabilità del padronato. Tutti costoro vogliono dare ad intendere che la crisi non dipenda da loro e dal loro sistema. Hanno impedito così di far capire chi ha la vera responsabilità della crisi: il mercato liberista e la finanza internazionale di speculatori senza scrupoli. Per far digerire le loro “riforme” hanno dato ad intendere che la crisi tocchi tutti allo stesso modo, poveri e ricchi e che il privilegio riguardi unicamente il ceto politico e istituzionale. Sappiamo invece che la crisi è servita a produrre un gigantesco spostamento di ricchezza a favore dei più ricchi. Ricchi che con la crisi hanno fatto enormi affari, imponendo una lettura dei dati economici a loro conveniente. Questo attacco di classe è stato facilitato dalla totale mancanza di qualsiasi denuncia sulla natura di classe della crisi e sull’uso che se ne è fatto. Del fatto cioè che se molti con la crisi hanno pagato sia in termini economici che di diritti e libertà, altri si sono serviti di essa per arricchirsi di più e aumentare il proprio potere politico e sociale. La speculazione capitalista e finanziaria nazionale e internazionale, messa in atto da chi detiene capitali e banche, è riuscita a imporre i propri interessi a tutti. Interessi che determinano la vita e la morte di aree nazionali e di interi popoli (vedi la Grecia e Cipro, per il momento). Alle visioni economiche, monetarie e di speculazione finanziaria non si è contrapposta alcuna visione alternativa e diversa su basi di classe. Le lotte, pur giuste contro l’abolizione dell’art. 18, se non inquadrate in un’analisi di classe sono incomprensibili. Quello che è successo a questo proposito sarebbe dipeso solo dalla “cattiveria” di una ministra piagnucolosa e non da un padronato prepotente e arrogante che così riprende saldamente il comando nei posti di lavoro e può finalmente liberarsi o minacciare di farlo dei lavoratori più combattivi che pretendono i loro diritti, dei malati, degli invalidi, delle donne in maternità, ecc. Nessuno mette in discussione il capitalismo e le forme sociali a esso connesse. A partire da quelle formazioni politiche che continuano a definirsi comuniste. Le comuni enciclopedie alla parola comunismo danno questo significato: “insieme di dottrine e movimenti politici le cui basi sono la parità civile e sociale, l'abolizione della proprietà privata, la comunanza dei mezzi di produzione. Condizione unica e indispensabile per l’ottenimento di parità civile e sociale, per un comunista, è l’abolizione della proprietà privata e dei mezzi di produzione”. Sono nate e si sono moltiplicate formazioni “comuniste” che hanno abbandonato ogni riferimento o analisi scientifica di classe sui processi in atto. Hanno più o meno volutamente confuso i ruoli e le responsabilità e impedito la nascita di una coscienza di classe fra i discriminati disorientandoli perché hanno cancellato col loro agire il metodo di analisi e di lettura dei processi economici e sociali su base di classe. Esse, pur rivendicando la matrice comunista hanno dimenticato, rinunciato o addirittura rinnegato l’opzione economica a essa collegata: La socializzazione dei mezzi di produzione. Esse sono responsabili del disorientamento e della confusione e hanno contribuito all’arretramento economico e sociale proprio dei discriminati. La conseguenza di questa impostazione è stata la disgregazione sociale e di classe dei discriminati cui non è rimasto altro che affidarsi a movimenti di protesta generici o, peggio, accettare il mercato come unica forma sociale possibile. Altro risultato è stato il crescente scollamento e consenso dei comunisti dai discriminati e la quasi totale scomparsa dei comunisti dallo scenario politico italiano. La socializzazione dei mezzi di produzione è un principio che si può condividere o no. Se si condivide, si è comunisti altrimenti no. Non si tratta di un approccio ideologico o dogmatico. Si tratta invece di chiamare le cose con il loro vero nome. Del resto la stessa cosa avviene per chi si colloca nel campo del mercato e del capitale. Costui è liberale, non vede discriminazioni su basi sociali e di classe per questo motivo non può essere favorevole alla socializzazione dei mezzi di produzione. Si può essere comunisti senza mettere in discussione la proprietà dei mezzi di produzione? E’ quanto avvenuto però negli ultimi decenni. Tanti partiti o personaggi politici hanno fatto fortune politiche e carriere istituzionali, usurpando l’appellativo di comunista. Essi si sono appropriati di questo termine svuotandolo di tutti i suoi contenuti. Avere chiaro quali errori sono stati commessi serve per individuare la strada da intraprendere per tentare di ricominciare il cammino e lottare con forza e determinazione per costruire una realtà di liberi e uguali.