lunedì 25 luglio 2011

Liberi speculatori

Rating, spread, default, mercati, competitività, borsa, speculazione finanziaria, debito pubblico, sono termini di cui sentiamo sempre più spesso parlare. Pochi conoscono il loro esatto significato.
Abbiamo tutti imparato però a nostre spese, che ogni volta se ne sente parlare arrivano tasse, tagli alla spesa pubblica, ai servizi, alla sanità, alla scuola, stipendi e pensioni, diritti sociali, uniti a un peggioramento delle condizioni di lavoro e disoccupazione.
Quando gli indici economici sono negativi, quando Piazza Affari "perde", i giornali e la tv danno enorme risalto alla notizia diffondendo ansia e angoscia. Se poi una delle agenzie che realizzano (Moody’s o Standar & Poor’s) ricerche finanziarie e analisi su titoli azionari e obbligazioni modifica in peggio il rating del Paese, arriva il panico. Quando gli indici economici sono negativi, (sempre) si crea nell’opinione pubblica una situazione da psicodramma. Non sono contestati i dati negativi. Non è contestata l’azione speculativa di chi, per proprio esclusivo vantaggio e guadagno è insensibile ai richiami patriottici (il denaro non ha nazionalità) e vince, incamerando privatamente una valanga di denaro, mentre quando perde a pagare è la collettività (ovvero i cittadini) non lui.
Il mercato, la speculazione e la competitività sono diventati i nuovi totem, la nuova dogmatica ideologia. Sono la “nuova” variabile indipendente, cui condizionare tutto il resto: occupazione, salari, diritti civili e sociali, servizi.
Se gli indici economici sono negativi, non è ricercato chi o coloro che, con azioni predatorie, costringe alla fame nazioni e popoli, tutt’altro. La speculazione e tutte le sue conseguenze negative sono considerati possibili e quindi legittimi, poco importa se produrranno lacrime e sangue per i redditi fissi e i disoccupati.
Quando gli indici economici sono negativi, il Presidente della Repubblica, il Governo, i partiti (tutti), la Confindustria e il sindacato cominciano a parlare di Patria e coesione nazionale, di politica di rigore e di sacrifici. Sacrifici che non faranno gli speculatori, né chi durante tutti questi anni ha continuato ad arricchirsi mentre tutti gli altri s’impoverivano. Personaggi che anzi potranno continuare tranquillamente a speculare. Non ci sarà alcuna forza dell’ordine che li perseguiterà o arresterà per le sofferenze che procureranno, per la semplice ragione che non esiste alcuna legge che vieti la speculazione. Ci mancherebbe altro. E’ il mercato bellezza. La legge e le leggi nostrane antepongono al diritto collettivo, a un’esistenza dignitosa e libera, il diritto privato all’arricchimento sfrenato, senza limiti, a qualunque costo.
Quando gli indici economici sono negativi (anche quando non lo sono, in realtà), gli speculatori possono continuare tranquillamente a esportare clandestinamente capitali all’estero e a ripulirli con lo scudo fiscale al cinque per cento (tanto saranno i salari a essere tartassati, togliendo perfino i trattamenti di famiglia); possono trasferire o de localizzare le loro aziende in altri paesi e licenziare i lavoratori; possono guadagnare utili o profitti senza limite alcuno, congelare stipendi e pensioni e costringere alla precarietà intere generazioni di lavoratori; possono incamerare stock option per milioni di euro annuali e fare new company tagliando pause e diritti; possono andare in pensione dopo soli due anni e mezzo se parlamentari e obbligare i cittadini a non andarci mai, o dopo quarantuno anni di lavoro; possono curarsi all’estero, avendone le risorse (a partire dai massimi rappresentanti del governo e del padronato) e costringere invece i cittadini a reddito fisso ad accontentarsi della chiusura di ospedali o di pagare ulteriori ticket per le prestazioni sanitarie (stesso discorso per la scuola).
Tutto ciò può tranquillamente continuare e non essere messo in discussione, fa parte della libertà (?). Agli speculatori non è chiesta alcuna coesione nazionale.
La coesione nazionale viene richiesta ai lavoratori, pensionati e precari per convincerli a rinunciare patriotticamente ai loro salari e pensioni, ai loro diritti e servizi in nome della libertà (per chi?) e della democrazia. Quale democrazia e quale libertà? Non certo quelle di chi ha sempre pagato. E sa che continuerà a pagare sempre di più.

lunedì 11 luglio 2011

Coesione, oggi più che mai (?)

E’ quanto ha affermato il Presidente della Repubblica davanti ai dati “preoccupanti” (per chi?) riguardanti l’andamento dei mercati finanziari. Ha solidarizzato subito la responsabile e patriottica presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, che ha sostenuto testualmente: ” "In un momento difficile come questo, dove tutti i Paesi europei, e anche l'Italia, sono chiamati a gestire situazioni complesse anche per le turbolenze dei mercati finanziari, credo sia opportuno riunirsi intorno ai simboli del nostro Paese e lavorare tutti assieme nella stessa direzione per difenderlo e costruire un futuro migliore per i nostri figli". Al coro di afflato nazionale si aggiunge in ultimo Bersani, segretario del Partito democratico, che rilancia: "Siamo di fronte a passaggi delicati che devono consigliare serietà e il rifiuto delle speculazioni. Invita la Ue e il governo italiano a occuparsi di crescita e lavoro, per un messaggio di solidità ai mercati. La manovra? Alla nostra disponibilità a collaborare il governo non risponde mai con i fatti".
Il quadro è completo, i nostri nazional-rappresentanti, ognuno per le sue responsabilità, chiamano il popolo italiano a lavorare tutto assieme e tutto unito in un medesimo destino e condizione, nella stessa direzione, per salvare il Paese e costruire un futuro migliore per i nostri figli.
I figli di chi? Dei capitalisti nostrani, forse, che non solo non hanno sentito alcuna crisi, ma anzi hanno continuato ad accumulare ricchezza proprio mentre impoverivano i redditi fissi e precarizzavano i giovani, derubandoli del loro futuro e depredandoli della libertà. O ancora delocalizzando aziende per risparmiare sui salari approfittando sulla fame di lavoro. Cancellando, grazie a sindacati compiacenti, diritti di civiltà e libertà consolidati costati lacrime e sangue.
Quale destino comune hanno dunque da spartire i loro figli con quelli degli operai, impiegati, pensionati, disoccupati e sottoccupati?
Oppure i figli dei parlamentari italiani che continuano, anche loro, a godere di trattamenti e privilegi scandalosi, che si guardano bene dal ridimensionare mentre, con le varie manovre economiche, tagliano a tutti gli altri cittadini pensioni, impongono tasse e ticket, chiudono ospedali da una parte e concedono scudi fiscali o si confezionano leggi su misura dall'altra?
Di quale Paese parlano? Di un paese dove continuano da sempre a convivere il privilegio e la discriminazione sociale, la ricchezza più sfrontata e la fame più nera, il lusso e il lavoro precario o la disoccupazione. E’ per salvare questo Paese che si chiamano a raccolta indifferentemente tutti a prescindere dalla collocazione sociale e dal proprio stato economico?
Qual è allora il senso di questi poco credibili e accorati appelli? Quello di costruire una linea di condotta comune tra maggioranza e “opposizione” parlamentare, padronato e sindacati concertativi, istituzioni e popolo che, senza intaccare il privilegio della loro condizione, faccia digerire ai cittadini una “nuova politica di rigore” (a senso unico) nuovi sacrifici, nuove tasse, nuovi tagli allo stato sociale e nuove politiche sindacali, più compatibili ancora con l’interesse superiore del Paese.
Di quale Paese? Il loro.