mercoledì 31 ottobre 2012

Serve votare?

Le elezioni siciliane confermano la costante crescita della disaffezione che i cittadini italiani hanno verso la politica e le forme di “partecipazione popolare” perché non se ne servono nella maggior parte dei casi. Questa tendenza alla crescita dell’astensione è iniziata circa venti anni fa, ed è coincisa con la campagna politica sulla cosiddetta caduta delle ideologie. Essa è stata certificata a partire dalle elezioni dei primi anni ’90 effettuate con il nuovo sistema elettorale di tipo maggioritario. La caduta del muro di Berlino e dei sistemi dei paesi del cosiddetto socialismo reale furono il pretesto per negare la validità e la necessità del confronto, politico ed elettorale, su grandi progetti utopici e alternativi essendo, così fu sostenuto, falliti tutti con la sola esclusione del liberismo. Il sistema maggioritario e la personalizzazione della politica, a questo punto hanno sostituito il confronto e lo scontro delle idee e dei progetti. Assegnando tutti i difetti dell’ideologismo solo al marxismo. Il liberismo diventa l’ideologia dominante incontrastata cui tutti i partiti, anche quelli che continuano a dichiararsi di sinistra, fanno riferimento e si adeguano. Da questo punto in poi l’elettore ha solo la possibilità di scegliere fra due o più candidati, di partiti diversi ma tutti ispirati al liberismo. Rimane la solo la scelta sul possesso presunto o meno della dote dell’onestà di cui i vari candidati e partiti rivendicano l’esclusiva. Poco importa se a sostenere ciò è un sistema politico screditato e compromesso. La cronaca di tutti i giorni dimostra che il tasso di onestà è crollato perché tutti i partiti presenti in Parlamento, chi più chi meno, sono coinvolti e travolti da scandali e forme di corruzione. A far tracollare la partecipazione è stato però un altro grave fenomeno: La vanificazione non solo sostanziale ma anche formale dei pronunciamenti elettorali. Ciò a partire dai referendum. 1) Referendum sulla localizzazione delle centrali nucleari (8-9 novembre 1987, vinsero i sì con l’80,6%); 2) referendum sul finanziamento pubblico ai partiti e dei ministeri dell’agricoltura e turismo e spettacolo (18- 19 aprile 1993 vinse il si con il70,2 e 802,3%); 3) Referendum sull’abrogazione della norma che impedisce la liberalizzazione degli orari nel commercio (11 giugno 1995 vinse il no con il 62,5%); 4) Affidamento della gestione di servizi pubblici locali di rilevanza economica (privatizzazione dell’acqua bene comune 12 e 13 giugno 2011, il si raggiunse il 95,35%); 5) Di nuovo abrogazione norme che consentono la produzione nel territorio nazionale di energia nucleare (12 e 13 giugno 2011, il si ottenne il 94,05%). Degli esiti di questi pronunciamenti referendari non si è tenuto conto alcuno. Nonostante due referendum ancora, si sta tentando il nucleare in Italia, il finanziamento pubblico ai partiti è stato sostituito dal rimborso elettorale, i ministeri hanno solo cambiato nome e la privatizzazione dei servizi e dell’acqua è tuttora in cantiere e in attesa di tempi più propizi. Il dato più indicativo però è che tutti i partiti che hanno governato in questi ultimi venti anni, sia di centrodestra sia di centrosinistra, hanno legiferato a prescindere dal mandato richiesto agli elettori. Essi hanno cancellato o stravolto leggi e diritti fondamentali frutto di anni di lotte e sacrifici, senza averne nemmeno richiesto il mandato. Stesso discorso per il governo “tecnico” che, anch’esso, senza alcun mandato ha scardinato e contro riformato le conquiste dei lavoratori e assestato un colpo mortale allo stato sociale intero. Nessuno fra i partiti presenti in parlamento, tantomeno Monti che nemmeno è stato eletto, ha chiesto e ne ottenuto voti per cancellare le pensioni di anzianità o il sistema di calcolo delle pensioni, l’aggancio al costo della vita o, tantomeno l’elevazione dell’età pensionabile; Nessun partito è stato autorizzato dagli elettori a privatizzare scuola e sanità pubblica; Nessun partito ha chiesto e ottenuto un mandato per precarizzare i rapporti di lavoro, né per tartassare i redditi fissi e graziare tutti gli altri; Nessuno ha chiesto il consenso elettorale per mantenere le cosiddette “missioni militari di pace”. In questi giorni Bersani saluta il risultato siciliano con un roboante: ” Vi do una bella notizia, abbiamo vinto in Sicilia. Cose da pazzi”, poi ha aggiunto: ”È la prima volta dal dopoguerra che c'è la possibilità di una svolta vera” e in merito alla politica generale ha finito: ”però preservando sempre quelle linee di rigore e di credibilità che Monti ha portato. Questo lo garantiremo”. Il Partito Democratico ha ottenuto insieme all'Unione di Centro di Casini e Toto Cuffaro il 30,5% dei voti di chi si è recato alle urne in Sicilia, cioè il 47,42% degli aventi diritto. Il 30,5% del 47,42% corrisponde al 14,46% (Pd + Udc) del totale dei votanti. Bella rivoluzione. Nonostante un consenso così esiguo se non minimale si sente autorizzato a giurare fedeltà eterna alla linea di “rigore” del Governo Monti e a “governare” la Sicilia. Bel concetto di democrazia. Questo per fare alcuni esempi. I vari governi succedutisi in questi anni, di centrosinistra, centrodestra o i “tecnici” hanno operato, sulle questioni fondamentali autoritariamente e senza un mandato, anche perché erano coscienti che se lo avessero chiesto all’elettorato non l’avrebbero ottenuto. Ciò non ha impedito a Monti e a questi partiti “democratici” di “lavorare per salvare l’Italia”, e operare pressoché indisturbati la più gigantesca redistribuzione del reddito e della ricchezza a favore dei ricchi e a danno dei ceti popolari. Non ha impedito loro, inoltre, di cancellare col diritto del lavoro quello a un reddito, perlomeno a un reddito dignitoso, a una crescente fascia di cittadini e in particolare ai giovani. Se ai partiti non serve la legittimazione di un mandato elettorale a cosa serve votare? In questo caso quali sono i soggetti che decidono? Le banche e i centri del potere economico. Una domanda, però, va posta a questo punto: Come mai i comunisti, davanti a questo massacro sociale classista, non riescono a essere individuati come oppositori alla linea liberista montante delle banche e del padronato e strumento di difesa sociale? Perché non riescono a coagulare il crescente malcontento di chi subisce le conseguenze della crisi? Perché questo malessere non si trasforma in consenso anche elettorale e i cittadini non votano le loro liste preferendo rinunciare al voto? La causa di tutto ciò è da ricercarsi nel fatto che i comunisti e le loro organizzazioni o non sono percepiti come alternativi al sistema, ma parte di esso, peraltro, grazie anche alla campagna martellante dei mass media, sono considerati superati o residuali. Questo perché, nonostante la presenza dei comunisti e di partiti e organizzazioni che tali si dichiarano, non si affermano ne il loro metodo di analisi, ne di interpretazione della società e dei rapporti economici e di classe. Non è chiarito cioè se la politica del “rigore” di Monti serve o meno a “salvare l’Italia?” tutta l’Italia o quale parte di essa? La risposta che i comunisti possono dare deve essere basata sulla analisi degli interessi in campo e sulla conseguente denuncia degli interessi delle banche e dei padroni, che non hanno nulla a che vedere con quelli dei lavoratori, perché la crisi non tocca tutti ma affama i lavoratori e arricchisce padroni e banche. Essere quindi alternativi al sistema liberista in maniera chiara, ripartendo da analisi e da iniziative poggiate su una forte e percepibile base classista di denuncia e di lotta alle ingiustizie sociali a difesa dei diritti e degli interessi dei lavoratori e dei discriminati. Non fare questo significherebbe rendere inutile il ruolo dei comunisti e delle loro organizzazioni e la loro stessa esistenza. E’ l’assenza di un’impostazione di classe chiara e percepibile a livello di massa, infatti, a determinare lo stato di disorientamento e rassegnazione dei discriminati e a non permettere loro di individuare nei comunisti e nelle loro organizzazioni gli strumenti di cambiamento e di riscossa, costringendoli a preferire il qualunquismo e il non voto, con grande gioia dell’avversario di classe. E’ questo l’unico modo che hanno i comunisti per combattere la politica antipopolare e classista del governo, dei padroni, delle banche e dei loro lacchè politici, denunciando l’inconciliabilità degli interessi in campo e opponendo agli interessi dei padroni quelli dei diseredati, degli oppressi e dei discriminati.

domenica 14 ottobre 2012

I “tecnici” contro i lavoratori

La situazione politica in Italia sembra ferma. I partiti presenti in Parlamento sembrano impegnati solo a contrabbandare la propria onestà e a denunciare l’altrui disonestà o a giurare la propria fedeltà al Governo Monti e alle sue “riforme”. Riforme che dicono indispensabili a “salvare l’Italia”, nel tentativo di conquistare nonostante tutto consensi dai cittadini e di accreditarsi come i migliori esecutori della politica economica voluta dalle banche e dai finanzieri. In realtà la situazione si evolve rapidamente attorno alla politica neoliberista dei “tecnici” e se apparentemente “la politica” si occupa di screditare ulteriormente i partiti italiani, in realtà mira a tutt’altro. I recenti odiosi scandali politici e il pretesto di ridurre le spese (la democrazia è un lusso che non ci possiamo più permettere) agevolati dal rigetto generale dei cittadini verso i partiti, consentono, in questi giorni, l’opera di demolizione dell’impianto amministrativo decentrato dello Stato, allontanando le istituzioni con i luoghi di decisione dai cittadini e riducendo ancora le residue forme di partecipazione alla vita amministrativa. Stravolgere regole e prassi consolidate non è una novità. Lo stesso governo Monti è stato nominato, i suoi programmi e le sue “riforme” non hanno alcun mandato elettorale. Questo non ha impedito di modificare leggi fondamentali a prescindere da qualsiasi mandato popolare nel merito, ma solo in base a presunti costi contabili e grazie a un’opinione pubblica disgustata da tante ruberie e quindi indifferente. Per il decentramento amministrativo, come per la presunta “riforma elettorale” sta avvenendo quello che è accaduto per la “riforma previdenziale” e per la “riforma del mercato del lavoro”. Leggi e regole di civiltà sono state affrontate e demolite solo in base alla logica dei conti, del rigore e dell’austerity a senso unico. La loro cancellazione autoritaria è avvenuta con la collaborazione fattiva anche dell’ex opposizione. Queste “operazioni politico-economiche” per “salvare” l’Italia stanno avvenendo senza alcuna partecipazione e coinvolgimento degli interessati. A un governo di tecnici nominato da partiti, che fingono di litigare fra loro e poi votano le stesse leggi antipopolari, fanno contorno sindacati ufficiali che, anche loro, fingono di contrastare la politica antipopolare in atto, mentre in realtà la agevolano e condannano i lavoratori a subire nei posti di lavoro e nel Paese mentre i padroni hanno mano libera. Il sindacato, da parte sua, ha assoggettato i lavoratori alle regole del mercato e della competitività capitalista, permettendo l’azzeramento dei loro diritti e delle loro libertà nei posti di lavoro e poi nella società, e quindi l’affermarsi della politica padronale. Siamo alla democrazia del mercato, della competitività e delle banche, alla democrazia di lor padroni che con la loro prepotenza fanno diventare legge quello che loro interessa e conviene. Quest’apparato padronale-finanziario-politico-sindacale che “tratta le masse come capre, tosando e macellando l’eccedenza”, nella sua arroganza, certo di non doverne mai rispondere, arriva nella sua tracotante sicurezza a deridere i discriminati. E’quello che sta avvenendo con la legge di stabilità, in base alla quale vogliono far credere di stare a diminuire le tasse mentre le aumentano e mentre tagliano ancora la sanità. Non contenti di tutto ciò, oggi continuano imperterriti nella loro politica autoritaria di restaurazione per imporre più agevolmente la loro democrazia e la loro politica elitaria. Stesso discorso merita il tentativo in atto da parte di Confindustria e soci che “propone”, naturalmente per salvare l’Italia, una trattativa sulla produttività (non sull’occupazione) con il solo scopo di aumentare i ritmi di lavoro, e con essi i profitti padronali attraverso un accresciuto sfruttamento della manodopera. Questo vuole dire, tanto per fare un esempio, che se un operaio della Fiat vuole continuare a lavorare deve accettare condizioni contrattuali uguali a quelle che l’azienda impone in Serbia: 320 euro al mese per 12 ore al giorno di lavoro e senza diritti. E la Fiat ha sempre tracciato la strada. Altro che datori di lavoro, sono invece prenditori di profitto e ladri di sudore. Se questo è il quadro (seppure sommario), non si può negare che siamo di fronte ad un tentativo neoautoritario, liberista, questo si di destra, che ha lo scopo di imporre una “uscita dalla crisi” sulla strada del liberismo quella che più conviene a lor signori che in crisi non sono mai stati. I padroni e i finanzieri hanno così campo libero per mettere definitivamente al centro della vita economica, politica e sindacale, l’azienda e i suoi interessi. Mente sapendo di mentire chi afferma che quella attuale è una politica di rigore che riguarda tutti. Mente perché il rigore è a senso unico, poi non riguarda tutti. Non riguarda i padroni e le banche che ricevono finanziamenti dalla Bce, dallo Stato, che de localizzano, che precarizzano, che cancellano contratti di lavoro e diritti dei lavoratori con il solo scopo di aumentare i propri profitti. Mente perché alla fase attuale di sacrifici, per i lavoratori, non seguirà un periodo migliore di sviluppo. Tutta la loro politica ha come obiettivo la riduzione delle libertà, dei diritti e dei salari di lavoratori e pensionati per affermare le libertà e i privilegi economici a finanzieri, speculatori e imprenditori. Si tratta della loro politica di classe, nella quale i voleri, i desideri e gli interessi del mercato e dei suoi sodali, sono contrabbandati per generali e di tutti. Va denunciata la natura classista di questa politica del Governo di tecnici e soci. Essi non sono super partes ma apertamente schierati a tutela degli interessi dei potenti e dei padroni. E’ su una forte base classista che va rilanciata l’iniziativa e la lotta per gli interessi dei lavoratori e dei discriminati. Interessi che sono alternativi a quelli delle banche e dei padroni. L’assenza di un’impostazione di classe, chiara, percepibile a livello di massa, determina lo stato di disorientamento e rassegnazione dei discriminati davanti a tutte le manovre in atto e rafforza l’opera dell’avversario di classe. Le forze veramente di sinistra devono interpretare con questo metodo la fase in atto e il malessere esistente. E’ questo l’unico modo per contrastare e battere l’attuale politica antipopolare cui non si è ancora potuta contrapporre una cosciente e adeguata iniziativa popolare di massa. Chi se non i comunisti può fare ciò?