Due episodi hanno evidenziato la violenza dello scontro sociale in atto in Italia. Al solito buonismo e alla solita ipocrita demagogia, che in genere assume chi è impegnato nell’opera di scaricare la crisi sui discriminati, negli ultimi due giorni si sono sostituiti atteggiamenti dettati da autentico livore e odio di classe.
Il primo episodio vede la Presidente di Confindustria Emma Marcegaglia affermare testualmente:
”Noi non vogliamo abolire l'articolo 18, il reintegro deve rimanere per i casi discriminatori (che evidentemente ci sono), ma vogliamo poter licenziare le persone che non fanno bene il loro mestiere”. Ha poi aggiunto rivolta ai sindacati: “Vorremmo avere un sindacato che non protegge assenteisti cronici, ladri e quelli che non fanno il loro lavoro”.
Il padronato italiano rivendica il potere di decidere insindacabilmente chi nelle aziende si macchia del crimine di assenteista cronico o chi, addirittura sia ladro, magari istituendo delle mini prigioni aziendali o ripristinando il metodo delle punizioni corporali.
La cosiddetta “riforma del mercato del lavoro”, per la Confindustria, che per l’occasione getta la maschera, a questo deve servire: Ripristinare il dominio e l’arbitrio assoluto del padrone anche nei posti di lavoro con più di quindici dipendenti. Non altro. Con buona pace di chi sta per perdere un lavoro o di chi un lavoro non ha e aveva qualche attesa nella trattativa.
Per ottenere lo scopo la Presidente degli industriali italiani individua i soggetti sociali da indicare al disprezzo dell’opinione pubblica: Sono i lavoratori che non lavorano e non fanno il loro dovere, si assentano e rubano. Sono loro i responsabili della crisi. Sono loro che non permettono alle ottime aziende di riprendersi e di assumere rilanciando l’economia del Paese.
L’attacco della Marcegaglia bruscamente interrompe il torpore buonista dell’interclassismo politico, sindacale e padronale e smentisce coloro che hanno attribuito alla Confindustria il ruolo di parte sociale. I padroni non sono buoni, sono padroni. Il loro fine è il profitto attraverso ogni mezzo e senza scrupoli, altro che storie.
Non hanno avuto scrupoli quei padroni che hanno costretto a lavorare in ambienti molto pericolosi e a morire migliaia di lavoratori (e le sentenze di questi giorni ce ne danno conto). Non hanno scrupoli i padroni che chiudono le loro fabbriche, pur produttive e in attivo e licenziano in Italia per trasferirsi in aree con manodopera a costi più bassi e più alti profitti. Non hanno scrupoli i padroni che precarizzano i propri dipendenti o assumono solo precari che derubano del presente e del futuro per guadagnare di più. Non hanno scrupoli nel licenziare per malattia o maternità o infortunio, nel discriminare o perseguitare secondo opinioni politiche o sindacali. Non hanno scrupoli nel dare tangenti a un sistema di politici asserviti, né a evadere le tasse o a fare e godere di insultanti scudi fiscali. Non hanno scrupoli a inquinare scaricando per risparmiare nell’ambiente i rifiuti tossici abusivamente. Non hanno scrupoli a imporre un sistema di sviluppo basato sui consumi più sfrenati e inutili. Non hanno scrupoli a imporre condizioni di lavoro insopportabili, togliere diritti, tagliare salari, cancellare dai posti di lavoro i sindacati più combattivi e licenziare i lavoratori più sindacalizzati.
Non hanno avuto scrupoli a pretendere, con la collaborazione di una sinistra che ha tradito, i tagli alle pensioni, gli insopportabili aumenti di tasse per i redditi fissi e l’azzeramento dello stato sociale.
I padroni pretendono di imporre sacrifici intollerabili ai lavoratori e al Paese mentre loro continuano ad aumentare i propri profitti e capitali cresciuti in maniera esponenziale a differenza dei redditi fissi che sono tracollati.
Oggi alcuni di essi si fanno anche belli agli occhi dell’opinione pubblica, pubblicando i propri redditi. Si tratta del secondo episodio.
Abbiamo appreso ufficialmente che siamo governati da paperoni. Nel 2011 i ministri “più poveri” dichiarano redditi di centinaia di migliaia di euro mentre i più ricchi sono ben oltre i dieci milioni di euro.
Sono proprio costoro, ricchi sfondati, che impongono la tassa sulla prima casa, che aumentano l’iva e le accise sulla benzina. Sono loro che costringono a restare a lavorare fino a 70 anni, con pensioni da fame. Sono loro che tagliano lo stato sociale e tolgono diritti e servizi. Sono loro che, da “tecnici” si sono arrogati arbitrariamente il ruolo di censori e di moralizzatori a differenza dei lavoratori spreconi che hanno provocato il debito pubblico e pretendono ancora trattamenti che lo Stato non può più permettere.
"Si deve dire che chi guadagna e paga le tasse non è un peccatore, e va guardato con benevolenza, non con invidia". E’ quanto ha detto, riprendendo uno degli slogan di un altro paperone milionario, il ministro della Giustizia Paola Severino rispondendo ai giornalisti che le ricordavano che il suo reddito dichiarato è il più alto fra quelli dei ministri. “Chi produce redditi in nero - ha aggiunto il ministro - deve essere considerato in termini negativi, ma chi guadagna e paga le tasse deve essere guardato positivamente”.
Questo è stato l’insulto più significativo. La Ministra paga le tasse, forse vuole una medaglia. Non s’interroga però sulla moralità dei suoi guadagni e delle sue ricchezze. Com’è possibile considerare giusto ed equo che esistano soggetti cui è possibile guadagnare in un anno cifre enormi, mentre ad altri non è permesso affatto guadagnare o guadagnare a sufficienza per vivere?
Perché chi ha trattamenti economici milionari invece di colpire chi può pagare, si accanisce contro i più deboli e discriminati? Qual è la morale? Quale l’etica?
Lo spiega la ministra Severino: Le differenze sociali e di classe.
Per tutti questi paperoni è morale che a pagare siano i pensionati a cui è giusto perfino togliere l’adeguamento della pensione da lavoro al costo della vita, per un importo di circa 29 euro mensili. Non sarebbe stato più giusto che a decidere i tagli e i sacrifici fossero stati non dei nababbi che non hanno problemi, ma cittadini privi di tali patrimoni?
Invece accade che solo i lavoratori, i pensionati e i disoccupati devono pagare e se protestano, per la loro condizione contro questi scandali economici, è perché sono mossi da invidia sociale e di classe.
Siamo davanti ad una classe arrogante, ricca e privilegiata che vuole imporre ai discriminati i suoi interessi e li vuole convincere che i disoccupati e gli affamati possono e debbono coesistere e convivere pacificamente e senza protestare con chi vive nel benessere come ricchi e nababbi onesti che, bontà loro pagano le tasse.
No, non si tratta di invidia di classe dei lavoratori, ma di superbia di classe di chi è ricco e capitalista.
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