Il dado è tratto e la “riforma” del mercato del lavoro è cosa fatta. Un governo composto da pasdaran del mercato e delle liberalizzazioni, coadiuvato dal padronato e da sindacati più realisti del re, cancella con un atto di forza l’ultimo strumento di libertà per i lavoratori, l’art. 18, che imponendo l’obbligo della riassunzione alle aziende, in caso di licenziamento operato senza giusta causa, permette ai lavoratori, nei posti di lavoro, di difendere i loro diritti senza il ricatto del licenziamento.
Marchionne e la Fiat, dopo aver negato ai tre delegati Fiom il ritorno al loro posto di lavoro, nonostante la sentenza della magistratura, salteranno di gioia. Hanno fatto scuola e tracciato la strada.
Quanto deciso dal Governo sulla spinta del padronato più arretrato e becero e dalle parti sociali, compresa la Confindustria, ma senza la Cgil, da la libertà al padrone di licenziare a suo piacimento, salvo poi un misero ed umiliante indennizzo.
Questo premia l’arroganza padronale e cancella il diritto calpestato di chi lavora e consentirà alle aziende di liberarsi comunque del personale scomodo (chi pretende i propri diritti, chi sciopera o aderisce a sindacati non graditi, chi si ammala, chi va in gravidanza, ecc.) con il pretesto di motivi economici, che ogni imprenditore potrà facilmente accampare, senza alcuna possibilità reale di controllo. La reintegra ci sarà nel solo caso in cui l’imprenditore dovesse dichiarare che licenzia una persona perché è nera o comunista o iscritta al sindacato. Cioè mai.
L’art. 18, dopo la cura Monti- Fornero, con la cancellazione dell’obbligo del reintegro toglie a chi lavora ogni tutela e lo piega alla volontà e all’interesse del padrone privandolo di ogni residua libertà.
Quanto successo è stato possibile dalla ritrovata aggressività del padronato ma soprattutto dal tradimento di quelle forze politiche e sindacali che hanno abbandonato l’obiettivo dell’emancipazione del lavoro dallo sfruttamento e dal profitto, e hanno fatto propri il liberismo, le compatibilità e il mercato.
I lavoratori si sono trovati, a seguito di ciò, senza rappresentanza in Parlamento e senza tutela sindacale e ne pagano le conseguenze.
La Cgil negli ultimi venti-trenta anni, dopo aver abbandonato la sua linea di classe in difesa dei lavoratori, ha sostenuto in prima persona, sottoscrivendo accordi, le ragioni delle imprese ed ha legato agli interessi del libero mercato e delle compatibilità capitaliste i diritti, l’occupazione, i salari, le condizioni di lavoro e lo stato sociale. Altre volte non ha sottoscritto furbescamente accordi. L’hanno fatto al posto suo Cisl e Uil con il successivo tacito e strumentale accodamento della Cgil.
Tutto questo è successo in più occasioni. I risultati li conosciamo: I lavoratori italiani hanno i salari più bassi d’Europa, la disoccupazione più alta, il sistema pensionistico più punitivo e sono colpiti dal più pesante carico fiscale del continente.
Di chi è la responsabilità di questo arretramento? Del padronato certo. Soprattutto però di un sindacato che ha mancato al suo ruolo anzi, che ha facilitato il processo facendo proprie le logiche di mercato delle aziende.
Quanto successo con l’ultima “riforma” delle pensioni lo chiarisce fin troppo.
Davanti alla prepotenza del Governo dei tecnici e dei miliardari che, con la manovra economica di fine anno, ha colpito lavoratori e pensionati e salvato i ricchi, il gruppo dirigente della Cgil ha in un primo tempo proclamato uno sciopero generale di … tre ore, preoccupato di una possibile protesta spontanea di massa dei lavoratori, da governare e imbrigliare. Siccome poi la protesta non c’è stata, la partita pensioni è stata chiusa in tutta fretta.
Oggi il gruppo dirigente della Cgil, quello che il 23 marzo 2002 organizzò la più grande manifestazione mai tenuta in Italia, contro la manomissione dell’art. 18, si trova nelle stesse condizioni in cui era per le pensioni, quella di non poter cioè approvare ma nemmeno contrastare l’operato del Governo, grazie anche al ruolo certamente non super partes svolto dal Presidente della Repubblica, l’ex comunista (?) Napolitano.
Solo una risposta largamente di massa alle iniziative di lotta che saranno fissate costringerà la Cgil e, con essa il Pd, ad agire veramente contro l’abolizione dell’art. 18: Entrambi sono ansiosi di collaborare col Governo Monti a salvare l’Italia dei ricchi, ma nello stesso tempo sono preoccupati di non perdere il consenso, soprattutto elettorale, dei lavoratori italiani dei quali senza meritarlo pretendono ancora la rappresentanza politica e sindacale.
mercoledì 21 marzo 2012
Il governo di “tecnici” liberali e miliardari, dopo le pensioni demolisce le residue libertà dei lavoratori
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