La crisi è un fenomeno economico e sociale col quale i cittadini si confrontano quotidianamente. In particolare quei cittadini che hanno redditi fissi (non considerando coloro che si trovano in condizioni addirittura peggiori, come i disoccupati e i precari) e che devono fare i conti con il fisco italiano, tra i più esosi nel panorama europeo. A questo fa riscontro un sistema di servizi pubblici perennemente insufficiente, sia sul piano qualitativo sia quantitativo.
Il fisco grava prevalentemente su stipendi e pensioni, mentre agli altri redditi (d’impresa e di capitale) è permessa una sostanziale condizione di evasione fiscale (legalizzata?). Il rapporto annuale della Guardia di finanza ha verificato che nel corso del 2010 i cittadini italiani non hanno dichiarato al fisco redditi per cinquanta miliardi di euro, somma cresciuta del 46 per cento rispetto l’anno precedente. Sono stati scoperti inoltre 8.850 evasori totali (più 18 per cento rispetto al 2009).
L’evasione dei cinquanta miliardi riguarda il mancato pagamento di Iva (imposta sul valore aggiunto) e Irap (imposta regionale sulle attività produttive). Tasse cioè che competono in gran parte ai ricchi e al padronato, perché i redditi fissi non possono evadere grazie al sostituto d’imposta. Il quadro è completato dal dato concernente la ripartizione della ricchezza nazionale che per il 50 per cento circa è concentrata nelle mani del 10 per cento della popolazione.
Questi dati parlano da soli. Davanti a tutto questo, anche in relazione a quanto previsto dall’articolo 53 della Costituzione ("tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva"), ci sarebbe da aspettarsi un qualche provvedimento che correggesse l’iniqua situazione esistente. Il presidente del Consiglio invece, uno degli uomini più ricchi del mondo, le cui entrate superano milioni di volte quelle di un operaio, ci fa sapere che lui e quelli come lui è bene che non paghino le tasse nell’interesse stesso dell’Italia e degli italiani e l’istituzione di una patrimoniale "sarebbe la via più breve per deprimere gli investimenti, mettere in fuga i capitali (anche se si può sempre rifare uno scudo fiscale), impedire le riforme, riaccendere la corsa alla spesa pubblica improduttiva e alla creazione di nuovo debito". Anzi, aggiunge l’interessato miliardario "se il Partito democratico e il Terzo polo si lasciassero lusingare da questa cultura old fashion, si impiccherebbero all’eterno ritorno all’antico, e metterebbero in luce vecchiume e paralisi intellettuale e strategica". Gli fa eco il “moderno e svecchiato” Bersani, segretario del Pd e capo “dell’opposizione parlamentare” che controbatte (si fa per dire) “noi siamo contro la patrimoniale, Berlusconi dice qualche bugia, lui sta mettendo una patrimoniale nelle norme sul federalismo e le sta mettendo sulle piccole imprese”.
Un bel capolavoro, si accusano reciprocamente e pubblicamente, per accattivarsi i favori dei possessori di patrimoni, di voler fare ciò che nessuno dei due vuole fare. Tutto ciò con buona pace dei tanti poveri cittadini costretti a finanziare con i loro magri redditi fissi un sistema che ancora una volta si dimostra per quello che è: forte con i deboli e debole con i forti (classista?). Tutti i partiti in Parlamento si preoccupano di difendere i ricchi e i padroni e nessuno si occupa degli altri cittadini e delle loro necessità.
Gli stipendi e le pensioni sono le uniche “ricchezze” da spremere e tartassare, grazie alla politica discriminatoria e di classe che all’unisono e in perfetta sintonia, maggioranza e “opposizione” portano avanti da sempre in barba al fumo e alle chiacchiere che ogni giorno producono per imbonire il popolo caprone e credulone, che va addormentato e che invece della patrimoniale e dell’equità fiscale si deve preoccupare di minorenni ed escort. Evviva la libertà, evviva la democrazia, evviva l’uguaglianza e la possibilità di scelta democratica dei cittadini.
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