Se non ora, quando? E’ stato lo slogan più ripetuto durante le manifestazioni che le donne hanno tenuto in 230 piazze il 13 febbraio. Quest’affermazione racchiude buona parte delle contraddizioni che hanno permesso e continuano a permettere la permanenza dell’attuale quadro politico e del potere berlusconiano.
Le mortificanti e intollerabili vicende che vedono protagonista il presidente del Consiglio e le sue discusse frequentazioni determinerebbero l’improcrastinabilità della rivolta delle donne contro di lui. Berlusconi è ormai anche icona di un senso comune maschilista e di una reazione patriarcale diffusa, forma nuova del dominio maschile, giudicato autoritario se non violento. Un "dominio che ingloba anche i corpi delle donne nell’onnivoro processo di mercificazione e li imprigiona nei flussi della video-comunicazione". E’ quanto affermato in alcuni volantini realizzati e distribuiti per l’occasione. Questi slogan hanno costituito il motore organizzativo e propagandistico della “nuova rivolta” delle donne contro Berlusconi e il maschilismo che costui rappresenterebbe egregiamente. Le donne di tutte le opinioni politiche (destra e sinistra), laiche e religiose ma soprattutto di ogni condizione sociale (dalla Marcegaglia all’ultima disoccupata o precaria) hanno così regalato all’imperatore l’onere e l’onore di rappresentare l’altro sesso (tutti gli uomini), colpevole indistintamente di discriminazione: un obiettivo contro di cui combattere unite (tutte le donne). I comportamenti di Berlusconi diventano così simbolo di un dominio indistinto dei maschi (nell'unico calderone di una società liberista che premia solo un sesso, sempre e comunque) contro i quali, anche per i recenti fatti di cronaca, ora è il momento di reagire.
Tutto ciò è non solo aberrante, ma addirittura offensivo. Il modello culturale ed economico imposto dal berlusconismo trionfante si è imposto grazie alla presunta fine di altre culture e utopie date per morte e defunte, decretata anche dalla “moderna sinistra”, ansiosa di essere ammessa a corte. Tutto questo senza che fosse stato fatto e tentato nulla per sostituire nuove analisi e nuovi obiettivi, ma acquisendo in toto i modelli liberisti esistenti, mai messi realmente in discussione.
La caduta del muro di Berlino ha avuto il compito, oltre che di cancellare un potere burocratico che si era imposto sul popolo, di fornire il pretesto per cancellare il comunismo e con esso tutto il patrimonio di lotte e di conquiste dei lavoratori e dei discriminati e contemporaneamente delle donne, lotte che avevano consentito il miglioramento delle condizioni di queste ultime. Sono state dimenticate e cancellate le conquiste sociali e civili che le donne, con l’intero movimento operaio, avevano ottenuto a partire dalla Resistenza e dall’immediato dopoguerra. Il diritto di voto, il superamento del caporalato, l’abbattimento delle gabbie salariali (che determinava, su basi sessuali, salari diversi a parità di lavoro), il collocamento numerico (che consentiva l’assunzione su graduatoria di personale a prescindere dall’appartenenza di genere), le leggi a tutela della maternità, la legge sul divorzio, il nuovo diritto di famiglia, il sistema previdenziale pubblico, i servizi sociali, ecc. ecc. ecc. Conquiste rese possibili solo da donne e uomini, uniti dalla medesima condizione di discriminati, che hanno lottato fianco a fianco, condividendo gli stessi obiettivi e valori di uguaglianza e di progresso sociale, contro la realtà classista e il condizionamento religioso.
L’obiettivo del 13 febbraio è stato quello di unire una massa di persone scontente e indignate, in questo caso donne, ma di concentrare il malcontento sulle misere vicende che vedono implicate le massime cariche istituzionali. Ciò è avvenuto in base alla precisa scelta di non determinare una qualsiasi, seppur minima rottura, con l’attuale ideologia imperante, il liberismo e i suoi modelli culturali (con il sesso femminile spesso consenziente alla propria mercificazione). Questi prevedono la riduzione di tutto a merce da vendere o comprare (non solo il corpo femminile), con diritti fondamentali che possono essere modificati, stravolti e cancellati solo in base a convenienze di mercato e di soldi.
Non era dunque nelle intenzioni di chi ha organizzato le manifestazioni contestare il sistema liberista. Questo avrebbe determinato, infatti, una precisa connotazione di classe antiliberista e anticapitalista all’iniziativa. Il Partito democratico invece è tutto concentrato a costruire una “opposizione” parlamentare (che comprenda Casini, Fini, Rutelli e forse anche la Lega di Bossi) che determini la caduta del governo Berlusconi per le sue colpe personali, non mettendo minimamente in discussione i “valori” liberali dell’imperatore, che Bersani pretende di rappresentare in competizione e meglio del Pdl e che sono la causa, il pretesto e il fondamento culturale e ideologico dell’esistente.
Certamente vedere masse di persone che scendono in piazza contro il governo e il suo padrone ha rappresentato un momento positivo. Concentrare la giornata di lotta sugli aspetti sessuali ha però contribuito a perdere la bussola su chi e che cosa, oggi, determinano, non solo un’aggressione alla dignità femminile, ma a tutto il mondo del lavoro e a tutti i discriminati, con tutte le conseguenze che ciò comporta. Ben altre avrebbero dovuto essere le parole d’ordine al centro dell’iniziativa. A partire dalla lotta per l’occupazione e contro la precarizzazione del lavoro (perché la mancanza di risorse economiche rappresenta la condizione e la premessa per la subalternità e la discriminazione) o la lotta contro i ripetuti tagli allo stato sociale.
Il rischio concreto che si corre, anche per la spregiudicatezza dei soggetti in causa nell’utilizzare i meccanismi costituzionali stravolti dalle “riforme” che entrambi gli schieramenti hanno determinato, è che si cerchi di cambiare tutto per non cambiare nulla se non i soggetti seduti a tavola.
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