L’amministratore delegato della Fiat Marchionne ha lanciato l’ultimatum: o si raggiunge l’accordo sindacale o saremo costretti a trasferire la produzione della nuova Panda altrove (vettura già è in fabbricazione in Polonia).
Con quest’ultimatum la Fiat, fabbrica italiana automobili Torino, avverte che se non ci sarà disponibilità da parte del sindacato e dei lavoratori ad accettare deroghe al Contratto collettivo nazionale di lavoro dei metalmeccanici, per i lavoratori di Pomigliano si annunciano tempi duri. Giorgio Cremaschi, della segreteria nazionale Fiom afferma: “La Fiat sta usando la crisi a Pomigliano per distruggere il contratto nazionale di lavoro e per ritagliarsi un proprio contratto”. L’esponente delle tute blu Cgil prosegue: «Il Lingotto sta facendo una scelta politica mai vista”. Secondo Cremaschi “sarebbe inaccettabile modificare regole e diritti in vigore da 50 anni”.
In gioco sono, quindi, occupazione e diritti consolidati in tanti decenni di lotta dei lavoratori. Approfittando della situazione di crisi, che non tocca certo il padronato che anzi può realizzare i profitti in aree del mondo dove la manodopera è disponibile a buon mercato e senza pretese, l’Ad della Fiat sferra il proprio attacco (o ricatto?) A lui fa eco la presidente della Confindustria, che si dice non spaventata dal fatto che le donne, nella pubblica amministrazione, possano andare in pensione più in là nel tempo. E brava Marcegaglia, e bravi i padroni e bravi i capitalisti italiani! Nel mentre soffrono su barchette di venti metri esentasse sono così prodighi nel consigliare il governo e i cittadini su quali sacrifici e rinunce gli altri (i lavoratori) devono fare per consentire loro di trovare conveniente “investire e trarre profitto” in Italia. Essi si riservano, comunque la possibilità di andare altrove se il guadagno prospettato non è ritenuto soddisfacente: la disoccupazione non è affar loro. La coraggiosa Marcegaglia non si spaventa se le dipendenti pubbliche, ultime in ordine di tempo come obiettivo da colpire, siano costrette, in nome dell’interesse collettivo e patriottico, a lavorare fino a 65 anni. Proprio oggi la presidente di Confindustria ha avuto modo di dire all’assemblea di Federchimica: “Chi protesta contro questi tagli dice una cosa contro il Paese”. Indubbiamente si tratta di una bella coerenza: i lavoratori debbono accettare tagli e sacrifici senza protestare, mentre i suoi "colleghi" possono tranquillamente e prosaicamente anteporre all’amor patrio il tornaconto e il profitto personale (ignorando "moralmente", spesso, le tasse).
Perché si dovrebbero stare a sentire le trovate, sempre le stesse e sempre a senso unico, di questi "economisti disinteressati" capaci solo di indicare quello che gli altri debbono fare per “rilanciare l’azienda Italia”. La loro politica e quella del padronato è sempre la stessa, cioè quella del carciofo. A una a una si tolgono tutti i diritti ai lavoratori.
E il sindacato? Il segretario della Cgil afferma: ”Ci possono essere soluzioni se, però, si apriranno confronti con chi rappresenta il mondo del lavoro”. In parole povere siamo disposti a trattare e a concedere, basta che ci legittimiate facendoci sedere al tavolo della trattativa.
Bravi, non c’è che dire. Andate a trattare. Ma sulla base di quale mandato?
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