L’articolo 41 della Costituzione afferma: "L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali".
Il ministro dell'economia Giulio Tremonti dal G20 in Corea del Sud annuncia di voler modificare l’articolo 41 per favorire la libertà d'impresa. Inoltre venerdì una nota di Palazzo Chigi informava del lavoro congiunto del premier Silvio Berlusconi e di Tremonti per "un grande progetto di liberalizzazione delle attività economiche". Quanto affermato dai due membri del governo di centro-destra risponde appieno alle teorie liberiste. Tra i fondamenti c'è in primo luogo l'applicazione del principio del libero mercato. Chi sostiene tale idea è contrario all'intervento dello Stato, tanto più se questo è massiccio, nell'economia. Le principali politiche economiche liberiste sono legate alla liberalizzazione degli scambi di beni, di servizi e di capitali, quindi all’azzeramento di qualsiasi vincolo e al contenimento dell’imposizione fiscale e della spesa pubblica, nonché alla diminuzione delle leggi che regolano l'attività economica. La libertà è intesa in senso economico e si traduce in quella che si definisce "economia di mercato". Essa determina un sistema in cui tutte le attività produttive sono intraprese da privati possessori di beni che sono in concorrenza fra loro. I privati hanno come fine “l’utile, il guadagno, il profitto” e quindi il bene privato e personale dell’individuo. Con quest’obiettivo i liberisti vogliono agire senza restrizione alcuna e senza che lo Stato intervenga, se non a sostegno dell’iniziativa privata. Secondo l’utopia liberista, la società deve esaltare le capacità e la libertà dei singoli individui, possessori di beni, nel determinare il proprio destino economico e civile. Anzi la libertà, in materia economica, è determinante per stabilire la libertà politica. Ciò che conta è il mercato e l’individuo imprenditore che, con le proprie capacità, è in grado di competere con altri imprenditori concorrenti per soddisfare, nella maniera più redditizia possibile, le richieste di beni e servizi più rispondenti ai gusti dei consumatori. Per il liberismo la libertà non è per tutti gli individui, ma per quelli che possiedono beni che possono essere liberi di investire a proprio comodo e tornaconto. Il liberismo storicamente, nelle realtà nazionali improntate ai suoi principi, ha prodotto disuguaglianze e clamorose quanto ingiustificabili discriminazioni. Nella società liberiste convivono le ricchezze più sfrenate e le povertà più assolute e individui detentori di capitali enormi, che non hanno problemi di sussistenza, e altri privi dell'essenziale per vivere. Nella società liberista non esiste una “giustizia sociale” che riguardi tutti gli individui allo stesso modo, perché il profitto di pochi viene prima del diritto di tanti.
La società liberista non può, quindi, soddisfare il diritto di tutti allo stesso modo. Per questo ritiene giusto lasciare indietro la fetta di società più consistente: i non possessori di beni e capitali, i cui interessi e diritti sono sottoposti a quelli dei ricchi. In queste società, incentrate sull’accumulazione di ricchezze e di privilegi economici e politici nelle mani di pochi, si attua una democrazia ristretta nella quale a essere libero non è l’individuo in quanto tale, ma il mercato e l’individuo in quanto possessore. Quella improntata al liberismo è quindi una democrazia e una libertà non fra tutti gli individui ma circoscritta ai possessori di beni e capitali. A questa democrazia, quindi, non partecipano a pari titolo tutti gli individui perché essa prevede l’esclusione e l’emarginazione di chi non possiede. Per i liberisti non è importante l’utilità del bene che si va a produrre ma il profitto che se ne ricava. Il denaro viene usato come compenso del tempo impiegato a produrlo e come compenso per la libertà e il tempo cui il moderno schiavo salariato rinuncia per procurarsi di che vivere.
L’applicazione delle teorie liberiste ha portato all' esistenza contemporanea della ricchezza più sfrenata insieme alla contemporanea presenza della più nera miseria. La povertà, per i liberisti, diventa una colpa. Chi è povero lo è perché non è capace o all’altezza, perché altrimenti uscirebbe dal proprio stato. Chi è povero non ha voglia di lavorare oppure, semplicemente, appartiene a una casta (razza?) inferiore. Chi è ricco, invece, è una persona realizzata, capace. Il suo stile di vita e le sue idee sono da prendere come esempio.
L’applicazione delle teorie liberiste ha portato a concepire il lavoro, l’ambiente, le risorse naturali, la salute, la previdenza, la cultura, l’istruzione, l’informazione, lo sport, i servizi, non come beni di cui godere ugualmente e collettivamente, ma come strumenti di profitto da sfruttare. Tutto ciò non è per l'uomo e a sua misura, ma a servizio dell’accumulazione. E l’informazione, accentrata nelle mani di grossi possessori di capitali, è costantemente impegnata nel convincere che la società liberista sia la migliore possibile.
La ricerca del massimo tornaconto ha determinato, sia nei singoli paesi, che a livello mondiale, che i centri di potere effettivo siano diventati le banche e le organizzazioni economiche. Tutto ciò ha prodotto una discriminazione mondiale fra paesi “ricchi e democratici” (anche se con le loro contraddizioni sociali) e paesi poveri. La ricerca del massimo profitto ha causato nel tempo guerre, fame, malattie, sofferenze e distruzione dell’ambiente, perché il suo obiettivo non è far crescere tutta la collettività, ma il benessere economico dei “più capaci” a danno degli altri. Il liberismo è l'unica, vera, ideologia dominante nel mondo.
La volontà di riproporre teorie e ideologie liberiste attraverso la modifica dell’articolo 41 della Costituzione rappresenta esplicitamente la volontà di un governo di centro-destra, con la collaborazione “dell’opposizione” e di un padronato che vuole riportare l’Italia e i lavoratori a una condizione precedente al 1948. Quella di un Paese che usciva da venti anni di dittatura fascista e da una guerra mondiale nella quale il lavoro e i lavoratori erano privi delle più elementari libertà e diritti.
Il pericolo è grave. Si vogliono abbattere le regole fondanti la nostra convivenza tentando di stravolgere la Costituzione repubblicana. L’iniziativa economica privata potrà svolgersi, così, anche in aperto contrasto con l’utilità sociale e recare danni alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana. Più di quanto non avvenga ora. Una "democrazia" non basata sulle libertà dell’individuo, ma su quelle dell’impresa.
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Comprendo e condivido. Tuttavia mi sembra decisamente faziosa la reinterpretazione dei principi economici illustrata e ciò sminuisce notevolmente l'imparzialità della riflessione. Ogni uomo sarà sempre alla ricerca di qualcosa che lo esalti, come ad esempio la creazione di un proprio blog. Omero ne aveva già tracciato i contorni molti molti anni fa...
RispondiEliminaGiusta osservazione. Anche se crediamo che questo blog non sia nato per una volontà di esaltazione, ma per raccontare la realtà. E la realtà delle moderne società capitaliste, lungi dalla teoria della "mano invisibile" di Smith, sta producendo crisi, guerre, disuguaglianze e restrizioni delle libertà. Il pensiero dominante tuttavia nega ciò e non mette mai in discussione lo stato delle cose. Non credi che il vero pericolo sia la faziosità del potere?
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