giovedì 24 giugno 2010

Fratelli d’Italia

Il Centro studi della Confindustria (Csc) ha pubblicato uno studio sulla situazione macroeconomica del nostro Paese. Il giudizio che emerge dai dati (sempre secondo il Csc) è riassunto nelle seguenti valutazioni: l’Italia è fuori dalla recessione; il Pil (prodotto interno lordo) si attesterà a fine 2010 su un più 1,1 per cento e nel 2011 arriverà a più 1,6 per cento. Queste cifre positive sussistono nonostante l’impatto restrittivo (meno 0,4 per cento) dovuto agli effetti della manovra economica “correttiva” del Governo. A sostenere la crescita, prosegue il Csc, c’è il deprezzamento dell’euro che “migliora la competitività dei prezzi delle merci italiane”. In ultimo lo studio annota che in due anni (fino a tutto il 2009) si sono persi 528mila posti di lavoro.
La prima considerazione che si può fare su tutto ciò è la seguente: se il Pil cresce vuole dire che c’è una ripresa economica e le aziende producono, vendono e incassano; contemporaneamente, però, si verifica un calo nell’occupazione pari a più di 500mila lavoratori, calo che non sembra arrestarsi. Ciò sta a significare che i benefici di questa contingenza economica favorevole sono tradotti e lo saranno anche per il futuro solo in aumento dei guadagni e dei profitti imprenditoriali. Lavoratori, disoccupati e precari infatti non hanno avuto, proprio in base ai dati del Centro studi della Confindustria, alcun beneficio o miglioramento né in termini di occupazione (gli occupati sono calati) né in termini di aumenti salariali (vedi Pomigliano e il pubblico impiego grazie alle recenti decisioni assunte dal Governo con il blocco dei salari). Le aziende con meno occupati oltretutto hanno prodotto, venduto e incassato di più. Questo significa che si è verificato un aumento della “produttività” (o dello sfruttamento) per gli occupati che hanno lavorato anche per gli espulsi dai cicli produttivi.
La verità dei fatti ci dice che esistono due “sistemi Italia” i cui destini sono totalmente differenti: uno, quello imprenditoriale, i cui affari vanno avanti sempre, in crisi e non, che guadagna comunque e che cerca di imporre i propri interessi come vantaggio per tutti e come bene supremo della Nazione; l’altro “sistema Italia”, cui va sempre male, sia con dati economici positivi che negativi. Su quest’ultimo vengono scaricati tutti i costi della crisi: nella società sul piano dei diritti sociali ed economici e nel posto di lavoro col calo dei diritti normativi e salariali.
E questa Italia è tuttora in piena recessione.

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