lunedì 19 dicembre 2011

Il Partito Democratico si è tolto la maschera

Con il voto di fiducia sulla manovra del Governo Monti si è finito il percorso che, iniziato con la liquidazione del Partito Comunista Italiano, ha portato alla costituzione di una “nuova” maggioranza politica che include, oltre il Partito democratico, il terzo polo (ex fascisti compresi) fino al cosiddetto Popolo delle libertà di Berlusconi, tutti uniti a sostenere l’ultimo attacco alle condizioni dei discriminati nel mentre rimane intatto (avrebbe potuto essere diversamente?) il privilegio. La novità consiste nel voto “unitario” con i partiti del centrodestra e neofascisti, del Partito democratico, finora impegnati in una finta competizione fra loro, che chiarisce anche formalmente l’ambiguità della sua rappresentanza e della sua collocazione politica e di campo.
Il sostegno alla manovra è classista perché colpisce a senso unico quelli che sono stati chiamati come soliti noti, e grazia come sempre i ricchi, gli alti redditi, patrimoni e le imprese che addirittura ottengono contemporaneamente finanziamenti aggiuntivi.
Questo voto fa chiarezza sulla situazione. Chi ha sostenuto la manovra appartiene al campo del liberismo e del capitalismo che considera giusta e possibile l’esistenza contemporanea della ricchezza più sfrenata con la miseria più nera, del privilegio con la discriminazione.
Per i liberisti, i lavoratori e i discriminati, se vogliono vedere migliorata la loro condizione o trovare lavoro, devono rinunciare ai loro diritti consolidati, sia sul posto di lavoro sia nella società.
Con questa logica, i diritti dei lavoratori, conquistati a prezzo di dure lotte, diventano dei tabù o dei totem del passato e chi si ostina a difenderli un conservatore. Il loro interesse e tornaconto privato, invece, rappresenta il progresso, il moderno e il futuro. Per i liberisti la parola “riforma” coincide con i loro interessi elevati a condizione ed interesse generale.
Lo sviluppo, per costoro, è possibile solo a condizione che i lavoratori accettino, come finora sono stati costretti a fare, di sottostare alla loro legge e alla loro convenienza che hanno prodotto, da venti-trenta anni a questa parte solo un enorme spostamento di ricchezza a favore dei ricchi e dei padroni a danni dei redditi fissi.
I diritti dei liberisti sono sacri ed inviolabili, quelli dei lavoratori sono “riformabili”. La loro libertà non è legata alla libertà dal bisogno ma alle liberalizzazioni capitaliste, alla libertà di de localizzare, di licenziare, di tagliare salari e pensioni, di calpestare leggi e contratti e di imporre diktat padronali fino a stabilire quali possano essere i sindacati ammissibili in azienda cui i lavoratori possano iscriversi e quali no. Tentando di azzerare la presenza dei sindacati più combattivi quale la Fiom.
Con il voto di fiducia sulla manovra della Camera, che si ripeterà al Senato, si compie l’atto politico definitivo che chiarisce il tradimento e il cambio inappellabile di campo di quella doppia e serpiforme “sinistra” che si toglie la maschera dimostrandosi con il suo vero volto di falso amico dei lavoratori e di vero sostenitore del capitalismo e dei padroni.
La loro azione subdola e mistificatrice ha seminato, tra i lavoratori, confusione e disorientamento ed ha determinato che i valori e le convenienze dei padroni diventassero interessi generali e fossero accettati anche da coloro che si trovavano a subirne le conseguenze determinandone la sconfitta politica, sindacale e culturale: concertazione, compatibilità, flessibilizzazione, precarizzazione, delocalizzazioni sono parole che hanno marcato l’arretramento politico, economico e culturale della classe operaia italiana falsamente e subdolamente presentate da costoro come naturale sviluppo politico del sindacato e non come tradimento e svendita.
Prendere atto di ciò è condizione per cominciare a invertire la rotta e reinnestare la marcia della riscossa. Prima lo facciamo meglio sarà.

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