Venti sono le persone uccise, secondo la tv di stato siriana, ventitré, secondo Al Jazeera e duecentoventicinque i feriti, tutti palestinesi, in occasione delle manifestazioni del quarantaquattresimo anniversario della sconfitta araba del 1967.
Centinaia di palestinesi hanno cercato, in occasione della ricorrenza, di oltrepassare la recinzione sulla linea fissata nel ’67, che ha determinato l’annessione militare e unilaterale delle alture di Golan a Israele.
I manifestanti sono stati gli unici a riportare perdite di vite umane e feriti negli “scontri”, perché il loro tentativo di superare i reticolati su quelle che erano le loro terre, ha coinciso con l’inizio delle operazioni militari. Essi sono diventati i bersagli di un tiro a segno messo in atto dai militari israeliani attraverso un uso massiccio delle armi.
L’esercito militare israeliano non ha avuto bisogno di celebrare alcun processo né di emettere alcuna sentenza di condanna: è passato immediatamente all’esecuzione della sentenza di morte dei “rei”, colpevoli di rivendicare, pacificamente, il proprio diritto su territori strappati loro con la prepotenza e la forza delle armi e trattenuti arbitrariamente da Israele.
Davanti a questi fatti risulta fragoroso il silenzio delle istituzioni italiane e internazionali, delle forze politiche e degli organi di stampa, così sensibili e solleciti, in altre occasioni, nel decidere e sostenere interventi “umanitari” e militari in tutte le aree del mondo dove i popoli sono oggetti della violenza e della dittatura di tiranni liberticidi, che calpestano le più elementari norme di civiltà.
In questo caso non è stata levata alcuna voce di condanna: i rappresentanti delle istituzioni e i partiti tacciono, gli organi d’informazione, nella quasi totalità dei casi, smorzano l’entità del massacro con titoli asettici che nascondono la realtà e le responsabilità, del tipo: ”Vittime al confine con la Siria”; ”Sul Golan si spara (?). Vittime tra i palestinesi e siriani”; “Dopo gli scontri sul Golan Israele accusa Damasco di manipolare i suoi cittadini”.
Questo è il quadro mistificatorio e desolante di come i paesi “democratici” occidentali intendono la libertà e i diritti dei popoli. L’Onu delibera e gli eserciti dei paesi “democratici” intervengono solo se a loro conviene, se ci sono materie prime (leggi petrolio o altre risorse energetiche) o altri tornaconti economici o militari. In assenza di questi, i popoli possono tranquillamente continuare a subire, perché i paesi “democratici” addormentano le loro coscienze e il loro senso del diritto.
A differenza di quanto è successo in altri paesi nessuno si è mai preoccupato, né lo farà in futuro, dei palestinesi, del loro diritto a essere liberi sulla loro terra, con una loro Patria riconosciuta e a non essere continuamente derubati (di ciò che spetta loro) dalla politica degli “insediamenti dei coloni” israeliani.
Nessuno si preoccuperà di libertà e sicurezza in questo caso, mentre il popolo palestinese e i suoi legittimi rappresentanti continueranno a essere etichettati come pericolosi e radicali estremisti, a differenza dei "civili e democratici” governanti israeliani.
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