venerdì 24 giugno 2011

Padronato italiano, ovvero il profitto di pochi come interesse di tutti

Dopo decine di anni di “contenimento” dei salari, precarizzazioni, cancellazioni di diritti costituzionali legati al lavoro, tagli ai servizi pubblici, demolizioni progressive del sistema previdenziale e pensionistico pubblico, di chiusura di ospedali, ticket sanitari, privatizzazioni varie anche in settori strategici (ultimo il tentativo di privatizzare l’acqua e le spiagge demaniali), operati in ossequio all’ideologia liberista fatta propria anche dalla “sinistra” nostrana, i meno distratti possono assistere all’ultima (in ordine di tempo) lezione di economia e di rigore morale del risparmio che l’illuminata (e a pancia piena) presidente di Confindustria Emma Marcegaglia elargisce agli “sperperatori”. Ovvero i discriminati a pancia vuota.
Davanti ai dati riguardanti l’economia italiana, al Pil, al debito pubblico nonostante i tagli operati e il crescente carico fiscale gravante solo sul cittadino lavoratore dipendente (mentre sono permesse scappatoie inaccettabili per tutte le altre categorie di cittadini), la “moderna” padrona italiana tira fuori dal suo cilindro l’innovativa ricetta: "Per centrare gli obiettivi ambiziosi ma obbligati di azzeramento del deficit e evitare la stagnazione" è necessario "varare subito misure strutturali", e a fare riforme, a partire dal fisco. Confindustria chiede "misure che siano credibili" e, citando "i documenti dello stesso governo" avverte: senza riforme "diverrebbero necessarie manovre aggiuntive" per l'un per cento del Pil al 2014, "cioè altri 18 miliardi oltre ai 39 previsti. Ed anche "la modesta crescita verrebbe dimezzata allo 0,6 per cento già nel 2012". Conseguentemente propone di operare un taglio strutturale di spesa pubblica e di contenere le retribuzioni pubbliche e di alzare a sessantasette anni l’età pensionabile, annunciando comunque la contemporanea ulteriore perdita di centinaia di migliaia di posti di lavoro a fine 2011.
Tutto questo viene definito politica riformista, che il governo deve avere il coraggio di intraprendere. C’è di che rimanere sbigottiti. Siamo di fronte all’ennesima, manovra tesa a mascherare in responsabilità nazionale e istituzionale, la prepotenza e l’ingordigia degli industriali, che sono invece impegnati a lucrare anche mentre riducono alla fame i lavoratori. Ma anche a trasferire tranquillamente e indisturbati le loro attività in paradisi fiscali o in zone sottosviluppate nelle quali assumere a salari da fame e a condizioni inaccettabili lavoratori più affamati di quelli italiani o a costringerli attraverso “democratici” referendum, col ricatto della delocalizzazione e della disoccupazione, a rinunciare alle conquiste del passato.
Si tenta di spacciare la politica ingorda e di classe degli industriali nostrani, tipica del padronato della prima rivoluzione industriale: compressione delle retribuzioni, aumento dei ritmi di lavoro, come l’ultimo ritrovato in materia economica di una classe dirigente “responsabile” che invita all’austerità, al risparmio (guardandosi bene dal dare l’esempio) per uscire dalla crisi e creare nuova occupazione con il solito strumento dell’annullamento dei diritti dei lavoratori e senza mettere in discussione i profitti (di cui grazie al sistema attuale è impossibile determinare l’entità a differenza dei salari dei lavoratori).
La realtà che viviamo ci racconta un’altra storia. Quella dei sacrifici, dei tagli e rinunce a senso unico per lavoratori e pensionati. Per loro c’è sempre questa sola faccia della medaglia: tirare la cinghia. Da trenta anni va avanti tutto ciò.
I soloni politici del padronato, comunque mascherati dietro promesse di ripresa e di occupazione, mai verificatisi, hanno cancellato le conquiste dei lavoratori costate lacrime e sangue e intendono continuare a farlo ancora a lungo con la mano sul cuore, cantando l’inno nazionale e trasferendo all’estero comunque le loro attività.
Non lo dobbiamo permettere.

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