E’ quanto ha risposto il premier israeliano Benyamin Netanyahu alla richiesta avanzata dai dirigenti palestinesi all’Onu, tesa a ottenere il riconoscimento dello stato di Palestina entro i confini del 4 giugno del 1967 con Gerusalemme est capitale.
Netanyahu, pur facendo riferimento alla pace, con la sua frase sintetizza l’arroganza e la prepotenza della posizione israeliana. Di un paese cioè che contando sulla forza delle proprie armi e sull’appoggio perenne degli Stati Uniti, che hanno permesso e garantito la recente nascita dello stato d’Israele sulla terra di Palestina, pretende di dettare le condizioni per il riconoscimento del diritto all’esistenza di un altro popolo sul territorio su cui da sempre i palestinesi hanno vissuto.
Il riconoscimento dello stato palestinese, secondo Benyamin Netanyahu, sarebbe condizionato, dal preventivo riconoscimento dello stato di Israele e dalla pace con esso. La strumentalità di questa posizione appare evidente: Quale entità nazionale, geografica e politica potrebbe e dovrebbe fare la pace con Israele se non ne esiste alcuna riconosciuta da parte palestinese?
Perché la nazione di Israele è uno stato riconosciuto anche in sede Onu, mentre la nazione palestinese no?
Perché e sulla base di quale ragione, Israele pretende di condizionare il riconoscimento del diritto all'esistenza in vita di una forma stato di un altro popolo, quello palestinese?
Dal 1967, anno della guerra dei sei giorni, Israele occupa buona parte dei territori palestinesi, e, con la scusa della sicurezza interna, porta avanti con la forza delle armi una politica aggressiva di colonizzazione di quel territorio, con consistenti e inarrestabili insediamenti abitativi armati cacciando ed espellendo dalla propria terra i palestinesi.
Tutto ciò non acuisce la crisi e rende sempre più improbabili le possibilità di pace?
La realtà dei fatti è che non conviene a Israele arrivare a una pace perché, nelle condizioni attuali, con il pretesto della propria sicurezza nazionale, riesce ad allargare con la forza ininterrottamente da più di quaranta anni i propri confini. Nel frattempo l’intero popolo palestinese è sottoposto a una feroce e aggressiva occupazione militare e umiliato sulla propria terra.
Il Presidente palestinese nel suo intervento di ieri alle Nazioni Unite ha attribuito la responsabilità per il fallimento dei negoziati di pace a Israele, che ha accusato di cimentarsi in una «politica colonialista» verso gli arabi che si somma «all'occupazione militarizzata» dei Territori palestinesi. «Israele continua la sua campagna demolitrice e la sua pulizia etnica verso i palestinesi» ha detto Abu Mazen, rilevando che tale aggressione non risparmia i «luoghi sacri» arabi. Il Presidente palestinese ha chiarito che il suo discorso non intende «isolare o a delegittimare Israele», ma «delegittimare la sistematica colonizzazione» dei Territori palestinesi.
«Dichiaro qui che l'Olp è pronto a tornare immediatamente al tavolo del negoziato» se cesseranno le «attività d’insediamento» nei Territori occupati.
Il consenso ricevuto dall’intervento all’Onu di Abu Mazen fa sperare che le giuste richieste palestinesi vengano accolte, superando il preannunciato veto americano che, grazie a regole ingiuste diventa determinante.
Il consenso ricevuto dall’intervento di Abu Mazen all’Onu fa sperare che quest’organismo dimostri, nonostante tutto, la sua autonomia contribuendo alla libertà e al diritto del popolo palestinese e non alimentando il sospetto di intervenire solo quando interessi agli Stati Uniti, alle banche e al mercato.
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