martedì 16 novembre 2010

Bersani e l'elenco dei valori di sinistra traditi

L’altra sera, in un programma televisivo, sono comparsi due "politici" che avevano un’unica preoccupazione e presunzione: quella di accreditarsi come campioni degli schieramenti (destra e "sinistra"), rivendicandone di diritto la rappresentanza e la "moderna" interpretazione della rispettiva "evoluzione".
Occupandoci della pretesa di Bersani, segretario del Partito democratico, a essere il legittimo rappresentante della sinistra in Parlamento, verrebbe da chiedersi di quale sinistra pensi di essere paladino lo stesso e a quale titolo ne rivendichi la rappresentanza. A meno che la sinistra, per costui, non sia solo una sistemazione geografica nelle aule parlamentari.
Storicamente collocarsi a sinistra ha significato stare dalla parte dei lavoratori e dei discriminati (cioè della loro classe) e battersi per l’uguaglianza, la libertà e l’emancipazione dallo sfruttamento. Opporsi di netto, quindi, all’ingiustizia sociale e al privilegio che il profitto e il mercato generano.
Bersani singolarmente pretende di essere titolare della rappresentanza dei lavoratori, insieme a quella dei padroni. Pretende, inoltre, che “l’evoluzione” politica del Partito democratico di cui è segretario faccia diventare di sinistra ciò che invece, nei fatti, non lo è.
Il Pd è, nella realtà, un neo-partito interclassista che si occupa di un mondo idilliaco dove possano tranquillamente e legittimamente coesistere oppressi e discriminati (lavoratori, disoccupati, precari e pensionati al minimo) con miliardari e capitalisti, perché anche questi ultimi si rendano conto che ”nessuno può stare bene da solo: stai bene se anche gli altri stanno un po’ (!) bene”; per questo sostiene Bersani: “Ci vuole un mercato che funzioni”. Certo, dovrebbe spiegarlo soprattutto a Marchionne o ai proprietari delle aziende che delocalizzano (ed evadono, sfruttano, monopolizzano ecc).
Bersani predica la rassegnazione, la subalternità economica e culturale della classe operaia e pretende di farlo come leader della sinistra, immaginando un mondo idealizzato e inesistente, in cui possano felicemente convivere il capitalista e il precario, il miliardario e il disoccupato, il privilegio e l’ingiustizia sociale, il forte e il debole, il profittatore e lo sfruttato. Tutto ciò auspicando non che i ricchi e i padroni rinuncino alle loro ricchezze, ma che ne lascino di buon cuore un po’ ai proletari (esistono ancora nei fatti, solo che non possono permettrsi neanche i figli ormai).
Per Bersani sostenere le teorie interclassiste (che furono proprie della defunta Democrazia cristiana) e farle diventare il fulcro della propria azione politica non significa tradire i discriminati, ma fare una politica di sinistra; usurpando, per soli fini elettorali, uno spazio politico cui non ha più diritto. Contribuire ad alimentare tale equivoco significa diventare complici della mistificazione.
Quali gli obiettivi da elencare per una sinistra realmente dalla parte dei lavoratori e degli ultimi? Lavoro garantito per i disoccupati e un reddito per tutti sufficiente e dignitoso (anche con il ripristino del meccanismo d’indicizzazione dei salari: la scala mobile); abolizione del precariato e delle leggi che lo permettono (Treu e Biagi); divieto di delocalizzazione delle aziende e penalizzazione, anche fiscale, per chi lo ha realizzato; abolizione delle “riforme” pensionistiche (Dini, Prodi e Berlusconi); no alla sanità privata, si a quella pubblica gratuita e uguale per tutti; no ai finanziamenti pubblici delle scuole private e dei partiti; si a una stampa e a un’informazione democratica, togliendola dalle mani dei politici-editori; tutela e non rapina dell’ambiente; cessazione immediata di ogni intervento militare armato dell’Italia in qualsiasi area del mondo. Senza dimenticare di realizzare un sistema fiscale che liberi i redditi fissi e colpisca, in maniera adeguata e progressiva, le grandi ricchezze, le rendite parassitarie e i profitti. Come inizio di cose di sinistra può bastare.

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