L’aggressione alle conquiste dei lavoratori da parte del padronato e del Governo sta conoscendo una nuova fase. L’attuale Ministro del lavoro del Governo di centrodestra ed ex socialista (?) Sacconi, ha sostenuto che: ”L’attuale centralismo regolatorio di matrice pubblicista e statalista riflette assetti di produzione propri della vecchia economia”. Per questo si sta tentando di sostituire allo Statuto dei diritti dei lavoratori il “moderno” modello conosciuto come “accordo di Pomigliano”, che nega diritti costituzionali e lascia libero arbitrio al padronato, con la pretesa di migliorare la competitività delle aziende attraverso l’abbattimento dei diritti conquistati dai lavoratori nel corso di decenni. Tutto ciò attraverso un disegno di legge delega, di due articoli, che affida al Governo il compito di riscrivere il diritto del lavoro.
Il principio fondamentale, scritto nell’articolo uno del testo proposto, indica che la nuova legge è fatta “al fine di incoraggiare una maggiore propensione ad assumere e un migliore adattamento tra le esigenze del lavoro e quelle dell’impresa”. Sacconi punta a eliminare buona parte delle oltre mille leggi che “pesano” sul mercato del lavoro. Accanto all’obiettivo della semplificazione c’è quello di un mercato del lavoro sempre più libero (per chi?).
Il principio ispiratore del provvedimento sembra essere quello che ispirava il meccanismo dei Fasci e delle Corporazioni. L’idea fondamentale è, infatti, quella di una pretesa affinità e convergenza d’interessi tra imprese e lavoratori, con la conseguente necessità di una gestione “coordinata e armonica” (?) degli interessi dei lavoratori e dei padroni. In pratica, si legge nel testo di legge che il ministro ha presentato ieri nel corso di una conferenza stampa, gli unici diritti universali e indisponibili del lavoratore, garantiti dalla legge, rimarranno quelli scritti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Si tratta per esempio del divieto di schiavitù e di tratta degli esseri umani, del diritto di sciopero e del diritto al giorno di riposo settimanale, oltre che alla parità tra uomini e donne e del divieto del lavoro minorile. A tutti gli altri principi stabiliti dall’attuale legislazione italiana, si potrà, con lo Statuto dei Lavori, derogare. A partire dall’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, quello che di fatto vieta il licenziamento senza giusta causa nelle aziende con più di 15 dipendenti. Questo perché, secondo Sacconi, ”non rientra tra i diritti fondamentali, tanto che non è applicato a tutti i lavoratori”.
Invece di estendere l’applicazione di quest’articolo a tutti i lavoratori a prescindere dal numero dei dipendenti, perché tutela il diritto di ogni lavoratore a non essere licenziato che per giusta causa e non per arbitrio padronale, tale diritto è definitivamente cancellato.
Il testo predisposto da Sacconi prevede inoltre la “possibilità per la contrattazione collettiva di una loro modulazione e promozione nei settori, nelle aziende e nei territori, anche in deroga alle norme di legge, valorizzando il ruolo e le funzioni degli organismi bilaterali”. Organismi bilaterali che sono sostanzialmente una riedizione della Camera delle Corporazioni: le parti sociali, datori di lavoro e sindacati, di fatto legiferano sul mercato del lavoro. Il progetto di Sacconi indica anche gli indici che questa contrattazione/normazione dovrà seguire: “Andamento economico dell’impresa, del territorio o del settore di riferimento”; “caratteristica e tipologia del datore di lavoro”; “caratteristiche del lavoratore con specifico riferimento all’anzianità continuativa di servizio, alla professionalità o all’appartenenza a gruppi svantaggiati”; modalità di esecuzione dell’attività lavorativa autonoma e coordinata con un solo committente”; “finalità del contratto con riferimento alla valenza formativa o d’inserimento al lavoro”.
Per i lavoratori sarà pertanto prassi, a differenza di quanto sarebbe giusto (a parità di lavoro, parità di salario), la frammentazione salariale e normativa dei loro trattamenti e delle loro condizioni di lavoro. Accadrà cioè che due lavoratori che svolgono il medesimo lavoro per la stessa quantità di ore percepiranno salari diversi secondo l’azienda in cui si trovano a lavorare. Con buona pace della contrattazione collettiva.
Altro importante e illuminante aspetto del disegno è quello relativo al ruolo assegnato “ai rappresentanti dei lavoratori” (il sindacato). Essi diventano “gestori paritetici” e attori del “buon andamento aziendale” e saranno, così, totalmente e definitivamente sganciati dal rapporto e dal controllo dei lavoratori. Perché semplicemente non li rappresenteranno più.
Il disegno di legge quindi punta a realizzare un sistema di “diritti” dei lavoratori tutto subalterno agli interessi del mercato, della competitività (tutta incentrata sulla compressione dei salari e dei diritti) e quindi del padronato.
Davanti a ciò, invece di mobilitarsi e mobilitare i lavoratori, il sindacato sostanzialmente condivide. Così esplicitamente fa la Cisl, mentre la Cgil inizia la solita farsa di una fumosa “opposizione” a parole (ma senza alcuna iniziativa di protesta) e che, come sempre, non produrrà alcun effetto e non bloccherà l’azione “innovatrice” e “riformatrice” del Governo e del padronato.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento