sabato 23 ottobre 2010

La "sinistra" degli illusionisti in malafede e la realtà di classe

"La sinistra è davvero un impedimento a vincere? La sinistra è la missione di un paese, noi abbiamo bisogno di ricostruire un discorso sulla salvezza dell'Italia". "Ci siamo stancati di perdere bene, adesso vogliamo vincere". Queste sono due frasi d'ordine pronunciate da Nichi Vendola nella sua relazione al congresso di Sinistra e Libertà apertosi ieri a Firenze.
Queste due affermazioni sintetizzano la posizione di un novello affabulatore, simile al suo padrino Bertinotti, che è convinto e soprattutto vuole dare a intendere che con le parole si cambia la realtà. Il governatore pugliese, infatti, parla di sinistra includendo in questa categoria politica anche il Partito democratico. Sembrerebbe, a sentire Vendola, che se la sinistra è perdente la colpa sia da addebitarsi a una sorta di autolesionismo interno (?), che porta a dividersi e a rinchiudersi in nicchie ideologiche, preoccupandosi più di far valere teorie utopistiche vetuste che a confrontarsi con i problemi reali contemporanei.
Se in quest’affermazione c’è del vero (troppe volte nelle formazioni antagoniste ha prevalso la divisione sull’unità e questo è sicuramente un male) è pur vero che la ricerca dell’unità a prescindere dalle analisi, dai contenuti e dagli obiettivi ha determinato sconfitte clamorose e brucianti delusioni.
L’esperienza degli anni passati ha dimostrato che quando i partiti di classe considerano le alleanze non come uno strumento, temporalmente definito per ottenere determinati obiettivi, ma come un traguardo assoluto delle forze “progressiste” o del centro”sinistra”, come avvenuto con i vari governi Prodi o Dini (!) diventano esse stesse strumento del sistema di potere delle classi dominanti e costringono i loro elettori a dover sopportare le scelte più indigeribili. Fra queste lo spostamento della ricchezza avvenuto a danno dei redditi fissi, le varie controriforme pensionistiche, gli interventi “umanitari” in varie aree del mondo, la precarizzazione del lavoro e le logiche di compatibilità e di flessibilità del mercato, le controriforme della scuola, della sanità, l’attacco ai diritti civili e sociali riconosciuti perfino dalla Costituzione, lo scardinamento dei contratti e dello Statuto dei diritti dei lavoratori, le stesse controriforme elettorali in senso maggioritario, ecc. ecc. ecc. (l'elenco delle nefandezze è sterminato).
Tutto ciò ci fa capire che un patto di questo genere può forse anche battere elettoralmente Berlusconi, ma in seguito si riduce alle stesse politiche antipopolari e a favore dal mercato e del liberismo. Questa volta però col sostegno diretto delle forse antagoniste, che sono costrette a subire e a ingoiare rospi a ripetizione per evitare il pericolo maggiore. Bel successo strategico. Bel ricatto servito.
La sinistra, quella del Partito comunista di Berlinguer o del partito socialista di Nenni non esiste più. Le loro lotte, che hanno permesso l’avanzata politica ed economica del mondo del lavoro, sono state abbandonate e tradite da quelle forze politiche che ancora continuano a mantenere la mascheratura dell’appellativo di “sinistra”, ma che nulla hanno a che vedere con la storia e gli obiettivi che la sinistra ha perseguito nel suo cammino. E Vendola è sulla strada per alimentare lo stesso equivoco.
Che senso ha, infatti, la sua affermazione: ”La sinistra è la missione di un Paese, noi abbiamo bisogno di ricostruire un discorso sulla salvezza dell'Italia"? Ma di quale Italia parla Vendola? quella di Marchionne, della Marcegaglia, dei miliardari, di chi delocalizza, delle banche o quella dei lavoratori, dei disoccupati, dei precari, e dei pensionati? Quale sorte accomunerebbe queste categorie di persone? Quali strategie comuni possono avere? Lo spieghi Vendola.
Com’è possibile pensare che tutti questi soggetti abbiano lo stesso comune obiettivo, cioè battere e cacciare Berlusconi, visto che Marchionne, la Confindustria e il padronato hanno conseguito in questi anni successi insperati e inimmaginabili solo venti anni fa?
Vendola sostiene che il berlusconismo è vittorioso prima culturalmente e solo dopo politicamente: "Berlusconi ha cominciato a vincere venti anni prima con le sue tv; quando la scuola pubblica ha cominciato a perdere e la tv a prevalere, lì è nato il fenomeno, che non è un'anomalia ma l'autobiografia di una nazione". Bene, è però il berlusconismo a essere vittorioso culturalmente o sono le logiche neoliberiste della competitività capitalista? Queste ultime sono state fatte proprie e rivendicate proprio da quei partiti (Pd in testa) che hanno dimenticato, abbandonato e tradito le culture sociali alternative e di classe, tacciandole per vecchie e superate, lasciando così il campo libero alla cultura liberista più becera e reazionaria. E dandosi il testimone con Berlusconi e il centrodestra nel governare la demolizione delle conquiste del mondo del lavoro e dei discriminati.
Occorre ricostruire e rilanciare una visione diversa e alternativa, improntata sulle analisi di classe e sulle realtà economiche e sociali. Solo dopo valutare alleanze e battaglie comuni con altre forze. Prescindere da ciò significa, nella migliore delle ipotesi, illudersi e illudere. Non è con le battute anche efficaci su chi vince o chi perde (Bertinotti era un maestro in ciò) che si sconfigge l’avversario. Le stesse ammucchiate che prospetta Vendola (dal Pd a Fini e Casini) possono servire forse al centro”sinistra” ad avere più voti di Berlusconi e sedersi a capotavola al suo posto, ma lascerebbero del tutto invariata la condizione dei lavoratori, che sarebbero coinvolti nelle stesse scelte liberiste come avvenuto in passato. E non avrebbero, a quel punto, neanche più nulla da recriminare.

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