domenica 3 ottobre 2010

C’è violenza e violenza

Testo dell’articolo comparso su Il Sole 24 Ore il 2 ottobre scorso.
«Il Paese ha perso il senso istituzionale, la bussola è partita, qualcuno ha aperto i cancelli dello zoo e sono usciti tutti. È difficile andare in giro per il mondo a spiegare cosa succede in Italia. È vergognoso». Così l'amministratore delegato della Fiat Sergio Marchionne ha commentato gli ultimi fatti di violenza che si sono verificati in Italia.
Alla domanda se sia corretto fare delle similitudini con gli anni di piombo, Marchionne, che si è detto «molto preoccupato», ha risposto: «Beh, quelle fotografie le ricordiamo tutti». In precedenza, nel corso dell'intervento davanti alla platea dei Cavalieri del lavoro, a Firenze, l'ad della Fiat aveva affermato che «gli episodi di violenza che si sono verificati in questi giorni vanno condannati con fermezza. Dobbiamo prendere le distanze, tutti quanti, da una cultura disastrosa che alza la tensione sociale e nega il dialogo».
A giudizio di Marchionne si tratta di «una cultura che non ci appartiene e che serve solo a distruggere ciò che di buono stiamo tentando di costruire. Oggi c'è bisogno di una convergenza forte, la più ampia possibile, che veda insieme tutte le forze positive di cui l'Italia dispone». Secondo l'ad della Fiat, insomma, «c'è bisogno di condividere gli impegni, le responsabilità e i sacrifici, in vista di un obiettivo che vada al di là della piccola visione personale». Questo, ha concluso, «è il momento di accettare il cambiamento come possibilità per creare una base di ripartenza sana, come un'occasione per iniziare a costruire insieme il Paese che vogliamo lasciare in eredità alle prossime generazioni».
Fra gli episodi di violenza che giustificherebbero il nuovo allarmismo, fino a evocare il terrorismo degli anni di piombo, Il Sole 24 Ore elenca: L’attentato (presunto) sventato a Maurizio Belpietro e, fatte alcune distinzioni, il candelotto che ha bruciato il giubbotto di Raffaele Bonanni sul palco torinese della Festa del Partito democratico. Ma anche i lanci di uova e pietre di ieri a Livorno contro la sede della Confindustria e della Cisl e l'assedio di un gruppo di avversari sindacali urlanti, sempre ai danni della Cisl, a Treviglio. E ancora le contestazioni urlanti che hanno impedito di parlare, in due distinte occasioni, al presidente del Senato Roberto Schifani e al suo ex collega Franco Marini; o anche l'invasione di sala che ha chiuso appena al suo incipit l'intervento sui nuovi diritti del lavoro (?) del professor Pietro Ichino a Milano.
Premesso che il terrorismo (coincidente troppe volte con gli interessi dell’avversario di classe, tanto da giustificare dubbi sulla sua reale matrice e provenienza) non ha mai fatto parte dei metodi di lotta democratica, né teorizzati né tantomeno praticati dei lavoratori che, anzi, nella sostanza sono stati sempre in prima linea nella lotta contro tale aberrante modo di concepire la politica, accostargli le sacrosante, legittime e civili proteste verso quei soggetti politici o sindacali caratterizzatisi per politiche contro i lavoratori è, questo si criminale.
Considerare l’applauso come unica forma di espressione democratica è tipico delle dittature. Questo sta avvenendo in Italia. I lavoratori e i cittadini hanno il sacrosanto diritto di criticare e contestare chi decide per loro e su di loro. E lo fa a loro danno. Cisl e Uil, senza la Fiom e soprattutto senza alcun mandato, che sottoscrivono accordi contrattuali anche in deroga ai contratti di lavoro; le più alte cariche dello Stato che si tutelano grazie a leggi che li esentano dal rispondere alle accuse che il sistema giudiziario gli contesta; i politici e i “giuslavoristi” che con la loro condotta politica e con le loro teorie fanno compiere ai lavoratori e ai discriminati enormi passi indietro sulla strada dell’emancipazione e dell’uguaglianza, devono sapere che il loro comportamento non può essere esente da giudizi e quando lo meritano, possono e devono essere criticati e contestati. Quale democrazia sarebbe, quella che permette solo il consenso?
Che tipo di consenso si può esprimere verso un ceto politico e sindacale che ha visto come unica maniera per uscire dalla crisi (che peraltro ha colpito solo i lavoratori, i precari, e i pensionati) quella di ridurre sempre e soltanto il lavoro, i salari, i diritti civili, le prestazioni sociali e le pensioni, la scuola, la sanità, i servizi a parità di carico fiscale, mentre ha concesso ai grandi capitalisti di continuare ad arricchirsi e ad evadere le tasse?
Tutti i dati statistici continuano a segnalare il crescere della disoccupazione se non della fame: ultimo in ordine di tempo il crollo dei consumi delle famiglie italiane nel 2009, soprattutto per trasporti, generi alimentari e abbigliamento, come segnalato dalla Cgia di Mestre. Tutto questo peggiorare delle condizioni di vita però è circoscritto nell’ambito delle classi subalterne, perché i ricchi e i capitalisti hanno continuato ad arricchirsi in barba ai sacrifici e alle rinunce che hanno imposto ai lavoratori.
Come può allora essere considerata violenza la contestazione verso chi continua a demolire le condizioni di vita di chi sta già male, senza poi dire nulla sulla violenza che ogni giorno (da troppo tempo ormai) è esercitata verso chi è licenziato e delocalizzato, verso chi vede diminuire il suo salario e il suo potere di acquisto, verso chi viene mantenuto in uno stato di disoccupazione o di precarietà privandolo del suo presente e del suo futuro e soprattutto della sua dignità di persona libera. Come può essere considerato libero un cittadino che non sa quanti anni di lavoro e di contributi sono necessari per potersi riposare? Il lavoro, se eterno o quasi, non nobilita l'uomo, ma lo riduce peggio delle bestie. E non è un modo di dire. Oggi ci sono schiavi ormai canuti alla catena di montaggio, mentre i giovani sono disoccupati grazie alla logica perversa e cinica della competitività a senso unico del padronato. Come si può definire non violenta quella realtà sociale, determinata dai politici e tollerata dai sindacati confederali che, ogni giorno riduce o priva i cittadini di servizi primari come la sanità e la scuola, mantenendo intatto il carico fiscale. Come non definire violenti la stampa e i mass media quando si assiste a metodi di “confronto democratico” come quelli di questi ultimi tempi, che servono a regolare i conti fra i potenti e a oscurare il malcontento e il malessere profondo dei discriminati?
Per costoro i lavoratori, i disoccupati, i precari e i pensionati devono subire serenamente le ingiustizie e le discriminazioni che ogni giorno vengono perpetrate ai loro danni, senza recriminare né tantomeno protestare. Solo cosi saranno democratici e non terroristi. Questa è violenza, altro che chiacchiere e mistificazioni.
E’ contro questo stato di cose che occorre prendere conoscenza e coscienza e soprattutto mobilitarsi e lottare. Non può essere più consentito impunemente a costoro, dopo averci privato di dignità e speranza nel futuro, di assumere il ruolo di difensori della civiltà, del progresso e della legalità.

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