giovedì 30 settembre 2010

Vengo anch’io? No, tu no

Nel dibattito che si è svolto ieri alla Camera dei Deputati, in occasione della votazione sulla mozione di fiducia richiesta dal Governo con lo scopo di regolare i conti al proprio interno, sono intervenuti i leader di tutti i partiti.
Il segretario della principale formazione di "opposizione" Bersani del Partito Democratico, ha tenuto in quell’occasione un intervento di esemplare ambiguità, citando alcuni dei problemi sociali di oggi. Il tutto per procacciarsi consensi a buon mercato, guardandosi però bene dall’evitare qualsiasi analisi economica e rifugiandosi nella polemica politica/partitica. Bersani, analizzando la situazione, ha affermato: ”Il punto fondamentale è che nelle sue parole (del Presidente del Consiglio) non c’è comprensione della situazione di questo Paese. Non c’è l’Italia vera (?) Il punto che sta sotto a tutto questo, signor Presidente, ve lo diciamo da due anni: non c’è abbastanza lavoro. Ci vuole più lavoro in questo Paese” e ancora “l’economia è troppo bassa, i redditi e i risparmi si assottigliano. Ascoltate le piccole imprese, queste vi diranno che c’è meno lavoro, meno credito” e così via.
Secondo Bersani (che ancora sostiene di appartenere a un partito di centrosinistra) la crisi, che tra l’altro riguarda solo i soliti noti, non dipenderebbe da meditate scelte economiche e di classe del governo, ma dalla sua presunta difficoltà di comprensione della situazione del presente (Berlusconi tutto ha dimostrato, nel tutelare i suoi interessi, fuorché di non conoscere e capire il presente e di sfruttare a suo vantaggio ogni occasione utile prospettatasi). Esclusivamente a ciò andrebbe imputata, quindi, la crisi e tutte le sofferenze che procura ai discriminati. Inoltre, sempre secondo il campione del centro”sinistra”, le conseguenze della crisi avrebbero colpito indifferentemente redditi e risparmi (lavoratori e imprese). Sarebbero stati addirittura i proprietari delle piccole aziende (quelli che licenziano e delocalizzano), non i lavoratori e i disoccupati, che, se ascoltati, avrebbero denunciato che non c’è lavoro. Quelli cioè le cui scelte, unite a quelle della finanza e del Governo, hanno causato e favorito la disoccupazione e il taglio di salari e pensioni.
Secondo l’interclassista e il pacificatore sociale (a senso unico) Bersani anche i poveri ricchi imprenditori avrebbero pagato le conseguenze della “incapacità” del Governo, loro che l’hanno sempre sostenuto, non solo i soliti lavoratori.
Se si screma il “confronto politico” di questi anni dalla cortina fumogena creata ad arte per appannare le responsabilità, il centrodestra e il centro”sinistra” sulle politiche economiche hanno operato in perfetta sintonia e continuità, riversando sempre i costi scaricabili, al di là del colore del governo, solo sui lavoratori, precari, pensionati e disoccupati. A questa “sinistra”, di nome e non di fatto, non si può più rimproverare di non aver difeso i ceti più deboli, perché non ne difende le ragioni e perciò non li rappresenta.
A dimostrazione di ciò oggi, a Roma in piazza Farnese (alle ore 16,30, a fabbriche e uffici chiusi), è “sceso in piazza” quello che rimane della Cgil, per “dire no all’austerità (?) e per rivendicare (a chi?) misure che favoriscano il lavoro, la giustizia sociale e la solidarietà”. Queste “straordinarie” iniziative di “lotta” e di “mobilitazione” (chi ne era informato?), fatte nel tempo libero senza disturbare il manovratore, rappresentano l’ennesima operazione mistificatoria di un sindacato e di una “sinistra” che, invece di individuare i responsabili veri della crisi (capitalismo e padronato), né tantomeno da chi è messa in pericolo la “giustizia sociale “(?) e orientare la lotta verso di loro, danno il contentino ai lavoratori senza risolvere la loro situazione.
Il loro obiettivo, infatti, non è quello di cambiare la realtà attuale e i rapporti economici esistenti, ma quello di crearsi la strada per mettersi a tavola al posto di chi c’è ora.

Ed ecco uno dei fenomeni, un "imprenditorone" eletto nelle liste del Pd (che modernità, che interclassismo!) Uno di quelli che voleva unire "capitale e lavoro". Perché la "lotta di classe va superata". Si per arrivarci prima a tavola.

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