sabato 18 settembre 2010

Il sindacato dei sindacalisti

“Una Cgil che si è battuta e malgrado la crisi è riuscita ad aumentare propri iscritti”. E'questo il sindacato che il segretario Guglielmo Epifani ha dichiarato di lasciare al suo successore Susanna Camusso. Rispondendo a una domanda a margine di un incontro nell'ambito della festa del Pd, ieri a Milano, Epifani ha descritto la "sua" Cgil come un sindacato che "ha una sua autonomia, una sua forza, che può guardare al futuro con fiducia ed è naturalmente preoccupata di un Paese che attraversa una fase di grande declino".
Era, fino a qualche tempo fa, consuetudine costante che un sindacalista, al momento di lasciare il proprio incarico, tracciasse un bilancio della propria azione, evidenziando aspetti positivi o negativi del proprio lavoro e perciò conquiste e sconfitte. Quello che emerge dalle dichiarazioni di Epifani è un bilancio esclusivamente organizzativo. La sua organizzazione sarebbe cresciuta in termini d’iscritti, nonostante la crisi, sarebbe aumentata la sua autonomia e la sua forza. Egli quindi lascia una Cgil che, dopo otto anni di durata del suo mandato di segretario generale, può guardare al futuro con fiducia ed è naturalmente preoccupata di una Paese che attraversa una fase di grande declino. Queste considerazioni sono di una disarmante desolazione.
Quello che costituisce motivo di vanto per Epifani è la dichiarata crescita d’iscritti, poco importa se questa si riferisce a una crescita d’iscritti burocratica, finta, fatta attraverso le pratiche del patronato sindacale. Che non testimonia un aumento di consenso tra i lavoratori, ma di pratiche espletate. Il distacco fra i lavoratori e i vertici sindacali ai vari livelli è oramai incolmabile. Gruppi dirigenti che si alternano nelle varie cariche sindacali; linee e strategie che non passano mai attraverso il coinvolgimento e il consenso dei lavoratori e dei quadri di posto di lavoro; lotte fra strutture e fra componenti dei partiti; una burocratizzazione crescente e desolante che determina non la vita di un sindacato dei lavoratori, ma quella di un sindacato per i lavoratori. Gli iscritti in questa situazione contano sempre meno e non sono coinvolti e consultati nemmeno in grandi occasioni, come quelle delle ripetute “riforme delle pensioni”.
Il bilancio che traccia Epifani tralascia di toccare, però, la parte più importante. Quella cioè di valutare se le condizioni di vita di lavoratori, pensionati, disoccupati e precari siano migliorate o peggiorate negli otto anni del suo mandato. Se la Cgil cioè abbia in questo periodo ottenuto risultati per i lavoratori strappando diritti e soldi al padronato o se, invece, sia accaduto l’esatto contrario. Se il peso contrattuale della Cgil inoltre sia cresciuto o no, se il suo ruolo sia stato determinante nelle contrattazioni col padronato o col governo o se, com’è accaduto, abbia permesso accordi che la escludevano senza organizzare alcuna forma di lotta, indebolendo i lavoratori e perdendo di rappresentatività (vedi i vari accordi interconfederali e col governo sulla contrattazione e gli accordi aziendali come quello di Pomigliano).
La risposta a queste questioni è purtroppo evidente e scontata.
Quale sarà la futura occupazione di Epifani? Certamente il padronato sarà riconoscente a Epifani dei suoi (involontari?) "servigi" e un posto da economista, in qualche partito, da dirigente del CNEL, del ministero del lavoro, delle imposte, qualche incarico amministrativo da presidente di regione o altro saprà trovarglielo.
Ai lavoratori, dopo la cura Epifani, non resterà che sperare che con la nuova segretaria Susanna Camusso le cose cambino e che la Cgil ricordi le proprie origini. Tornando finalmente a rappresentare i lavoratori nella sacrosanta lotta per i diritti e per l’emancipazione del lavoro: la speranza è sempre l’ultima a morire.

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