giovedì 9 settembre 2010

Democrazia e libertà di... consenso

Accade sempre più frequentemente che personaggi politici, partiti e sindacati, che spesso si ritengono depositari esclusivi della democrazia e quindi legittimati a dare o meno patenti in nome di essa, in occasione di manifestazioni pubbliche qualifichino come democratico soltanto l'atteggiamento di chi esprime consenso e approvazione, magari battendo le mani, e stronchino come antidemocratico, squadrista o addirittura fascista chi dissente ed esprime tali opinioni in maniera sonora ed evidente.
Quelli rivolti a chi ha dissentito ultimamente in manifestazioni aperte al pubblico sono insulti e accuse intollerabili. In primo luogo perché non può esistere democrazia senza dissenso (forse lo hanno dimenticato), poi perché in questo modo si cerca di impedire, nelle poche occasioni disponibili, di far comprendere il proprio dissenso a chi prende posizioni o decide per tutti.
E' il caso, ad esempio, del segretario della Cisl Bonanni. Egli firma accordi sindacali separati o supporta il padronato sostenendo la disdetta di contratti collettivi nazionali di lavoro, come nel caso dei metalmeccanici, pur avendo una rappresentatività estremamente minoritaria nell'ambito degli interessati agli accordi che sottoscrive. Questi ultimi, però, valgono per tutti gli iscritti alla Cisl, ad altre organizzazioni sindacali o i non iscritti ad alcun sindacato, senza che nessuno dei lavoratori in questione sia stato minimamente coinvolto.
Questo modo "democratico" di agire, che evidentemente non scandalizza nessuno, non riguarda solo la Cisl, ma tutto il sindacato confederale ed ha portato i lavoratori a perdere buona parte delle conquiste dell'autunno caldo (scala mobile, collocamento, Tfr, pensioni, ecc.), generando la precarizzazione del lavoro.
La Festa dell'Unità del Partito democratico di Torino è stata l'occasione colta da alcuni per esprimere e far comprendere il grado di "consenso" che la figura del Presidente del Senato prima e quella del segretario della Cisl poi, hanno tra il pubblico e i lavoratori.
E' fuori discussione che le forme di contestazione debbano essere civili, ma non si può certo impedire la manifestazione del dissenso, anche molto rumorosa, soprattutto verso chi non usa metodi democratici nel proprio agire. Pretendendo poi l'applauso.
Le pesantezza delle affermazioni e degli appellativi rivolti dai dirigenti del Pd, a chi dissentiva in occasione di entrambe le contestazioni dimostra, oltre la loro allergia al dissenso, la preoccupazione di marcare la propria distanza e diversità. Il tutto anche per dare un'ulteriore pubblica dimostrazione di quanto costoro si siano emendati dal loro peccato originale: quello di aver militato in un partito che si definiva comunista (con quanta coerenza lo dimostra il loro percorso politico). E di essere così considerati a pieno titolo nel novero del sistema dei democratici del consenso e del potere.

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