mercoledì 25 agosto 2010

Con gli operai di Melfi contro la prepotenza

Un’ordinanza del giudice del lavoro, decisa ai primi di agosto, interveniva su una vicenda sindacale accaduta alla Fiat di Melfi. Tre operai erano stati licenziati con l’accusa di aver ostacolato il percorso di un carrello robotizzato durante un corteo interno. L’ordinanza del giudice respinge l’ipotesi di sabotaggio sostenuta dalla Fiat perché il licenziamento dei tre lavoratori, deciso dall'azienda il 13 e 14 luglio scorso, ha avuto carattere di «antisindacalità» e quindi annulla il licenziamento e ordina l'immediato reintegro dei tre lavoratori.
La Fiat, alla ripresa dell’attività lavorativa, prima comunica ai tre lavoratori di rinunciare alla loro collaborazione, con la conservazione della retribuzione, poi li ammette in fabbrica ma li confina in una “stanza sindacale”.
E’ opportuno valutare bene sui motivi che hanno indotto l'azienda a non reintegrare i tre operai licenziati, cosi come previsto dall’ordinanza del giudice pur sapendo di poter andare incontro alle conseguenze previste dall’articolo ventotto dello Statuto dei Lavoratori in materia di repressione della condotta antisindacale: “Il datore di lavoro che non ottempera al decreto, di cui al primo comma, o alla sentenza pronunciata nel giudizio di opposizione è punito ai sensi dell'art. 650 del codice penale”.
Questo comportamento non è stato certamente determinato dall’improvvisazione ma da una precisa strategia che la Fiat intende perseguire. Che tipo di convivenza ci può essere, infatti, al di fuori delle leggi e delle ordinanze o sentenze di chi è chiamato a decidere sulle controversie o di contratti di lavoro condivisi?
A ben vedere il comportamento della Fiat in questa vicenda rispecchia fedelmente ed è in perfetta continuità con l’atteggiamento aggressivo tenuto dall’azienda sulla vicenda di Pomigliano e del relativo “accordo” raggiunto con la collaborazione di Cisl e Uil: attacco al diritto di sciopero e sanzioni al sindacato e Rsu che proclamano iniziative di lotta contro l’accordo con la sospensione dei contributi e dei permessi sindacali; in caso di picchi di assenteismo, l’azienda non verserà i contributi per malattia, a prescindere dai controlli; durante le elezioni, l’azienda non permetterà il recupero dei giorni trascorsi ai seggi dai rappresentanti di lista; per l’azienda si può lavorare anche otto ore di fila senza la mezz’ora di pausa per il pranzo, considerata come straordinario. A questo va aggiunta la volontà della Fiat di disdire il contratto di lavoro dei metalmeccanici e di uscire dalla Confindustria.
Tutto questo rappresenta una palese rottura delle regole consolidate e delle norme e assegna all’azienda un potere spropositato e illegittimo. Come può un’azienda pretendere d'essere lei a poter sanzionare un sindacato o una Rsu? Nello svolgimento della libera (finora) attività sindacale, che proclama uno sciopero contro un accordo (che, in questo caso tra l’altro non li coinvolge), assumendo il ruolo di giudice pur essendo parte in causa? Quale legge o contratto lo permettono? Come può un’azienda non versare le quote malattia, a prescindere (e contro?) i controlli di enti pubblici predisposti se non calpestando leggi e contratti? Quale arbitrio può consentire a un privato di non applicare i trattamenti previsti dalle leggi elettorali? Com’è possibile pretendere che gli addetti a lavori ripetitivi e a catena lavorino otto ore consecutive senza pause? E' una pretesa incivile che favorisce oltretutto gli infortuni. In ultimo quali regole intende sostituire la Fiat al Contratto di lavoro?
La volontà della Fiat, che in questo traccia la strada a tutto il padronato, è quella di sostituire alle norme di leggi e di contratti che regolano il rapporto di lavoro le sue norme, le sue leggi e i suoi contratti (e i suoi sindacati e i suoi lavoratori). Chi si oppone è fuori. Tutto ciò con il pretesto del mercato e della globalizzazione: chi vuole lavorare può farlo solo a condizioni che rendano “competitive” le aziende con i costi del lavoro dei Paesi poveri (India, Serbia, Polonia, Cina, ecc.) con i quali ingaggiare una lotta al ribasso dei costi e dei diritti della manodopera.
A essere tenuti fuori dal lavoro non sono quindi i tre licenziati di Melfi, ma tutti quei lavoratori che non si piegano alla barbarie e alla prepotenza. La lotta dei lavoratori di Melfi deve essere la lotta di tutti i lavoratori. Non è pertanto retorica dire di essere al fianco dei lavoratori licenziati della Fiat di Melfi e contro la prepotenza e l’arbitrio.

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