I dati macroeconomici confermano costantemente che, mentre l’economia si sta “riprendendo”, questo non si traduce in benefici per lavoratori e disoccupati.
L’Istat rileva che in Italia riparte la crescita sia del Pil (Prodotto interno lordo), che della produzione industriale. Il Pil aumenta dell’1,1 per cento nel secondo trimestre su base annua, dello 0,4 per cento su base mensile. L'incremento su base annua è il valore più alto dall'inizio della crisi. Per trovarne uno superiore bisogna tornare al più 1,5 per cento segnato nel terzo trimestre del 2007. La produzione industriale a giugno ha registrato un aumento dell'8,2 per cento (indice corretto per gli effetti di calendario) rispetto allo stesso mese del 2009 e dello 0,6 per cento rispetto a maggio 2010. Si tratta, comunica l'Istat, del migliore risultato tendenziale dal dicembre del 2000. L'istituto precisa che la variazione dell'indice grezzo su base annua è dell'8,1 per cento.
Questa performance positiva dell’economia non produce però ricadute altrettanto benefiche per i lavoratori. Alla consistente massa di disoccupati, sottoccupati e precari infatti si aggiungeranno, secondo le stime della Cgia (Confederazione generale italiana dell’artigianato) di Mestre, entro la fine dell’anno, altri 70mila posti di lavoro, facendo attestare a 180mila le perdite nel solo anno 2010 (rispetto al 2009) e a 561mila i posti di lavoro bruciati nell’ultimo biennio.
I dati dimostrano che la fase di recupero che sta vivendo l’economia non si traduce, né si tradurrà perlomeno a breve termine, in nuova occupazione. I benefici di questa situazione economica andranno tutti in maggiori introiti per gli industriali e per gli “investitori”. Ai lavoratori rimarranno disoccupazione, meno salario, lavoro precario, maggiori ritmi di lavoro e perdita di diritti consolidati.
L’investimento dei suoi soldi per un capitalista non ha per fine la creazione di posti di lavoro, ma la ricerca del massimo guadagno. L’investimento non è finalizzato alla creazione generosa e disinteressata di posti di lavoro ma allo scopo di incrementare gli utili. Tanto è vero che quando questo incremento non si produce o c’è un decremento dei guadagni, l”imprenditore-investitore” (e non benefattore), riduce il personale e licenzia, venendo meno al ruolo di “datore di lavoro”.
La fase di crisi e di calo di occupazione è stata perciò la conseguenza diretta di una diminuzione di profitti per il grande padronato, che con la crisi non ha visto sfiorato il proprio patrimonio. La crisi ha causato per quest’ultimo solo una diminuzione dei guadagni, ma non ne ha intaccato le ricchezze, che sono continuate a crescere. Questo quadro di generale depressione non ha modificato il suo stile benestante e l’alto tenore di vita. I lavoratori, invece, perdendo il lavoro hanno visto sfumare l’unico strumento di guadagno, col risultato del tracollo delle loro condizioni economiche e delle loro attese per il futuro. I disoccupati rimangono così esclusi dai processi produttivi e dalla possibilità di vivere civilmente. I precari e i lavoratori del sommerso vivono invece al di sotto della soglia di sopravvivenza. Oggi questi generici segnali di “ripresa” non modificano la situazione: i lavoratori continuano a perdere lavoro, soldi, diritti e servizi; gli “imprenditori” invece si arricchiscono comunque, cambiano solo le entità dei guadagni.
I “datori di lavoro”, o i “prenditori di profitto”, hanno la possibilità di fare ciò che riesce loro meglio: approfittare il più a lungo possibile della situazione contingente. Non investono i loro capitali perché guadagnano comunque e, se “investono”, delocalizzano all’estero. Il calo dell’occupazione, mentre il Pil e la produzione industriale crescono, dimostra proprio questo.
In conclusione, contrariamente a quanto riportato nell’articolo quarantuno della Costituzione, l'iniziativa economica privata è certamente libera, ma lungi dallo svolgersi per l’utilità sociale o in modo da non arrecare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana, si caratterizza nei fatti esclusivamente per la ricerca del massimo profitto e tornaconto. Tutto il resto viene dopo.
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