mercoledì 11 agosto 2010

Le lotte dei lavoratori e i sabotaggi dei padroni

Tre operai dello stabilimento Fiat di Melfi, in provincia di Potenza (due dei quali delegati della Fiom), hanno vinto la loro battaglia. Erano stati sospesi e poi licenziati in tronco dalla Fiat, con l'accusa di aver ostacolato il percorso di un carrello robotizzato durante un corteo interno. Il blocco del carrello robotizzato, secondo l'azienda, impediva di lavorare agli operai che non partecipavano allo sciopero e al corteo interno. Ora un giudice del lavoro ha deciso che possono tornare al lavoro. Il giudice ha annullato il provvedimento, ritenendolo "antisindacale" e ha ordinato l'immediato reintegro dei tre nelle rispettive mansioni professionali.
“È una decisione importante - commenta Landini segretario nazionale della Fiom - che rende una grande soddisfazione innanzitutto per aver ripristinato la dignità dei tre lavoratori coinvolti, che vedono il loro reintegro e la clamorosa smentita di tutte le accuse stupide di sabotaggio”. Il secondo motivo di soddisfazione è che, prosegue Landini, “abbiamo fatto bene come Fiom a denunciare la Fiat per comportamento antisindacale perché la condanna espressa dal giudice rende evidente le forzature messe in atto dall'azienda. Il tentativo di mettere in un angolo la Fiom anche con questi licenziamenti”.
Il teorema ”Lotte uguale eversione o sabotaggio” è stato smontato e sarebbe opportuno che si scusassero quanti vi hanno fatto riferimento, a cominciare da personalità istituzionali o rappresentanti degli imprenditori. Il leader sindacalista commenta anche le parole sulla vicenda del presidente della Confindustria, Emma Marcegaglia: “Il presidente Marcegaglia farebbe bene ad informarsi, prima di parlare. I lavoratori hanno difeso il loro diritto al lavoro. Non sono i lavoratori che vanno in giro a sabotare, ma quelli che vogliono violare la Costituzione”. Landini chiede poi al leader degli industriali di attivarsi verso la Fiat: “Farebbe bene che chiedesse alla sua associata Fiat - continua Landini - di tornare sui suoi passi. È un fatto importante e significativo - aggiunge - anche per la vicenda di Pomigliano. In sostanza il messaggio politico è chiaro: la Fiat deve tornare a trattare con i sindacati e soprattutto con la Fiom, per il premio di risultato e le condizioni di lavoro negli stabilimenti. Ma c'è anche un messaggio per i sindacati, che devono essere veramente dalla parte dei lavoratori e non accettare a scatola chiusa pseudo-accordi preconfezionati”.
Davanti a questa sentenza che rappresenta solo una fase, per ora favorevole, della lotta dei lavoratori contro il tentativo prepotente della Fiat di stravolgere le regole, il Contratto di lavoro e gli stessi diritti costituzionali dei lavoratori, non si può non pensare alla violenza personale subita dai tre lavoratori coinvolti in questa vicenda. La sentenza ripristina sì il loro diritto contro il licenziamento ingiusto e motivato dalla volontà antisindacale della Fiat, tesa a dare un esempio e un avvertimento ai lavoratori su chi veramente comanda in azienda e nel Paese; non ripaga però il torto subito e non punisce adeguatamente chi lo ha provocato: il padrone che colpisce i lavoratori privandoli del lavoro.
La legge e il senso comune impediscono a qualsiasi individuo civile comportamenti che arrechino danni o sofferenza ad altri. Perfino gli animali sono tutelati da norme che puniscono anche penalmente un individuo che procura loro sofferenza o li abbandona. Questo non vale per il cittadino quando diventa lavoratore perché evidentemente è titolare di un diritto diverso e minore.
Il giudice nell’emettere la propria sentenza di reintegro dei lavoratori nel proprio posto di lavoro, riconosce il loro diritto e ordina all’azienda che ha posto in essere il comportamento antisindacale di cessare tale comportamento: “Il datore di lavoro che non ottempera al decreto, di cui al primo comma, o alla sentenza pronunciata nel giudizio di opposizione è punito ai sensi dell'articolo 650 del codice penale” (legge 20 maggio 1970 n.300 articolo 28). Nulla però può decidere per il danno e la violenza subita dagli operai, perché lo Statuto dei lavoratori non lo prevede. D’altra parte chi, dopo una esperienza del genere, avrebbe il coraggio e la voglia di agire penalmente contro l’azienda che ti ha colpito e dove continui a lavorare?
Perdere il proprio posto per un lavoratore e la sua famiglia vuole dire perdere il proprio presente e futuro. Non avere più gli strumenti utili a garantire la propria libertà e la propria esistenza. Non è una cosa da poco. E’ facile immaginare come si siano sentiti i tre operai e come abbiano vissuto i giorni che sono passati dal licenziamento alla sentenza. Le loro sofferenza e quelle dei loro familiari rimarranno impunite e personalmente impunito sarà chi le ha causate.
Questa vicenda dimostra quanto sia difficile e faticoso ancora oggi lottare per affermare i diritti di uguaglianza e di libertà, che oggi si tende a dare per scontati mentre non lo sono e quanto cammino ci sia ancora da fare su questa strada.
Con questa sentenza ne è stato percorso solo un piccolo tratto.
P.s. Giunge notizia circa la volontà della Fiat, dopo aver pure presentato apposita denuncia penale sulle circostanza che hanno causato i licenziamenti, di voler ricorrere contro la decisione di reintegro dei tre licenziati di Melfi, in quanto la stessa “non appare coerente con il quadro istruttorio già emerso (?) nella convinzione di aver offerto prove incontrovertibili del blocco volontario delle linee di montaggio, che ha determinato un serio pregiudizio per l'azienda costringendola ad assumere doverosi atti di tutela della libertà di tutti i lavoratori e della propria autonomia imprenditoriale, verrà quindi presentato ricorso in opposizione alla decisione nel più breve tempo possibile”.
La Fiat intende perseverare nella sua condotta, secondo quanto affermato, per tutelare i propri interessi e soprattutto la libertà dei lavoratori, in particolare di quelli che continuano liberamente a lavorare (e a subire) mentre i loro colleghi criminali lottano e “sabotano la produzione”. La Fiat si preoccupa della libertà dunque. Non della libertà di tutti però, ma solo di quella di chi non si oppone ai suoi interessi e si adatta alla sua volontà.

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