sabato 21 agosto 2010

Un diritto per ogni occasione. Il diritto dei padroni oggi

Il diritto del lavoro si occupa di disciplinare tutte le materie riguardanti il rapporto di lavoro. Esso spazia dalla regolamentazione delle relazioni tra imprenditore e lavoratore a quella delle relazioni sindacali tra sigle dei lavoratori e quelle delle imprese, a quella relativa alle assicurazioni sociali e previdenziali. Quella relativa al lavoro è una delle branche del diritto che risente di più dell'influenza della situazione politica generale, perché traduce in norme e leggi le concezioni ideologiche di riferimento che prevalgono. E dominano.
Il diritto dei lavoratori si è modificato in base ai rapporti di forza in campo. E' migliorato e ha portato a conquiste in determinati periodi di iniziativa (anni '60 e '70), ha subito pesanti arretramenti quando è venuta meno l'iniziativa sindacale e se ne sono interessati “politici ed economisti” (dei padroni). Senza pretendere di addentrarsi in una disquisizione giuridica, si può certamente affermare che il diritto non è mai uguale per tutti i cittadini e quindi anche per i lavoratori e imprenditori o padroni.
La conquista di un diritto per i lavoratori equivale alla perdita di un privilegio per gli imprenditori.
Lo Statuto dei diritti dei lavoratori, ad esempio, per legge nel 1980 introdusse dei diritti prima negati ai cittadini-lavoratori nel momento in cui entravano in azienda o in ufficio e vietò alcune prerogative tipiche del padronato: divieto per l’imprenditore di indagare sulle opinioni dei lavoratori; divieto dei controlli sanitari praticati dai medici di fiducia aziendali; diritto per i lavoratori a una procedura certa e non unilaterale in caso di sanzioni disciplinari comminate dall’imprenditore; tutela della salute e dell’integrità fisica del lavoratore; agevolazioni riguardanti il diritto allo studio; libertà di iniziativa assistenziale nei luoghi di lavoro per i patronati; regole certe per l’assegnazione di mansioni e categorie contrattuali; diritto di associazione sindacale in azienda; diritto a non essere discriminato, economicamente o nel lavoro, a seguito di una affiliazione sindacale o della adesione ad uno sciopero; divieto per l’imprenditore di costituire sindacati di comodo o gialli; diritto a essere reintegrato nel posto di lavoro per il lavoratore licenziato per un motivo illegittimo e senza giusta causa; diritto di svolgere attività sindacali in azienda; diritto alle assunzioni numeriche e non alla chiamata nominativa dell’imprenditore; ecc. ecc. ecc. La legge prevedeva inoltre, per la prima volta, la possibilità che potesse essere legalmente represso un comportamento antisindacale eventualmente messo in atto da un imprenditore. Lo Statuto, insieme ad altre leggi e contratti, iniziò a spostare i diritti verso i lavoratori e a limitare il privilegio e l’arbitrio padronale.
Conquiste di civiltà così importanti furono rese possibili grazie alle lotte e alla capacità di protagonismo dei lavoratori degli anni Sessanta e Settanta, senza le quali quei diritti, che erano già riconosciuti sulla carta dalla stessa Costituzione ma non applicati al cittadino italiano al momento di entrare in fabbrica, sarebbero ancora negati. Il padronato fu costretto a rinunciare al proprio totale arbitrio nei posti di lavoro.
Le conquiste ottenute non furono pertanto una gentile e civile concessione padronale né, tantomeno, un democratico riconoscimento di libertà sancito dalla Costituzione, ma il risultato ottenuto sulla spinta di quelle lotte e sui rapporti politici di forza a favore dei lavoratori esistenti in quegli anni. La storia insegna che nessun progresso della civiltà è scontato per sempre. Se non si difendono le conquiste ottenute, si torna indietro. E’ ciò che sta accadendo. A quella stagione di lotte e di conquiste ne è seguita un’altra, tuttora in atto. Molti dei diritti di libertà sono stati vanificati o cancellati. Anzi si mettono esplicitamente in discussione addirittura norme costituzionali, come il diritto di sciopero (basti vedere a quanto è avvenuto alla Fiat di Pomigliano).
Cosa ha reso possibile questo capovolgimento della situazione che ha determinato la riconquista e il recupero da parte del padronato di buona parte dei privilegi ottenuti con le lotte del sessantotto? La scomparsa di quelle forze politiche e sindacali che fondavano la loro azione sulla lotta alle discriminazioni e all'ingiustizia sociale di classe. Tutto questo naturalmente in un quadro di fattori, anche internazionali, legati alla dissoluzione dei sistemi socialisti, a cominciare dall’Urss.
L’abbandono del metodo di analisi di classe ha portato allo snaturamento della Cgil e alla cancellazione del Partito comunista italiano e di quello socialista storico. Al loro posto sono sorti partiti interclassisti che hanno sostituito, al metodo marxista dell’analisi di classe, il liberismo e il mercato. Questo percorso è coinciso con la negazione dell’ingiustizia sociale e con la pretesa esistenza di una libertà e di una democrazia asettiche e immaginarie, svincolate dalla realtà dei rapporti sociali e di classe esistenti.
Era inevitabile a questo punto che il padronato approfittasse della situazione, recuperando il privilegio originario e cancellando buona parte delle conquiste dei lavoratori, anche in termini di diritto del lavoro. Quello che è peggio è che su questa strada il ruolo peggiore sia stato interpretato da personaggi “insospettabili”, provenienti proprio dalle file del Pci o del Psi o della Cgil. “Illuminati” giuslavoristi, un tempo appartenenti proprio alle file di quei partiti e sindacati, adducendo ragionamenti di pretesa democrazia astratta, svincolata dai rapporti sociali e dai bisogni, sostenuti da ragioni di diritto fumose e teoriche (a favore del padronato nella sostanza), prive di qualsiasi riferimento legato all’ingiustizia sociale e di classe, sono arrivati a schierarsi contro le loro stesse posizioni di qualche decennio prima. Fino alla recente vicenda della Fiat di Marchionne, con l'attacco alla Fiom e la condivisione e il sostegno dell’accordo di Pomigliano, con tutti i risvolti giuridici legati ai diritti costituzionali negati e i licenziamenti di Melfi. Anzi addirittura elevando tale accordo a modello e attaccando quella parte di sindacato "attardata" su posizioni e politiche "vecchie e superate", legate alla contrattazione dei lontani anni settanta.
Quei “teorici” del diritto del lavoro, quei partiti e sindacati e i loro dirigenti folgorati sulla strada di Damasco dalle “ragioni” del padronato, del liberismo e del mercato, negando le loro originarie convinzioni (verrebbe da chiedersi quanto sincere e genuine), hanno contribuito a vanificare le lotte dei lavoratori rendendo necessaria e indispensabile una nuova stagione di iniziativa e di conflitto. Costoro, i loro partiti e i loro sindacati, nella loro nuova logica interclassista dell'inesistenza dell'ingiustizia sociale e del privilegio, hanno agevolato e sostengono il padronato nel recupero dei privilegi. E hanno privato i lavoratori degli strumenti politico-organizzativi per la loro sacrosanta battaglia per l'emancipazione e la giustizia sociale.

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