venerdì 28 maggio 2010

I padroni della Confindustra

Nel corso dell’ultima assemblea della Confindustria, la presidente dei padroni italiani si è lanciata in una serie di affermazioni e richieste di chiaro stampo classista: 1) taglio degli stipendi dei dipendenti pubblici; 2) aumento dell’età pensionabile; 3) tagli alla sanità; 4) diminuzione delle tasse a imprese e lavoro; 5 ) liberalizzazioni. Soprattutto, la presidente di Confindustria ha chiesto al governo che la politica di “rigore” nella spesa pubblica sia resa strutturale, cioè permanente e non per soli due anni come previsto dalla manovra varata.
Le richieste padronali sono di fatto già state esaudite dal governo, attraverso la “manovra”: i lavoratori del pubblico impiego avranno gli stipendi congelati (anche quelli a redditi prossimi alla soglia di povertà), tutti i lavoratori dipendenti andranno in pensione più tardi, avremo meno ospedali e più ticket sanitari, è stata tolta l’irap per le imprese del sud, mentre non è stata tolta nessuna tassa per i lavoratori e nulla è previsto per l’occupazione. Per quanto riguarda le liberalizzazioni, il padronato italiano è completamente libero di fare o non fare a suo piacimento. Infatti le imprese italiane, ad esempio, pur utilizzando denaro pubblico trasferiscono le proprie attività all’estero. Prendiamo il caso della Fiat, che mette in cassa integrazione migliaia di lavoratori italiani e trasferisce in Canada e altrove parte della sua produzione realizzando, in questo modo, l'esemplare operazione di classe della socializzazione delle perdite e della privatizzazione dei profitti: pago la manodopera quando mi dà utile e la scarico sulla collettività quando ciò non avviene. Tantissime aziende italiane seguono l’esempio, delocalizzando le proprie attività in aree del mondo dove la manodopera costa ancora meno, aumentando lo sfruttamento dei lavoratori con paghe da fame e chiudendo stabilimenti in Italia, con il licenziamento dei lavoratori.
Oppure approfittano di situazioni di crisi, come quella dell’Alitalia, per prendersi a prezzo stracciato la parte di società “sana” che produce profitto (good company) e scaricando sulle spalle della collettività la parte di società improduttiva (bad company).
Nel 2009, in Italia sono stati persi 700mila posti di lavoro e il ricorso alla cassa integrazione è aumentato di sei volte, anche se la produzione è aumentata del sette per cento, dice la presidente di Confindutria. Sorvola su un aspetto importante: se la produzione aumenta e la manodopera diminuisce, vuole dire che meno lavoratori hanno prodotto anche per i licenziati, con verticale abbassamento dei costi per gli imprenditori che continuano a lucrare profitto anche mentre licenziano o mettono in cassa integrazione i dipendenti. Questi ultimi, oltre tutto ciò, debbono pagare anche la politica di “rigore” nella spesa pubblica invocata dalla Confindustria e fatta propria dal governo(!) Ma ciò non basta. Il governo deve rendere permanente la “manovra” attraverso una “riforma”. Evviva i padroni sono diventati riformisti! O controriformisti?
Non hanno bisogno gli industriali di entrare direttamente nel governo, perché centrodestra e centro"sinistra" si contendono i loro favori. Già perché davanti ad una manovra così penalizzante per i lavoratori, pensionati, precari, l’opposizione di centro"sinistra" balbetta e propone misure diverse, che siano però ben in linea con le richieste della Confindustria, della quale contende al centrodestra il consenso e la rappresentatività. Il tutto, naturalmente in un sano e rinato spirito patriottico, cui tutti debbono collaborare accettando anche licenziamenti e tasse. Lo stesso sindacato, se non è addirittura d’accordo con la "manovra", indice uno sciopero generale di quattro ore non subito, ma tra un mese, con manifestazioni territoriali e spezzettate, come suggerisce la Cgil. Impedendo, in questo modo, una risposta adeguata e di massa alla manovra e al governo della Confindustria, nel tentativo di accreditarsi comunque a paladina dei lavoratori, con una iniziativa di “lotta” di facciata che non modificherà nulla.
Centrodestra e centro"sinistra" si rivelano ogni giorno di più schieramenti omologhi e intercambiabili nel gestire queste politiche di “riforma” antipopolari, liberiste e di chiaro stampo classista.
L’operazione del taglio delle province con meno di 220mila abitanti e il taglio delle spese della “politica” (la loro), ben lungi dal far calare la spesa alimentata da raccomandazioni, clientele e favoritismi, serve loro da specchio per le allodole. Il tentativo è quello di strumentalizzare il malcontento verso un ceto politico asservito e troppe volte corrotto e verso un livello di tassazione esorbitante per i redditi fissi, offuscando la realtà: tutto rimarrà come prima, solo che diminuiranno i servizi e si produrrà quella operazione di consenso, cui lavorava la P2, di taglio dei livelli democratici di partecipazione e controllo con l'assenso del popolo.
Occorre smascherare tali disegni e i loro sostenitori, di centrodestra o di centro”sinistra”. Occorre ricostruire un progetto e un modo di pensare diverso e alternativo a quello classista, liberale e padronale che, oggi, prevale nel Paese.

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