A partire dalla fine degli anni ’70, con la cosiddetta “svolta dell’Eur” operata da Luciano Lama, è avvenuto un significativo cambiamento: improvvisamente il "padrone" è diventato "datore di lavoro".
Certamente è più "moderno" parlare di datore di lavoro che non di padrone.
Padrone è un termine forte, non gradevole. Padrone è il proprietario di un cane, di un oggetto, di un terreno o di una abitazione. Di tutto questo dispone a suo piacimento, secondo le regole certo, ma in maniera insindacabile e a suo esclusivo vantaggio.
Anche gli schiavi, i servi della gleba avevano un padrone. Essi sapevano bene che, su di loro, il padrone aveva diritto di vita e di morte. Quest'ultimo poteva usufruire dei loro servigi senza essere obbligato a retribuirli in alcuna maniera: in sostanza disponeva di loro, esseri inferiori privi di diritti, a proprio piacimento. Tale status era garantito dalle leggi, fatte da governanti assoluti che intervenivano per il rispetto e il mantenimento dell’ordine basato sul dominio di una classe superiore, detentrice di tutti i diritti, su una inferiore che, invece, ne era completamente priva. Lo schiavo era una persona completamente e involontariamente assoggettata a un'altra. Caratteristiche costitutive della schiavitù erano: la coercizione a svolgere un compito o a prestare un servizio; la riduzione a proprietà esclusiva di un altro essere umano, cioè del padrone; l'assoggettamento completo alla volontà di quest'ultimo.
Quale individuo, oggi, potrebbe tollerare un simile stato di cose?
Lo stato di schiavitù è, nella mente di ogni uomo libero, inaccettabile e insopportabile e, nel tempo, lo schiavismo è stato considerato un crimine odioso lesivo della dignità e libertà di coloro verso il quale è rivolto.
Per lo schiavo salariato la condizione cambia poco. Lo schiavo salariato (o proletario) non è più soggetto a vendita diretta, ma è costretto a autovendere la propria forza-lavoro a un altro soggetto per avere la possibilità, non avendo altro modo, di procurarsi da vivere. Nelle ore di lavoro, lo schiavo salariato, rinuncia alla propria libertà e mette a disposizione di un altro individuo le proprie capacità e la propria autonomia, per poterne trarre da vivere. Egli non è quasi mai nelle condizioni di imporre un prezzo equo alla propria prestazione a causa della mancanza di posti di lavoro e il padrone ne approfitta per imporre le sue condizioni e i suoi interessi. Lo schiavo salariato viene assunto e tenuto al lavoro a condizione che garantisca al padrone un profitto: l'utile è la condizione in assenza della quale, il padrone, non dà nessun lavoro o lo tronca se già esistente.
Mai si è potuto vedere un “datore di lavoro” dare lavoro se ci rimette. E’ la legge del nuovo dio: il mercato! Il padrone ti dà l'opportunità di procurargli profitto. Se non lo fai, non ti dà proprio nulla.
E’, quindi, lo schiavo salariato che dà nel rapporto di lavoro, non il contrario! Egli prima deve garantire un utile o profitto al “datore di lavoro”, poi può lavorare, se gli viene concesso, per procurarsi da vivere. Se però manca l’utile ed il profitto, il padrone non consente allo schiavo salariato di guadagnarsi la paga. Datore di lavoro quindi o usurpatore di profitto e "ladro" del sudore e della libertà altrui.
Modificare l’appellativo da padrone a “datore di lavoro” ha quindi permesso di mistificare su chi veramente dà qualcosa in un rapporto di lavoro dipendente. Una manovra esemplare per cancellare, nell'immaginario collettivo, la consapevolezza che chi è subordinato in un rapporto di lavoro è quasi sempre oggetto di una odiosa, preistorica e incivile sottomissione di classe.
Tutto questo vale solo come provocazione?
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